Unità 13 - La responsabilità civile degli enti in sanità

1. La responsabilità civile degli enti in sanità

1.1. La responsabilità da prestazioni sanitarie transfusionali

In tema di prestazioni sanitarie trasfusionali - come peraltro per i vaccini - si è posta la questione dei caratteri dell'attività e di conseguenza della responsabilità dell'ente da un punto di vista attivo e omissivo. Diversi casi hanno interessato in particolare la responsabilità del Ministero della salute per i danni riportati da attività trasfusionale e da uso di emoderivati (cfr. Cass., S.U. 11 gennaio 2008, n. 576; Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 581; Cass, sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1355). 

Di interesse è in particolare la connotazione in termini di pericolosità dell'attività di cui alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell'uso degli emoderivati.
Se la pericolosità della pratica suddetta - dalla quale il paziente potrebbe contrarre diverse patologie riportando così un danno alla salute - qualificasse in termini di "attività pericolosa" anche la correlata attività di vigilanza e controllo che il Ministero della salute è tenuto a operare, la responsabilità civile dell'ente andrebbe a qualificarsi in termini di "responsabilità da attività pericolose" (art. 2050 c.c.).
L'attività pericolosa che cagiona un danno comporta l'obbligo di risarcire lo stesso se l'ente non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitarlo (art. 2050 c.c.), conseguendone l'applicazione di una disciplina sull'onere probatorio e sulle regole di prescrizione che è analoga a quella sulla responsabilità contrattuale, e dunque di particolare favore per il paziente.
La questione è di particolare interesse se solo si considera che diverse patologie sono state riconosciute dalla scienza medica solo in un momento successivo alla pratica trasfusionale eseguita sui pazienti, o anche solo tenendo in considerazione come il rischio insito nella stessa trasfusione di sangue possa emergere in un momento successivo alla stessa, in ragione della limitata tipologia di controlli disponibili in una data epoca storica.
Per quanto attiene all'onere probatorio relativo al nesso causale tra condotta ed evento dannoso è stato chiarito che la qualifica di attività pericolosa di un'attività dipende dalla valutazione quantitativa del pericolo che la connota (notevole potenzialità dannosa: cfr. Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 582). Questa valutazione non assolve il danneggiato dalla prova del nesso causale tra l'attività e l'evento dannoso, quale ad esempio l'aver contratto una determinata patologia proprio in conseguenza della trasfusione.

Se la responsabilità della struttura sanitaria che deriva dall'eventuale mancato o errato controllo sulla trasfusione è ritenuta una responsabilità da attività pericolosa (art. 2050 c.c.) o di tipo contrattuale (art. 1218 c.c.), ciò non implica la medesima qualificazione per la responsabilità del Ministro della salute, a propria volta fondata sulla qualità dello stesso di organo apicale del SSN, perciò solo tenuto a esercitare una funzione di controllo e vigilanza su tutti gli organi ed enti che concorrono ad assicurare la tutela della salute.
La responsabilità del Ministro della salute per i danni contratti da pazienti emotrasfusioni a causa di omessa vigilanza sulle sostanze in oggetto è dunque ritenuta una responsabilità extracontrattuale (art. 2043 c.c., sul punto cfr. Cass., S.U. 11 gennaio 2008, n. 576 e Cass., sez III, 23 gennaio 2014, n. 1355).

Occorre inoltre evidenziare come considerazioni di equità abbiano portato il legislatore ad intervenire prevedendo un indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di farmaci (l. 25 febbraio 1992, n. 210), a prescindere dalla sussistenza degli elementi costitutivi del danno illecito e dunque di un'obbligazione di tipo risarcitorio.
Il ristoro economico dell'indennizzo si fonda sul sistema solidaristico costituzionale (art. 2, 32, e 38 Cost.) prevedendo una forma di ristoro sganciata da ogni accertamento del comportamento colposo del medico o della struttura, poiché l'indennizzo, a differenza del risarcimento, non presuppone un'attività illecita ed è corrisposto anche qualora l'evento dannoso sia del tutto imprevedibile e dunque non imputabile all'agente. La vittima può così cumulare l'indennizzo con l'eventuale risarcimento del danno, poiché i due rimedi non sono alternativi (Corte Cost., n. 423 del 2000).