Unità 3 - Il diritto alla salute dell'ordinamento dell'UE come carattere identitario della cittadinanza europea. L'assistenza sanitaria transfrontaliera
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Course: | Diritto sanitario (Torino) - 9 CFU - 21/22 |
Book: | Unità 3 - Il diritto alla salute dell'ordinamento dell'UE come carattere identitario della cittadinanza europea. L'assistenza sanitaria transfrontaliera |
Printed by: | Guest user |
Date: | Saturday, 12 July 2025, 2:31 PM |
Description
Oggetto di questa unità è la tutela della salute nell'Unione Europea. Si analizzano in particolare le competenze dell'Unione in tema di tutela della salute, ricostruendo il diritto alla salute come carattere identitario della cittadinanza europea, oltre alla disciplina in materia di assistenza sanitaria trasfrontaliera.
1. Il diritto alla salute come carattere identitario della cittadinanza europea.
La tutela della salute si afferma in origine nell'ordinamento dell'Unione Europea in un'accezione strumentale alla realizzazione del mercato unico, in ragione della dimensione meramente economica dell'integrazione europea.
Il riconoscimento della tutela della salute come diritto individuale - che si traduce anzitutto nell'accesso alle cure erogate dai sistemi sanitari nazionali -deriva, almeno inizialmente, dall'esigenza di garantire l'effettività della libera circolazione dei lavoratori (art. 45 TFUE) e dunque di consentire a quanti circolano per ragioni di lavoro di non subire discriminazioni o incontrare ostacoli di ordine economico o sociale che disincentivino dell'esercizio del diritto di circolazione. Ne deriva che al cittadino economicamente attivo è consentito l'accesso alle cure erogate nel paese di destinazione alle medesime condizioni previste per i cittadini nazionali, secondo un diritto che si afferma in quanto funzionale a garantire l'effettività del diritto di circolazione, e dunque strettamente correlato alla condizione di lavoratore.
La rilevanza autonoma del diritto alla salute, come anche di altri diritti sociali, si delinea solo in un momento successivo a quello della creazione dello spazio economico europeo.
Diverse norme primarie dell'ordinamento dell'Unione Europea sono oggi di riferimento per la tutela della salute. Innanzitutto il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea - riaffermando quanto già stabilito dal Trattato di Maastricht (ex art. 152 TUE) - stabilisce che il livello elevato di protezione della salute umana è garantito sia nella definizione che nell’ attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione Europea (art. 168 TFUE), fissando così il c.d. “principio di integrazione” che impone di aver riguardo alla tutela della salute anche nel perseguimento degli obiettivi di stabilità economica e realizzazione del mercato interno.
Insieme a questo articolo del Trattato, è poi oggi la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (2000) a contribuire alla base normativa di rango primario in materia di tutela della salute. Il quadro normativo si è andato infatti ampliando in maniera significativa quando il Trattato di Lisbona (2009) ha attribuito alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea lo stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6 TUE).
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea - oltre a stabilire che la dignità umana è inviolabile, a riconoscere il diritto alla vita, il diritto alla integrità della persona, la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti - inserisce nel titolo dedicato alla solidarietà anche la protezione della salute che è riconosciuta in quanto diritto della persona (art. 35, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea).
La protezione della salute - come definita dalla Carta - si esplica attraverso l'accesso alla prevenzione sanitaria e l'ottenimento di cure mediche secondo le diverse normative nazionali degli Stati Membri. L'Unione europea non ha una competenza in materia di salute, la quale spetta in via esclusiva agli Stati membri. Gli stessi quindi disciplinano il proprio modello sanitario secondo la normativa nazionale.
Un livello elevato di protezione della salute umana è garantito «nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche ed attività dell'Unione» (art. 35), sicché l'obiettivo di tutela della salute condiziona e incide sull'esercizio di altre competenze: si veda ad es. la dir. 2014/40/UE su lavorazione, produzione e vendita dei prodotti del tabacco, che trova fondamento nella competenza UE in tema di ravvicinamento delle legislazioni nazionali sull'instaurazione del mercato interno, ex art. 114 TFUE.
Così le esigenze di tutela della salute possono legittimare deroghe alla libertà di circolazione dei servizi e al diritto di stabilimento, funzionali alla realizzazione del mercato interno, in quanto costituiscono "motivi di sanità pubblica" (art. 49 e 56, TFUE). In tal senso si è affermato che "l’obiettivo di mantenere, per ragioni di sanità pubblica, un servizio medico ed ospedaliero equilibrato ed accessibile a tutti" legittima l'affidamento diretto (senza procedure a evidenza pubblica) del servizio di trasporto sanitario alle associazioni di volontariato (C. giust., 11 dicembre 2014, C‑113/13, Azienda sanitaria locale n. 5 "Spezzino").
L’azione dell’Unione - volta al miglioramento della sanità pubblica - ha una funzione di completamento delle politiche nazionali degli Stati membri, ai quali spetta ancora oggi una competenza esclusiva nello stabilire le condizioni per l’accesso alla prevenzione sanitaria e all'ottenimento di cure mediche. Gli Stati Membri deliberano quindi discrezionalmente le loro politiche sanitarie, posto che «le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite dai trattati» (art. 6 TUE). All'Unione spetta invece una competenza per azioni di sostegno, coordinamento e completamento dell’azione degli Stati membri per la tutela e miglioramento della salute umana (art. 6 lett. a TFUE).
Nell'esercizio di tale competenza l'Unione può stabilire parametri di qualità e sicurezza di organi e sostanze di origine umana (es. sangue ed emoderivati), di medicinali e dispositivi medici o ancora in ambito veterinario o fitosanitario.
La situazione sanitaria determinata dalla pandemia da Covid-19 ha indotto l'Unione a rafforzare la cooperazione in ambito sanitario per la creazione dell' "Unione europea della salute", nella consapevolezza che crisi sanitarie mondiali, quali quella attuale, possono essere affrontate con maggior efficacia solo congiuntamente, con l'adozione di misure di sanità pubblica congruenti, coerenti e coordinate. Ciò pur non abbandonandosi la prospettiva che coglie nella salute "un prerequisito per un'economia dinamica che stimoli la crescita, l'innovazione e gli investimenti".
A tal fine particolare rilievo ha assunto il comitato per la sicurezza sanitaria, composto da rappresentanti degli Stati membri nel settore della sanità pubblica e da altri esperti e membri di istituzioni europee e organizzazioni internazionale, cui si deve l'adozione di posizioni comuni sulle misure utili a fronteggiare la pandemia negli Stati membri. Allo stesso tempo si è inteso adottare un approccio "coordinato e sistemico" per sostenere lo sviluppo, la produzione, le procedure di acquisizione e l'acquisto di vaccini, farmaci, materiali diagnostici, dispositivi di protezione individuale (DPI) e dispositivi medici anzitutto facilitando l'incontro tra l'offerta e la domanda, o ancora, si è inteso rafforzare la sorveglianza epidemiologica.
1.1. L'assistenza sanitaria trasfrontaliera
Il diritto di accesso alle prestazioni di cura in un altro Stato membro si declina, come detto, in senso non discriminatorio (divieto di discriminazioni in ragione della nazionalità: art. 18 TFUE) e porta a definire il diritto alla cura della salute come elemento essenziale della cittadinanza europea, da garantire attraverso la rete delle istituzioni sanitarie degli Stati membri, rispetto a cui l'Unione assume il compiti di un accreditamento in ragione di standard di qualità minimi.
Tale tutela si afferma, tuttavia, in modo inderogabile e incondizionato per il solo lavoratore che abbia esercitato il diritto di circolazione ai sensi dell'art. 45 TFUE, mentre per il cittadino non economicamente attivo, seppur residente all'estero, l'ordinamento UE ammette la possibilità di negare l'accesso alle prestazioni sociali, atteso che la stessa possibilità di soggiorno è condizionata al requisito di non costituire un onere eccessivo per il paese di destinazione.
La stessa possibilità di soggiornare in un altro paese UE per un periodo superiore a tre mesi è infatti condizionata al fatto di esercitarvi un'attività di lavoro subordinato o autonomo o di "disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti (...) e "di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante" (dir. 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, art. 7, §1, lett. b).
Le norme che stabiliscono la competenza esclusiva degli Stati membri in materia di salute, possono sembrare "superate" se si considera che con la libera circolazione dei lavoratori prima (art. 45 TFUE) e dei servizi poi (art. 56 TFUE) si è fondato il diritto dei pazienti a fruire di un'assistenza sanitaria transfrontaliera, da intendersi come mobilità sia dei pazienti sia dei professionisti sanitari, con esiti che sembrano ispirati a un principio di universalismo nell'accessibilità all'assistenza sanitaria.
La libera circolazione delle persone, dei servizi, il diritto di stabilimento, la libera circolazione delle merci e dei capitali hanno richiesto e presupposto sempre più la tutela della salute del cittadino europeo che circola all'interno dell'Unione e si trova a dimorare o risiedere in uno Stato membro diverso da quello di provenienza.
L'ordinamento dell'Unione ha col tempo infatti riconosciuto la possibilità che un individuo, iscritto al sistema di uno dei paesi membri, richieda nello Stato di iscrizione il rimborso di spese mediche sostenute in uno Stato membro diverso.
La c.d. mobilità dei pazienti è inizialmente intesa come diritto derivante dalla libertà di circolazione dei lavoratori (Regolamento CEE n. 1408/71 poi abrogato dal Regolamento CE n. 833/2004), con una disciplina che intendeva rafforzare la portabilità dei diritti da un sistema nazionale di sicurezza sociale all'altro e con ciò garantire l'effettività della libertà di circolazione. Un lavoratore che si sposti da uno Stato membro ad un altro deve infatti vedersi garantita "l'esportazione" dei propri diritti previdenziali. Il sistema prevede che le cure mediche di cui un soggetto abbia beneficiato in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza possano essere messe - direttamente - a carico del sistema nazionale di appartenenza previa autorizzazione da parte di quest'ultimo (cfr. C. giust. UE, 9 ottobre 2014, C-268/13, Elena Petru c. Casa Jude eana de Asigurari de Sanatate Sibiu).
Dagli anni novanta la disciplina ha trovato completamento per il tramite dell'applicazione delle norme del Trattato in materia di libera circolazione dei servizi (art. 56 ss. TFUE), ove s'intendono tali tutte le prestazioni rese dietro retribuzione che non siano già disciplinate dalle norme sulla libera circolazione delle merci, dei lavoratori o dei capitali (nozione residuale), dunque anche le prestazioni rese con l'erogazione di cure mediche.
I Trattati assicurano la libera prestazione dei servizi senza discriminazioni in ragione della nazionalità, a prescindere da come si realizzi concretamente la circolazione: che a circolare all'interno del mercato unico sia il professionista, il destinatario della prestazione ("paziente"), o sinanco la prestazione (es. telemedicina), con una conseguente estensione della tutela del paziente, a prescindere dalla condizione di lavoratore.
A fronte di un ampio riconoscimento giurisprudenziale del diritto di accesso alle prestazioni sanitarie in uno Stato membro diverso da quello di affiliazione ma alle spese di quest'ultimo, si è profilata la necessità di un chiaro quadro normativo che ha portato all'adozione della Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera.
La direttiva si pone l'obiettivo di definire norme che agevolino l'accesso ad un'assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità garantendo la mobilità dei pazienti nel rispetto delle competenze degli Stati membri.
Si impone così allo Stato membro di affiliazione di rimborsare i propri assicurati del costo delle spese mediche sostenute con l'assistenza medica transfrontaliera, purché le prestazioni fruite siano ricomprese tra quelle cui gli stessi hanno diritto nello Stato membro di affiliazione (art. 7, par. 1).
La prestazione può essere alternativamente rimborsata all'utente o direttamente pagata dallo Stato membro di affiliazione allo Stato membro che ha erogato le cure (art. 7, par. 4). Il rimborso può non coprire l'intero costo della prestazione se lo stesso supera il livello dei costi che si sarebbero sostenuti prestandola sul proprio territorio (art. 7, par. 4) ed è subordinato ad autorizzazione preventiva (art. 7, par. 8) nei casi espressamente previsti dalla Direttiva (di fatto sempre richiesta), ad es. ove occorra garantire le esigenze di pianificazione nazionale delle cure sanitarie, al fine di garantire nel singolo Stato membro l'accesso sufficiente e permanente a cure di elevata qualità (art. 8).
Esigenze di pianificazione delle cure si pongono sempre, comportando dunque che l'autorizzazione - pur prevista formalmente solo nelle ipotesi indicate dalla direttiva e dunque configurata astrattamente come "eccezionale" - sia richiesta di fatto sempre.
In ogni caso l'autorizzazione non può essere negata quando ricorrano le condizioni viste sopra (prestazione rimborsata nello Stato di affiliazione) e l'assistenza sanitaria non possa essere prestata sul suo territorio "entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, sulla base di una valutazione medica oggettiva dello stato di salute del paziente, dell'anamnesi e del probabile decorso della sua malattia, dell'intensità del dolore e/o della natura della disabilità al momento in cui la richiesta di autorizzazione è stata fatta o rinnovata" (Dir. 2011/24/UE, art. 7, § 5).
Occorre evidenziare che il riconoscimento del diritto di accesso alle cure trasfrontaliere determina una tensione tra diritti individuali e programmazione nazionale (interesse collettivo), rischiando - ove generalizzato - di scardinare la seconda a beneficio del primo, di cui oltretutto fruiscono normalmente solo gli assistiti che si trovino in particolari condizioni di vantaggio (che consentono loro di accedere alle cure all'esterno, salvo poi formulare richiesta di rimborso).
La volontà di garantire il controllo dei costi consente d'altra parte - al pari dell'obiettivo di assicurare un accesso "sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure" - di limitare l'applicazione delle norme sul diritto al rimborso (Dir. 2011/24/UE, art. 7, § 9).
In Italia il recepimento della Direttiva 2011/24/UE è avvenuto ad opera del D. Lgs.4 marzo 2014, n. 38.
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