Unità 14 - L'organizzazione sanitaria e l'informazione del paziente
Sito: | Insegnamenti On-Line |
Corso: | Diritto sanitario (Torino) - 9 CFU - 21/22 |
Libro: | Unità 14 - L'organizzazione sanitaria e l'informazione del paziente |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | martedì, 6 maggio 2025, 17:27 |
Descrizione
L'organizzazione sanitaria e l'informazione del paziente
1. L'organizzazione sanitaria e l'informazione del paziente
La consapevole adesione del paziente al trattamento sanitario, presupposto dell'erogazione della prestazione terapeutica, è un diritto che non si esaurisce solamente nel rapporto medico paziente ma che si sostanzia in una pluralità di pretese che coinvolgono l'intera struttura.
Il consenso informato si configura come prestazione accessoria rispetto a quella di diagnosi e cura oggetto dell'obbligo assunto dal SSN e - per esso - dalle strutture di erogazione della prestazione; in quanto tale il relativo inadempimento è fonte di una responsabilità che è invocabile nei confronti della stessa struttura.
Più propriamente esso concorre alla stessa realizzazione del diritto alla salute, da intendersi secondo un'ampia accezione di benessere fisico e psichico, nel rispetto della dignità
umana e con essa dell'identità individuale e delle scelte da essa derivanti, secondo il carattere della c.d. "alleanza terapeutica" che deve informare il rapporto medico-paziente (cfr. Corte cost. n. 309 del 1999; già richiamata nell'unità 1).
Il
rapporto tra il diritto all'autodeterminazione e il diritto alla salute
va dunque letto necessariamente in termini di diritti che si integrano tra
loro e non anche di diritti che necessitano di bilanciamento. Il consenso
informato finisce così per superare la mera espressione dell'autonomia
soggettiva e definisce piuttosto la stessa pretesa della prestazione oggetto di
consenso, assumendo il carattere di sintesi tra autodeterminazione e salute
(cfr. Corte cost. n. 438 del 2008).
Dalla composizione di dignità della persona, diritto
all'autodeterminazione e diritto alla salute, deriva la definizione del contenuto del diritto alla salute che è necessariamente diversificato
e non predeterminabile. In questo senso si può dire che l'individuo
contribuisca attraverso la prestazione del proprio consenso ad un determinato
trattamento a configurare la pretesa che soddisfa il diritto alla
salute. Per questo il contenuto delle prestazioni non dovrebbe essere
predefinito in astratto, consentendo una personalizzazione delle prestazioni in ragione delle scelte dell'etica individuale, di modo che la pratica terapeutica nasca dall'incontro dell'autodeterminazione del
paziente con la responsabilità del medico (in questo senso si veda Corte
Cost. n. 151 del 2009).
1.1. Autodeterminazione del paziente e dimensione organizzativa
All'effettività del diritto al consenso informato concorre necessariamente l'intera struttura sanitaria, che deve apportare gli accorgimenti organizzativi utili al fine di consentire un'espressione genuina e consapevole del consenso, con l'apporto di tutti i professionisti coinvolti o di professionalità specificatamente individuate, oltre a provvedere alla necessaria documentazione (sul punto si veda A. Pioggia, Consenso informato ai trattamenti sanitari e amministrazione della salute, in Riv. trim. dir. pubbl., 2011, 01, p. 127, di lettura obbligatoria).
La dimensione organizzativa del consenso informato nell'ambito della organizzazione sanitaria risulta perciò estremamente rilevante; da ultimo è stata espressamente evidenziata anche in sede legislativa, qualificandosi espressamente l'acquisizione del consenso come obbligo della struttura sanitaria, pubblica o privata che sia, che deve provvedervi con adeguate modalità organizzative, assicurando in particolare "l'informazione necessaria ai pazienti e l'adeguata formazione del personale" (l. n. 219 del 2017, art. 1, co. 9).
Il servizio sanitario che l'Amministrazione è tenuta a garantire non ricomprende solo la prestazione medica di diagnosi e cura (e le correlate prestazioni alberghiere e di messa a disposizione del personale), ma la stessa è tenuta a garantire che la prestazione sia modulata in ragione della concretizzazione della pretesa cui concorre il paziente sulla base di esigenze e convinzioni personali.
In un noto e controverso caso di richiesta di sospensione delle cure cui il paziente non avrebbe acconsentito ove fosse stato capace di intendere e volere, è stato chiarito come non sia ammissibile un intervento dell'Amministrazione - anche se finalizzato alla cura o al mantenimento in vita del paziente - contrario alla volontà di quest'ultimo, così come ricostruita sulla base delle dichiarazioni rese mentre era in salute (cfr. Cass., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, sul c.d. "caso Englaro").
In questo quadro la mancata somministrazione dei trattamenti o la loro sospensione può essere letta come obbligo di servizio, poiché il diritto del singolo alla salute, come tutti i diritti di libertà, «implica la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire» a fronte del quale si individua un obbligo del SSN di «attivarsi e di attrezzarsi perché tale diritto possa essere concretamente esercitato». L'Amministrazione sanitaria non può dunque «sottrarsi al suo obbligo di curare il malato e di accettarne il ricovero, anche di quello che rifiuti un determinato trattamento sanitario nella consapevolezza della certa conseguente morte, adducendo una propria ed autoritativa visione della cura o della prestazione sanitaria che, in termini di necessaria beneficialità, contempli e consenta solo la prosecuzione della vita e non, invece, l’accettazione della morte da parte del consapevole paziente» (Cons. St., sez. III, 2 settembre 2014, n. 4460).
Diversi sono gli obblighi di organizzazione in capo all'Amministrazione che emergono dalla lettura del diritto alla salute come diritto alla prestazione sanitaria del paziente alla luce della sua autodeterminazione.
Essa deve garantire il diritto all'autodeterminazione del paziente nel luogo di cura anzitutto destinando adeguate risorse economiche e predisponendo momenti di coinvolgimento delle diverse professionalità della struttura. In molti casi infatti solo il coinvolgimento di diverse professionalità (es. medici, infermieri, interpreti, psicologi) può consentire l'espressione di un consenso effettivamente informato e consapevole.
Non solo, è l'organizzazione a doversi fare carico non soltanto dell'informazione del paziente, ma anche della documentazione del consenso prestato all'intervento (verbalizzazione, videoregistrazione, ecc.).
Su "Consenso informato, autodeterminazione del paziente e organizzazione sanitaria" si veda il seminario che si è tenuto il 27 ottobre 2011 per il Dottorato in Scienze Umane e Sociali dell'Università di Torino.
Sulle "disposizioni anticipate di trattamento", vedi l'articolo apparso sul Corriere Sanità il 20 febbraio 2020