Azzeramento sui principi europei e nazionali in materia di contratti della pubblica amministrazione

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Libro: Azzeramento sui principi europei e nazionali in materia di contratti della pubblica amministrazione
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Data: martedì, 6 maggio 2025, 15:49

1. Approfondimento su: i principi europei e nazionali in materia di contratti della pubblica amministrazione

Gli appalti pubblici, quale materia avente rilevanza economica, sono oggetto di disciplina delle fonti dell'ordinamento giuridico europeo.

Gli appalti pubblici sono innanzitutto soggetti ai principi del diritto europeo, siano essi espressamente definiti dai Trattati europei (c.d. principi scritti) o da questo ricavati ed enunciati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea (c.d. principi non scritti). 

Le direttive comunitarie, e quindi gli atti normativi nazionali di recepimento, disciplinano nel dettaglio le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici in attuazione dei principi europei e conformemente a questi devono essere interpretate. Le disposizioni di dettaglio, comunitarie e nazionali, nella materia considerata ed i principi che esse sottendono ed attuano realizzano un'unità di disciplina che l'interprete dovrà dunque preservare e garantire.

Occorre però considerare anche i principi nazionali, soprattutto di rango costituzionale, che nell'ordinamento giuridico italiano informano i contratti della pubblica amministrazione, prevalentemente in un'ottica di tutela e protezione del contraente pubblico.

La disciplina comunitaria sugli appalti pubblici esprime un momento di sintesi tra la tutela (o promozione) della concorrenza e delle libertà economiche protette dal Trattato, ove il punto di vista è quello della tutela delle posizioni soggettive dell'operatore economico, e la garanzia dei principi costituzionali del nostro ordinamento (art. 97 Cost.: buon andamento ed imparzialità), dettati al fine di garantire le prerogative dell'amministrazione appaltante a fronte di possibili scorrettezze dell'aspirante contraente (cfr. ad es., la disciplina sull'anomalia delle offerte), soprattutto con riferimento ad una corretta utilizzazione delle risorse pubbliche.

 

  

§ B.1 I principi normativi europei

 

L'attuazione dei principi contenuti nel Trattato FUE è affidato alle fonti comunitarie che risultano invalide se in contrasto con essi, in quanto fonti gerarchicamente subordinate al Trattato  stesso. Tali principi si applicano anche alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Per tutte le attività economiche comprese nel campo di applicazione dei Trattati europei vige innanzitutto il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, il cui contenuto è precisato e specificato dalle c.d. libertà economiche espressamente enunciate dai Trattati.

La libertà di circolazione delle merci (art. 28-37 TFUE) ha determinato la realizzazione di un'unione doganale tra gli Stati membri, con conseguente divieto a ciascuno Stato di istituire dazi di importazione o esportazione verso gli altri Stati membri e di disporre restrizioni quantitative all'importazione o all'esportazione o «qualsiasi tassa o misura di effetto equivalente» (quali gli standard, ossia i requisiti giuridici che i prodotti debbono possedere per poter essere commercializzati in uno Stato membro). A tal fine l'art. 110 TFUE stabilisce che «nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari».

La ricerca di un equilibrio tra l'affermazione della libertà di circolazione delle merci e il riconoscimento dell'ammissibilità di interventi autoritativi degli Stati per il perseguimento di interessi pubblici è espresso nell'art. 36 TFUE che stabilisce che i divieti o le restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito, sempreché non costituiscano «un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri» sono compatibili con il Trattato se fondati su «motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale» (Corte di giustizia CE, sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98).

All'interno dell'Unione europea, è assicurata la libera circolazione dei lavoratori (art. 45-55 Trattato FUE) che implica il divieto discriminazioni fondate sulla nazionalità, salve le limitazioni giustificate da esigenze di tutela dell'ordine pubblico, della pubblica sicurezza o della sanità pubblica.

La libertà di stabilimento (art. 49-55 Trattato FUE) comporta il diritto di esercizio di attività, di costituzione e gestione di imprese nel territorio degli altri Stati membri ed è esclusa per le sole attività «che partecipino, sia pure occasionalmente, all'esercizio dei pubblici poteri» (art. 51 Trattato FUE).

La libera prestazione dei servizi (art. 56-62 Trattato FUE) ha ad oggetto le prestazioni (attività commerciali, industriali, artigiane e le libere professioni) fornite dietro retribuzione e implica il divieto di restrizioni ai servizi forniti da soggetti residenti in uno Stato membro diverso da quello del destinatario del servizio.

La libertà di circolazione dei capitali (art. 63-66 Trattato FUE) vieta restrizioni ai pagamenti e ai movimenti di capitale tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi.

La tutela della libertà di concorrenza (art. 101-118 Trattato FUE) opera in tre principali direzioni: sono vietati tutti gli accordi tra imprese o le decisioni di gruppi di imprese che impediscono, restringono o falsano il gioco della concorrenza all'interno dell'Unione (art. 101 TFUE), è vietato lo «sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato» qualora pregiudichi il commercio tra Stati membri (art. 102 TFUE) e sono vietati gli aiuti, in qualsiasi forma, concessi dagli Stati alle imprese qualora, favorendo tali imprese, «falsino o minaccino di falsare la concorrenza», salvo le ipotesi espressamente disciplinate dai Trattati  stessi (art. 107 TFUE).

È aiuto di stato l'apporto di un qualsiasi vantaggio economico da parte di un'amministrazione pubblica (ossia lo Stato e gli enti pubblici o privati a tal fine designati o istituiti dagli Stati: recentemente, Corte di giustizia CE, sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98) ad un'impresa pubblica o privata. Gli aiuti possono considerarsi compatibili con l'ordinamento giuridico comunitario, in applicazione dell'art. 107, co. 3, lett. c), TFUE (riguardante "gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse”), solo nel caso in cui risultino giustificabili le esigenze di mantenimento sul mercato di imprese in crisi e gli importi degli aiuti idonei a ripristinare l'efficienza produttiva dell'impresa in modo da consentirle il rispetto del principio di economicità (remunerazione dei fattori della produzione) per i successivi cicli produttivi (Corte di giustizia CE, 30 marzo 2006 C-451/03; Corte di giustizia CE, 14 settembre 1994, cause riunite C-278/92, C-279/92 e C-280/92; cfr. anche Comunicazione della Commissione UE, Orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà, in GUCE, n. 244 del 01/10/2004.

Per l'individuazione di un aiuto di Stato occorre che sussistano quattro condizioni: a) un'attribuzione o un beneficio di carattere patrimoniale; b) che sia concesso da un soggetto pubblico direttamente o da un soggetto terzo utilizzando risorse pubbliche; c) la destinazione del vantaggio economico a talune imprese, con esclusione di altre (si intende per impresa qualsiasi soggetto che eserciti un'attività economica, cioè destinata alla produzione di beni e servizi, indipendentemente dal suo status giuridico); d) l'alterazione o l'idoneità delle misure in questione a provocare l'alterazione delle condizioni di concorrenza all'interno del mercato comune europeo (C. giust. Ce, 13 febbraio 2003, causa C-409/00; C. giust. CE, 24 luglio 2003, causa C-280/00*).

L'idoneità a incidere sulla concorrenza nel mercato comune può essere esclusa soltanto nell'ipotesi in cui l'aiuto si riferisca a produzioni che non hanno riscontro in altri paesi membri, oppure a mercati non liberalizzati (l'aiuto rimane però rilevante quando l'impresa beneficiaria operi, oltre che in un settore non liberalizzato, anche in altro in cui non goda di una condizione di monopolio).

Per attribuire a un vantaggio economico la qualificazione di aiuto di Stato la giurisprudenza comunitaria utilizza il criterio dell'investitore privato in economia di mercato, a norma del quale non si è in presenza di un aiuto di Stato quando, nelle stesse condizioni di mercato, "un investitore privato avrebbe effettuato conferimenti di capitale di simile entità” in una prospettiva di redditività, anche a lungo termine (Tribunale di primo grado CE, 15 settembre 1998, cause riunite T-126/96 e T-127/96; C. giust. CE, 16 maggio 2002, causa C-482/99*).

Nel caso in cui intenda erogare un aiuto, la pubblica amministrazione deve previamente notificare la sua intenzione, corredata di tutti gli elementi utili a valutarla, alla Commissione europea e attenderne l'autorizzazione. Nel caso di incompatibilità con il Trattato di un aiuto già erogato, la Commissione può ingiungere al soggetto pubblico di adottare tutte le misure idonee al fine di recuperarlo dal beneficiario.

L'art. 107 § 2 disciplina tre tipologie di aiuti che sono ritenuti sempre compatibili con il mercato interno: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti, b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali, c) gli aiuti destinati ai länder dell'ex Repubblica Democratica Tedesca.

La Commissione, inoltre, può autorizzare: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia particolarmente basso o vi sia una grave forma di sottoccupazione; b) gli aiuti destinati a finanziare un progetto di comune interesse europeo, o a rimediare a una situazione di grave turbamento nell'economia di uno Stato membro; c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o regioni economiche (Tribunale di primo grado CE, 13 gennaio 2004, causa T-158/99*); d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura o conservare il patrimonio (art. 107 § 3 TFUE).

Il Consiglio, infine, può deliberare la compatibilità di determinati aiuti al Trattato a maggioranza qualificata su proposta della Commissione (art. 107 § 3, lett. e), o all'unanimità se la richiesta proviene da uno Stato membro e "circostanze eccezionali” giustifichino la decisione (art. 108 § 2).

Con il Regolamento n. 994 del 7 maggio 1988 sull'applicazione degli art. 87 e 88 del TCE (ora sostituiti dagli artt. 107 e 108 TFUE) il Consiglio ha autorizzato la Commissione ad esentare determinate categorie di aiuti dall'obbligo di preventiva notifica. Nell'esercizio di tale facoltà, la Commissione ha emanato quattro regolamenti relativi agli aiuti destinati alla formazione (Regolamento CE n. 68/2001 del 12 gennaio 2001), agli aiuti d'importanza minore (Regolamento CE n. 69/2001 del 12 gennaio 2001), agli aiuti a favore delle piccole e medie imprese (Regolamento CE n. 70/2001 del 12 gennaio 2001) e agli aiuti destinati all'occupazione (Regolamento CE n. 2204/2002 del 12 dicembre 2002). 

Con il regolamento (CE) n. 1998/2006 del 15 dicembre 2006, in particolare, la Commissione, confermando una prassi decisionale consolidata, ha enunciato la c.d. regola de minimis, secondo la quale vanno considerati d'importanza minore e perciò inidonei a incidere sul mercato comunitario gli aiuti erogati a un'impresa che non superano i 200.000 euro nell'arco di un triennio. Sono esplicitamente esclusi dall'applicazione della regola de minimis alcuni settori, tra cui, in particolare i trasporti, l'agricoltura, la pesca, le attività connesse all'esportazione (C. cost., 23 marzo 1999, n. 85*). Inoltre, ai fini dell'applicazione della regola in oggetto non vanno considerati nel cumulo gli aiuti autorizzati dalla Commissione.

 

§ B.2 I principi europei non scritti

 

Taluni principî giuridici che informano la disciplina comunitaria degli appalti pubblici e delle concessioni non sono espressamente sanciti dai Trattati europei o dal diritto comunitario derivato ma sono stati elaborati nel tempo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

La Comunicazione interpretativa della Commissione CE sulle concessioni nel diritto comunitario del 12 aprile 2000, in GUCE, 29 aprile 2000, n. C 121, 2 e s. propone una ricognizione di tali principî, come desunta dalla lettura della giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di concessioni e, in parte, di appalti pubblici (in quanto taluni di essi sono sottesi anche alla disciplina comunitaria sugli appalti pubblici): sono così individuati i principî di parità di trattamento (uguaglianza), trasparenza, proporzionalità, mutuo riconoscimento, obbligo di motivazione e tutela giurisdizionale, quali definizione della validità delle discipline nazionali (conformità al Trattato UE) che hanno ad oggetto la scelta del contraente (per ulteriori approfondimenti sul punto, R. Cavallo Perin, I principi come disciplina giuridica del pubblico servizio tra ordinamento interno e ordinamento europeo, in Dir. amm., 2000, 41 e s.).

Il principio di parità di trattamento impone all'amministrazione aggiudicatrice che negozia con una pluralità di candidati di scegliere il proprio contraente in applicazione di criteri obiettivi e nel rispetto delle regole procedurali e dei requisiti inizialmente stabiliti.

Il principio di trasparenza impone all'amministrazione aggiudicatrice di rendere pubblica la propria intenzione di contrarre con le modalità ritenute più appropriate, precisando le informazioni necessarie (contenuto della prestazione richiesta, requisiti di partecipazione, criteri di scelta del contraente...) affinché i potenziali offerenti possano valutare il proprio interesse a partecipare alla procedura selettiva.

Il principio di proporzionalità esige che ogni provvedimento adottato sia al contempo adeguato e necessario allo scopo perseguito: la definizione delle prestazioni richieste e delle regole di gara deve pertanto essere proporzionale (insieme adeguata e necessaria rispetto) all'obiettivo che si intende conseguire.

Il principio di mutuo riconoscimento impone all'amministrazione aggiudicatrice di uno Stato membro di «accettare le specifiche tecniche, i controlli, i titoli, i certificati e le qualifiche prescritti in un altro Stato membro, nella misura in cui essi siano riconosciuti equivalenti a quelli richiesti dallo Stato membro destinatario della prestazione».

I principi di obbligo di motivazione e tutela giurisdizionale richiedono che le decisioni delle autorità pubbliche siano sempre motivate ed eventualmente oggetto di ricorsi giurisdizionali da parte dei destinatari.

 


§ B.3 I principi generali in materia di contratti pubblici

 

L'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione si fondano nell'ordinamento giuridico italiano sui principî menzionati nell'art. 97 della Costituzione secondo cui «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari».

L'art. 97, Cost. enuncia innanzitutto il principio di legalità, che impone all'amministrazione pubblica di perseguire i fini previsti dalla legge e di operare conformemente alla disciplina legislativa di riferimento, con la conseguenza che gli atti posti in essere dall'amministrazione e difformi dalla legge sono invalidi (cfr. anche art. 1, l. 241 del 1990).
I principî generali di imparzialità e buon andamento sono specificati, per quanto concerne l'attività contrattuale della pubblica amministrazione, dall'art. 2, c. 1, d. lgs. n. 163 del 2006, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che espressamente stabilisce che «l'affidamento e l'esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; l'affidamento deve altresì rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonchè quello di pubblicità».
Alla procedura di scelta del contraente, per le parti non espressamente disciplinate dalle fonti europee e nazionali, si applica la normativa generale sul procedimento amministrativo di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241. L'art. 1, c. I, I bis e I ter della l. 241 del 1990 dispongono che l'attività amministrativa sia «retta da criteri di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza... nonché dai principi dell'ordinamento comunitario»; che l'amministrazione pubblica «nell'adozione degli atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente» e che «I soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei princípi di cui al comma 1, con un livello di garanzia non inferiore a quello cui sono tenute le pubbliche amministrazioni in forza delle disposizioni di cui alla presente legge».

L'attività contrattuale della pubblica amministrazione, compresa la materia degli appalti pubblici, è dunque sottoposta ai menzionati principî europei cui si aggiungono i principi (o «criteri») di efficacia ed economicità nonché di efficienza, quali specificazione del buon andamento cui deve essere preordinata l'azione amministrativa ex art. 97 Cost., anche ove l'amministrazione utilizzi istituti propri del diritto privato.

I principi di efficienza, efficacia ed economicità, tradizionalmente studiati in dottrina con particolare riferimento al procedimento amministrativo, interessano pertanto la materia degli appalti pubblici.

Il giudizio che assume quali parametri di valutazione dell'attività delle amministrazioni pubbliche i principî di «efficienza, efficacia ed economicità» si distingue dal giudizio di validità.

L'efficienza (E), secondo la nozione più semplice detta "aziendalista”, è la misura del raggiungimento del massimo di prodotti all'utenza (output) dato un certo livello di risorse umane, finanziarie e strumentali, cioè il rapporto tra il risultato (R) dell'azione organizzativa e la quantità di risorse (M) impiegate [E= R/M].

Secondo altre elaborazioni più complesse l'efficienza è un criterio per definire le possibilità di «auto mantenimento e coesione» tra i componenti di una struttura, la continuità nel tempo dell'organizzazione e del suo adattamento all'ambiente in cui opera (sistema naturale), ovvero come «abilità di un' organizzazione» di sfruttare il proprio ambiente per acquisire « risorse scarse o pregiate» (sistema aperto), o di conformarsi agli scopi prefissati, sia come efficienza degli individui nel portare ad esecuzione i compiti affidati, sia come propensione dei soggetti all'osservanza delle norme dell'organizzazione, sia come distribuzione di compiti conformi alla predisposizione individuale degli operatori. Si può affermare che nella scienza dell'amministrazione l'efficienza è l'indice della capacità di un'organizzazione di soddisfare le aspettative della comunità di riferimento (tesi detta sociologica).

L'efficacia è stata a sua volta intesa quanto meno in due accezioni: come efficacia gestionale (cultura aziendalista), ovvero come efficacia sociale.

L'efficacia gestionale (Eg) misura i risultati (R) in concreto ottenuti in ragione degli obiettivi desiderati (Od), cioè predefiniti in programmi annuali o pluriennali, direttive, o atti generali di gestione. Sarà efficace un servizio ove gli obiettivi predeterminati dagli organi dell'ente abbiano un'alta probabilità di essere attuati dall'organizzazione, poiché i risultati hanno raggiunto, o superato, le previsioni [Eg= R/Od], grazie ad una corretta valutazione delle possibilità di impiego delle risorse, delle potenzialità dell'organizzazione di riferimento, e così via.

L'efficacia sociale indica invece come un'attività riesce a « modificare» i bisogni sociali, cerca di misurare il grado di soddisfazione di una domanda, offrendo un criterio utile a rilevare l'effetto prodotto sui destinatari di un servizio in ragione dei bisogni sociali della comunità .

L'economicità indica il minore utilizzo possibile di risorse, ma la definizione è in verità sintesi di una pluralità di configurazioni: quella «aziendalista» ritiene economico il comportamento che in presenza di mezzi limitati tende al massimo risultato; quella «comparativa» invece parte dalla considerazione che ogni operatore, avendo avanti a sé una molteplicità di obiettivi da perseguire con risorse limitate , opta per la soluzione che ritiene produca il massimo benessere ad una comunità (vantaggi), con la conseguenza che è economica quella soluzione che offre vantaggi superiori ai costi derivanti dalla mancata utilizzazione delle stesse risorse in scelte (soluzioni) alternative (R. Cavallo Perin, voce Validità del provvedimento e dell'atto amministrativo, in Digesto Disc. pubbl., Torino, Utet, 2000, vol. XV, 613 e s.).