Unità 2 - La tutela della salute come interesse della collettività

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Course: Diritto sanitario (Torino) - 9 CFU - 21/22
Book: Unità 2 - La tutela della salute come interesse della collettività
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Date: Thursday, 10 July 2025, 5:46 AM

Description


1. La tutela della salute come interesse collettivo

La disciplina costituzionale sulla tutela della salute stabilisce, come si è già visto, che essa è compito delle istituzioni della Repubblica non solo a garanzia dei diritti dei singoli, ma anche a protezione di un interesse collettivo.

Tale dimensione di interesse collettivo della tutela della salute giustifica anzitutto le funzioni di polizia igienico-sanitaria e profilassi internazionale esercitata delle istituzioni: ciò si traduce nella fissazione di limiti all'esercizio in primis di libertà a contenuto economico, come ad es. il diritto di proprietà o la libertà d'iniziativa economica.
In altre parole, la Costituzione legittima le istituzioni a prevedere con norme legislative - attesa la normale sussistenza di riserve di legge nelle corrispondenti disposizioni costituzionali (artt. 41 e 42 Cost.) - ad es. requisiti edilizi per le costruzioni che ne preservino la salubrità, o ancora peculiari modalità di esercizio delle attività economiche che tutelino la salute dei lavoratori, dei terzi e dell'ambiente, o che limitino i rischi di contagio in presenza di virus particolarmente contagiosi (si pensi agli obblighi di portare la mascherina o di essere in possesso del c.d. "green pass" previsti in occasione della pandemia da Corona virus).
Con riferimento alla libertà di circolazione (art. 16 Cost.), poi, si prevede espressamente che ragioni di sanità possano fondare limitazioni, purché previste in via generale (cioè nei confronti di chiunque): ad es. con la prescrizione di obblighi vaccinali nel caso di viaggi verso paesi in cui siano presenti particolari patologie virali, o di obblighi di quarantena al rientro (espressione entrambi di funzioni di profilassi internazionale), o di "cordoni sanitari" per gli spostamenti interni al paese.

In tutte queste ipotesi al più potrà essere oggetto di verifica la proporzionalità del sacrificio imposto rispetto al beneficio ricercato, e dunque la ragionevolezza del relativo limite, fermo restando che in sede di bilanciamento è normale attribuire preminenza ai diritti della personalità rispetto a quelli a contenuto economico.

1.1. I trattamenti sanitari obbligatori e il ricovero ospedaliero coatto

La stessa dimensione di interesse collettivo della tutela della salute dà fondamento alla previsione dei c.d. "trattamenti sanitari obbligatori", in deroga cioè al principio di volontaria adesione alla cure di cui si è detto nell'unità 1 e che fonda il diritto al consenso informato ai trattamenti.

La Costituzione stabilisce che gli stessi possano essere imposti nei soli casi previsti dalla legge, ponendo una riserva di legge di cui si è affermato il carattere relativo (art. 32, co. 2°, Cost.), ciò sempre che l'imposizione non abbia carattere coercitivo, ove soccorre la più severa previsione di una riserva di legge assoluta di cui all'art. 13 Cost.

Sul punto occorre ricordare che si ha riserva di legge assoluta quando una norma costituzionale riserva in alcune materie alla legge (fonte normativa primaria) la definizione della intera disciplina di riferimento. Per riserva di legge relativa invece si intende la riserva di legge che ammette l’intervento di fonti di rango secondario sotto forma di disciplina applicativa o di dettaglio, sempre però sulla base della fonte legislativa cui è comunque riservata la fissazione dei principi fondamentali in materia.

La riserva di legge relativa implica dunque che il legislatore definisca i principi e criteri direttivi indisponibili all’autonomia regolamentare. 

Dalla riserva di legge si distingue la c.d. "riserva di amministrazione" ai sensi della quale la disciplina di dettaglio di una data materia è da intendersi di esclusiva spettanza dell'amministrazione, e dunque indisponibile al legislatore (es. art. 117, co. 6°, Cost.), secondo un principio correlato alla responsabilizzazione della p.a. necessaria alla tutela del buon andamento (art. 97, co. 2°, Cost., cfr. M. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1966). In ambito sanitario la riserva di amministrazione può invocarsi, specialmente a fronte del potere giurisdizionale, ove si tratti, ad es., di individuare farmaci e trattamenti sanitari autorizzati ed erogati a spese del SSN.

La riserva di legge in tema di trattamenti sanitari obbligatori si qualifica come riserva di legge relativa: è pertanto illegittimo qualsiasi intervento pubblico privo di fondamento legislativo. In virtù della riserva di legge la disciplina - quantomeno di principio - dei trattamenti sanitari obbligatori deve essere contenuta nella legge. Come anticipato, ove l'intervento si traduca in una limitazione della libertà individuale (ad es. con un ricovero ospedaliero coatto), l'art. 32 va letto in combinato disposto con l'art. 13 Cost. e sulla riserva di legge assoluta da esso posto a tutela della libertà personale del singolo.

In materia di trattamenti sanitari obbligatori la legge stabilisce che gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari e solo nei casi previsti dalla legge possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti in via obbligatoria, «secondo l'articolo 32 della Costituzione, nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura» (l. n. 833 del 1978, art. 33).

La limitazione della libertà individuale del destinatario del trattamento si giustifica, dal punto di vista costituzionale, in quanto preordinata alla tutela dell'interesse collettivo nel contemporaneo perseguimento del diritto alla salute dell'individuo. Il trattamento sanitario obbligatorio è cioè legittimo solo ove persegua contemporaneamente le due finalità di tutela della collettività e del singolo, ove conseguenze negative per quest'ultimo sono ammissibili solo ove temporanee e di lieve entità.

I trattamenti sanitari si distinguono in coattivi e non coattivi: solo i primi possono essere imposti con la coercizione fisica del destinatario (es. il ricovero ospedaliero coatto), mentre i secondi si basano su un obbligo non coercibile (es. le vaccinazioni).

Appartiene alla prima tipologia il ricovero ospedaliero coatto disposto nei confronti dei malati psichici o, più precisamente, nel caso di "alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici" che "non vengano accettati dall'infermo". La misura è da considerarsi ammissibile solo come extrema ratio, ove cioè "non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere". 

Nel caso dei trattamenti sanitari obbligatori in degenza (c.d. ricovero ospedaliero coatto), al medico spetta il compito di proporre motivatamente l’accertamento o il trattamento sanitario obbligatorio e la proposta dev'essere convalidata da un altro medico dell'Asl competente per territorio. 

Il sindaco - in qualità di autorità sanitaria -  ha quindi la competenza all’adozione del provvedimento, nonché alla sua revoca o modifica attraverso lo stesso procedimento. 

Il suddetto provvedimento deve essere emanato entro 48 ore dalla convalida della proposta del medico e notificato al giudice tutelare, unitamente alla stessa convalida, entro 48 ore dal ricovero. Entro 48 ore al giudice tutelare compete l’adozione del decreto motivato di convalida o non convalida del provvedimento dandone comunicazione al sindaco il quale, in caso di mancata convalida, dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio (cfr. l. 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 33, 34, 35 ).

Il procedimento così descritto ricalca la disciplina costituzionale in tema di libertà personale (art. 13 Cost.), ove, oltre alla riserva di legge, si prevede la c.d. "riserva di giurisdizione", cioè il necessario intervento di un giudice a convalida del provvedimento di limitazione della libertà stessa.

La dignità della persona sottoposta al trattamento è tutelata dalle previsioni che impongono di accompagnarne la somministrazione con "iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi e' obbligato", garantendo altresì a quest'ultimo il "diritto di comunicare con chi ritenga opportuno" in ogni fase del trattamento (l. n. 833 del 1978, art. 33).

Per una scheda di sintesi visita il sito del Ministero della Giustizia 

1.2. Le vaccinazioni obbligatorie

Le vaccinazioni si inseriscono nell'ambito dei trattamenti che il legislatore prevede sia nell'interesse individuale sia in quello della collettività, dunque come deroga al principio di volontaria adesione ai trattamenti sanitari fondata sull'art. 32, comma 2°, Cost. 

L'imposizione di un obbligo in merito è considerata non in contrasto con la Costituzione nella misura in cui siano contemporaneamente tutelati l'interesse individuale (immunizzazione) e quello collettivo (copertura vaccinale), salva l'ammissibilità di conseguenze negative per il primo che sono ammissibili perché "temporanee e di scarsa entità".

Da ultimo il legislatore ha previsto per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni n. 10 vaccinazioni obbligatorie e gratuite (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, ecc.) e n. 4 vaccinazioni oggetto di un'offerta attiva e gratuita, con possibilità di esonero nei soli casi di immunizzazione naturale o di accertato pericolo per la salute attestato dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta (d.l. 7 giugno 2017, n. 73, conv. in l. 31 luglio 2017, n. 119).

L'adempimento dell'obbligo vaccinale va dichiarato al momento dell'iscrizione a scuola: nel caso di violazione è prevista la somministrazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 100 a euro 500), ma non l'esecuzione coattiva. L'adempimento è requisito d'accesso solo per i servizi educativi per l'infanzia e le scuole dell'infanzia: a ben vedere dunque la disciplina non reca alcuna violazione del diritto all'istruzione, restando consentito l'accesso dei bambini non vaccinati alla scuola dell'obbligo (cfr. Cons. Stat., ordinanza 21 aprile 2017, n. 1662, ove si definisce "coerente con il sistema normativo generale" la prescrizione di vaccinazioni obbligatorie), ciò benché la frequenza della scuola materna e dei servizi per l'infanzia costituisca comunque "un'occasione cruciale di sviluppo della personalità e di avviare l'acquisizione di importanti attitudini relazionali e facoltà di apprendimento in un ambiente formatore e pedagogico" (Corte Edu, grande ch., 8 avril 2021, Vavricka et a. c. République Tchèque). 

Per quanto riguarda l'accesso alla scuola dell'obbligo, l'inadempimento dell'obbligo vaccinale sarà al più tenuto in considerazione ai fini della composizione delle classi, onde evitare di inserire nelle stesse aule bambini non vaccinati e altri immunodepressi o in particolari condizioni di fragilità sanitaria.

Si ripristina in tal modo la situazione di obbligatorietà vaccinale prevista sin dagli anni '30 (cfr. l. 6 giugno 1939, n. 891, che stabiliva l'obbligatorietà della vaccinazione antidifterica)*, venuta meno di recente in alcune regioni per espressa autorizzazione alla deroga. La decisione di tornare al regime previgente deriva dalla constatazione di un abbassamento della copertura epidemica che si è ritenuto suscettibile di costituire un rischio per la collettività.

L'obbligo così imposto è stato considerato ragionevole alla luce dell'obiettivo di rafforzamento della profilassi vaccinale, anche in ragione della scarsa efficacia degli strumenti "persuasivi" precedentemente sperimentati (Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 5), e ciò nonostante il fatto che possano darsi rari casi in cui il vaccinato riporta danni non, come si è detto in precedenza, di scarsa entità e temporanei, ma al contrario irreversibili e gravi.

L'ordinamento compie in tal modo una c.d. "scelta tragica", ponendo a carico del singolo il rischio di un danno (l'infezione, seppur rarissima) che risponde anzitutto a un interesse collettivo (l'eliminazione di una patologia), ove il c.d. "elemento tragico" sta nel fatto che "sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri" (Corte cost. n. 118 del 1996): così nel caso di danno grave e irreversibile alla salute del bambino vaccinato, questi sopporta un danno sproporzionato rispetto al vantaggio arrecato alla collettività dalla somministrazione del vaccino singolo, ove tuttavia la scelta del legislatore permane ragionevole alla luce della scarsa incidenza di tali tragici evenienze in termini statistici.

In tali casi, i danni riportati in seguito alla vaccinazione non si configurano come derivanti da atto illecito in grado di generare una responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ma determinano l'obbligo di corrispondere un indennizzo (Corte cost., n. 118 del 1996; Corte Cost. n. 107 del 2012). 

Resta salva ovviamente l'ipotesi opposta, in cui i danni riportati dal soggetto vaccinato siano determinati da un comportamento caratterizzato da dolo o colpa dell'operatore sanitario, ove al contrario se ne configura la normale responsabilità civile, con obbligo di pieno risarcimento del danno subito.
Qualora al contrario i danni non conseguano a un fatto illecito, perché la vaccinazione è stata eseguita nel rispetto dei protocolli e delle normali regole di prudenza, l'ordinamento pone comunque a carico della collettività l'onere di indennizzare l'interessato, assolvendo in tal modo al dovere di solidarietà (art. 2 Cost.). Come l'interessato ha accettato di sottoporsi alla vaccinazione (anche) nell'interesse della collettività, la collettività stessa si fa carico dei costi correlati alla disabilità derivante dalla vaccinazione, benché si tratti di danni provocati da un fatto lecito, che normalmente dovrebbero rimanere a carico dell'interessato.

La previsione di un obbligo di indennizzo in caso di danni da vaccinazioni risponde dunque alla previsione degli artt. 2 e 32 Cost. (dovere di solidarietà e tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo).

La Corte costituzionale nel tempo ha esteso l'obbligo di indennizzo includendo nel novero delle ipotesi considerate anche quelle in cui i danni derivino da vaccinazioni non obbligatorie ma meramente "raccomandate": anche in tal caso il singolo si sottopone al trattamento nell'interesse della collettività, riponendo un affidamento nella sicurezza di esso in ragione delle campagne di promozione poste in essere dall'amministrazione, ove pare irrilevante il fatto che non sia previsto un obbligo in senso proprio di vaccinarsi (da ultimo per l'estensione dell'obbligo nel caso di vaccino anti-influenzale: Corte cost., n. 268 del 2017).

Per un approfondimento: Ministero della Salute, Vaccinazioni, stato dell’arte, falsi miti e prospettive, 2 aprile 2017

Diversa è l'ipotesi di obblighi vaccinali imposti a peculiare categorie di lavoratori in occasione dell'attuale pandemia da Corona virus (per gli gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario: d.l. 1° aprile 2021, n. 44, conv. in l. 28 maggio 2021, n. 76, art. 4): in tale caso l'obbligo si configura come condizione per l'esecuzione della prestazione dedotta nel rapporto di lavoro e il suo inadempimento comporta, ove non sia possibile la destinazione a diverse mansioni non a contatto con il pubblico, la sospensione del rapporto di lavoro (con perdita del diritto a retribuzione). Tale misura dunque non assolve in alcun modo ad una funzione sanzionatoria.


* L'obbligo vaccinale - con riguardo alla vaccinazione antivaiolosa - è introdotto per la prima volta nel Regno d'Italia con la l. 22 dicembre 1888, n. 5849, Sulla tutela dell'igiene e sanità pubblica, che si rifà al Vaccination Act adottato nel Regno Unito nel 1853