Unità 6 Il diritto alle cure sanitarie: i modelli di tutela della salute, l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e l’articolazione amministrativa delle competenze

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Corso: Diritto sanitario (Torino) - 9 CFU - 21/22
Libro: Unità 6 Il diritto alle cure sanitarie: i modelli di tutela della salute, l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e l’articolazione amministrativa delle competenze
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Data: giovedì, 10 luglio 2025, 05:19

Descrizione

All’entrata in vigore della Costituzione non è seguita almeno inizialmente, l’attuazione del diritto alla salute in senso universalistico. La parità di trattamento dei cittadini di fronte alla tutela della salute si afferma, infatti, solo col riconoscimento come principio ispiratore del Servizio Sanitario Nazionale ( L. 23 dicembre 1978, n. 833).
Il modello vigente fino agli anni sessanta prevede piuttosto una tutela assicurativo – previdenziale dei lavoratori, secondo i principi di cui all’art. 38 Cost.
Il carattere “volontaristico-caritatevole” del sistema sanitario italiano comincia ad essere superato solo con la c.d. legge di riforma ospedaliera che istituisce gli enti ospedalieri (c. d. legge Mariotti – legge 12 febbraio 1968, n. 132), poi con la soppressione degli enti mutualistici (L. 17 agosto 1974, n. 386 e della L. 29 giugno 1977, n. 349).
E’ solo con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale che si supera il sistema mutualistico con piena attuazione della Costituzione (legge 23 dicembre 1978, n. 833): la riforma anzi va persino oltre il dettato costituzionale, prevedendo che il diritto alla salute – che «La Repubblica tutela come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»: sia garantito «a tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali». La garanzia del diritto alla salute si afferma perciò in maniera universalistica.
L’obbligo di tutela del diritto alla salute (fisica e psichica) è posto dunque in capo alla Repubblica, attraverso tutte le sue articolazioni (Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni e Stato: art. 114, co. 1º, Cost.).
La sua attuazione deve conformarsi al rispetto della dignità e della libertà della persona umana, con ciò richiamando tanto i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.), tanto il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), nel senso dell’obbligo di apportare un apolitica sanitaria che soddisfi l’uguaglianza sostanziale dei cittadini.
Nel tempo il Servizio sanitario nazionale è stato interessato da importanti riforme attraverso vari provvedimenti normativi tra cui: il D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino del servizio nazionale e il D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229.
Il primo perseguiva anzitutto finalità di contenimento della spesa sanitaria, oltre che di riduzione della politicizzazione nella gestione della sanità: configurando le Usl come enti regionali, la riforma dà avvio al processo che ha visto, per tutto il decennio successivo la progressiva sottrazione della gestione ai comuni e l’introduzione delle “aziende” come modello gestionale (c. d. aziendalizzazione), secondo un processo che giunge a compimento con il successivo D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229.
Da segnalare, sin da ora, è inoltre la c. d. riforma del titolo V parte seconda della Costituzione (L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3), che individua la “tutela della salute” come materia di competenza concorrente Stato-Regioni (art. 117, co. 3º Cost.), ove dunque spetta allo Stato  la fissazione dei principi fondamentali della materia e alle Regioni la relativa attuazioen con norme legislative e regolamentari.
Pur confermando la competenza concorrente (o ripartita) già prevista dall’assetto previgente, la riforma rileva anzitutto per il superamento della locuzione «assistenza sanitaria e ospedaliera», con individuazione della più ampia nozione di tutela della salute, che di per sé è idonea a ricomprendere.
Contemporaneamente, con la riforma del titolo V lo Stato attrae alla propria competenza esclusiva la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117 co. 2º lett. m Cost.).
L’evoluzione italiana del modello di tutela del diritto alla salute sopra delineato può perciò essere ricondotto principalmente a tre modelli di tutela: un modello di assicurazione volontaria, un modello di assicurazione sociale e un modello di Servizio sanitario nazionale.
Il modello di assicurazione volontaria si caratterizza per l’assenza di alcun tipo di obbligatorietà nei confronti dei cittadini, distinguendosi in questo dagli altri due modelli. Ciascun individuo può liberamente decidere se assicurarsi o meno con un soggetto privato che provvederà a garantire la prestazione di cura direttamente o attraverso il rimborso di cure erogate da soggetti da esso indipendenti. Questo modello è stato operativo in Italia fino ai primi anni Quaranta. I cittadini potevano scegliere se iscriversi ad una cassa di mutuo soccorso o al registro comunale degli indigenti. Le società mutualistiche garantivano un’indennità ai propri iscritti nel caso di perdita anche temporanea del lavoro.
Il modello di assicurazione sociale di malattia si caratterizza invece per essere un sistema legato alla sfera lavorativa dell’individuo. Infatti la legge obbliga gli individui alla contribuzione di una cassa di malattia. Questo modello è stato utilizzato in Italia fino al 1978, anno istitutivo del Servizio sanitario nazionale.
Infine il modello di Servizio sanitario nazionale si caratterizza per essere finanziato attraverso il gettito fiscale e a differenza degli altri due modelli questo presuppone una garanzia all’intera popolazione. Con questo modello lo Stato si impegna a fornire direttamente le prestazione ai suoi cittadini. Questo sistema comincia a subire alcune modifiche nei primi anni Novanta.

1. I modelli organizzativi di sistema sanitario

La teoria dell'organizzazione sanitaria riconduce i sistemi sanitari a tre modelli alternativi: il modello di assicurazione volontaria, il modello di assicurazione sociale e il modello di Servizio sanitario nazionale.

Il primo (assicurazione volontaria) si caratterizza per un'adesione volontaria degli individui al sistema: l'amministrazione non ha alcun obbligo di erogare le prestazioni  e i singoli non sono tenuti ad assicurarsi. Ciascun individuo può liberamente decidere se assicurarsi o meno con un soggetto privato che provvederà a garantire la prestazione di cura direttamente o attraverso il rimborso di cure erogate da soggetti terzi. Accedono all'assistenza gratuita gli iscritti ad una cassa di mutuo soccorso o al più quanti siano inseriti in un apposito registro comunale in quanto indigenti. Le società mutualistiche garantiscono inoltre un’indennità ai propri iscritti nel caso di perdita anche temporanea del lavoro. 

Il modello di assicurazione sociale di malattia si caratterizza invece per il legame con la sfera lavorativa dell’individuo. La legge obbliga tutti i lavoratori alla contribuzione ad una cassa di malattia (spesso è un "benefit" a carico del datore di lavoro) che finanzia - e talora eroga direttamente - le prestazioni sanitarie a questi necessarie.

Infine il modello di Servizio sanitario nazionale si caratterizza per essere finanziato attraverso il gettito fiscale e, a differenza degli altri due modelli, presuppone l'erogazione delle prestazioni in favore dell'intera popolazione. Con questo modello l'amministrazione sanitaria si impegna a erogare in tutto o in parte direttamente le prestazioni agli utenti. 

Questi modelli si ritrovano negli ordinamenti giuridici dei Paesi Occidentali secondo declinazioni specifiche. Tra gli altri, ad esempio, il sistema statunitense si ispira al modello dell'assicurazione volontaria, mentre il sistema francese al modello di assicurazione sociale di malattia, infine il modello del sistema sanitario nazionale si ritrova in Inghilterra.L'evoluzione italiana di tutela del diritto alla salute sopra delineato può essere ricondotto principalmente a tre modelli di tutela: il modello di assicurazione volontaria, il modello mutualistico e il modello di servizio sanitario nazionale.  

Il modello di assicurazione volontaria è stato operativo in Italia fino ai primi anni Quaranta e ha visto come figura centrale del sistema stesso il c.d. medico condotto, il quale doveva assistere a titolo gratuito gli indigenti e dietro retribuzione gli altri cittadini. Lo stesso inoltre ricopriva la qualifica di ufficiale sanitario. L'assistenza ospedaliera era erogata per lo più dalle Opere Pie, istituzioni religiose e caritatevoli. Tale sistema ha continuato ad operare anche sotto il regime fascista. 

La convinzione che tale sistema non fosse adeguato a soddisfare le esigenze sanitarie portò ad un mutamento di tale modello quando nel 1943 venne istituito l'Inam (Istituto nazionale per l'assicurazione contro le malattie) cui dovevano obbligatoriamente iscriversi tutti i lavoratoti dipendenti in determinati settori (industria, commercio, settore creditizio-assicurativo). Negli anni Sessanta vennero poi istituite le casse mutue dei liberi professionisti. Questo modello viene utilizzato in Italia fino al 1978, anno istitutivo del Servizio sanitario nazionale, ma comincia ad essere superato già con la c.d. legge di riforma ospedaliera che istituisce gli enti ospedalieri (c. d. legge Mariotti – legge 12 febbraio 1968, n. 132), poi con la soppressione degli enti mutualistici (L. 17 agosto 1974, n. 386 e della L. 29 giugno 1977, n. 349).

Si comprende perciò come con l'entrata in vigore della Costituzione non è seguita almeno inizialmente, l’attuazione del diritto alla salute in senso universalistico. La parità di trattamento dei cittadini di fronte alla tutela della salute si afferma, infatti, solo col riconoscimento come principio ispiratore del Servizio Sanitario Nazionale ( l. 23 dicembre 1978, n. 833). E’ solo con la legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale che si supera il modello mutualistico con piena attuazione della Costituzione (legge 23 dicembre 1978, n. 833): la riforma anzi va persino oltre il dettato costituzionale, prevedendo che il diritto alla salute – che «La Repubblica tutela come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» sia garantito «a tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali» (art. 1). La garanzia del diritto alla salute si afferma perciò in maniera universalistica.

L’obbligo di tutela del diritto alla salute (fisica e psichica) è posto dunque in capo alla Repubblica, attraverso tutte le sue articolazioni (Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni e Stato: art. 114, co. 1º, Cost.). La sua attuazione deve conformarsi al rispetto della dignità e della libertà della persona umana, con ciò richiamando tanto i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2 Cost.), tanto il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), nel senso dell’obbligo di apportare una politica sanitaria che soddisfi l’uguaglianza sostanziale dei cittadini.

Nel tempo il Servizio sanitario nazionale è stato interessato da importanti riforme attraverso vari provvedimenti normativi tra cui: il D. Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 di riordino del servizio nazionale e il D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229.  Il primo perseguiva anzitutto finalità di contenimento della spesa sanitaria, oltre che di riduzione della politicizzazione nella gestione della sanità: configurando le Usl come enti regionali, la riforma dà avvio al processo che ha visto, per tutto il decennio successivo la progressiva sottrazione della gestione ai comuni e l’introduzione delle “aziende” come modello gestionale (c. d. aziendalizzazione), secondo un processo che giunge a compimento con il successivo D. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229. Come si è visto, inoltre, la c. d. riforma del titolo V parte seconda della Costituzione (L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3) ha individuato la “tutela della salute” come materia di competenza concorrente Stato-Regioni (art. 117, co. 3º Cost.), ove dunque spetta allo Stato  la fissazione dei principi fondamentali della materia e alle Regioni la relativa attuazione con norme legislative e regolamentari. Contemporaneamente, con la riforma del titolo V lo Stato attrae alla propria competenza esclusiva la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117 co. 2º lett. m Cost.).

1.1. Il modello di assicurazione sociale od obbligatoria. La tutela della salute nell'ordinamento francese

Nel modello c. d. Bismarckiano dell’ “assicurazione sociale” rivestono un ruolo centrale le casse di malattia (organizzazioni private senza scopo di lucro) alle quali alcune categorie di lavoratori sono obbligati a versare una parte del proprio stipendio. Attraverso le casse (e i contributi versati) ai lavoratori sono rimborsate le spese mediche sostenute individualmente o per i familiari a carico. 

Il modello prevede l’obbligo per alcune categorie professionali di versare i contributi alle casse e la facoltà di scelta per gli altri individui di stipulare una polizza volontaria o acquistare le prestazioni sanitarie in regime di mercato. Ai lavoratori vengono assegnate d’ufficio le casse mutualistiche cui affiliarsi sulla base della professione svolta o del tipo di impiego (nel settore pubblico, nell'industria, ecc.). 

Il modello di assicurazione sociale presenta anzitutto una criticità: la difformità del trattamento sanitario che deriva dal collegamento dell’assistenza alle condizioni lavorative dell’individuo. A differenza del modello universalistico il sistema dell’assicurazione sociale di malattia esclude dalla tutela chi non appartiene ad alcuna delle categorie professionali sottoposte ad obbligo assicurativo. Il modello può perciò garantire la copertura assicurativa a tutta la popolazione solo se accompagnato da ulteriori strumenti di copertura dei rischi malattia.
Non si differenzia significativamente da quello di assicurazione volontaria per quanto riguarda la libertà degli assistiti di scegliere dove farsi curare e ricorda quello del sistema mutualistico vigente in Italia tra il 1943 e il 1978.

Il modello sanitario di assicurazione sociale (obbligatorio) è adottato dalla Francia unitamente alla facoltatività di assicurazioni private complementari. Il modello francese si distingue da quello tedesco (dove è possibile scegliere la cassa dove iscriversi) e prevede che l’assegnazione sia collegata alla professione svolta; l’assicurazione si estende anche ai familiari dell’assicurato.
I soggetti fornitori delle prestazioni non coincidono con le casse. Il modello delle casse non prevede il rimborso di tutte le prestazioni mediche sostenute: ciò che non è rimborsato è sostenuto dal paziente.
Per garantire l’erogazione delle cure anche a coloro che rimanevano esclusi per ragioni lavorative dall’assicurazione sociale, nel 2000 è stata istituita la Couverture Maladie Universelle (CMU), finanziata dalla fiscalità generale, che oggi rimborsa coloro che non possono sostenere regolarmente il pagamento dei contributi.

1.2. Il modello di assicurazione volontaria. La tutela della salute negli Stati Uniti d'America

Il modello sanitario di “assicurazione volontaria” si caratterizza per l’assenza di un obbligo assicurativo contro il rischio di malattia; oltre agli utenti e ai fornitori delle prestazioni sanitarie, partecipano a questo modello i soggetti assicuratori. Generalmente l’erogazione delle cure viene prestata da un soggetto diverso dall’assicuratore che rimborsa la prestazione sanitaria, spesso individuato dalle stesse compagnie assicurative. 

Ogni prestazione sanitaria non assicurata dovrà essere pagata integralmente dall’utente, anche qualora la mancata assicurazione sia dipesa da impossibilità economica. l’assenza dell’universalismo nell’accesso alle cure distingue perciò il modello di assicurazione volontaria da quello del “servizio sanitario nazionale” italiano. Non tutte le tipologie di prestazioni mediche sono infatti coperte dall’assicurazione; le polizze possono escludere dal rimborso alcune prestazioni, prevedere franchigie, massimali, compartecipazione alle spese o limiti alla scelta del fornitore. 

Negli Stati uniti d’America il modello di “assicurazione volontaria” è stato nel tempo adottato per la maggioranza della popolazione, benché con alcune riforme recenti (c.d. “Obamacare”) si sia tentato di estendere il novero di coloro inclusi in programmi di assistenza finanziati con risorse pubbliche (Medicaid e Medicare). 

Il governo federale interviene in particolare direttamente con il programma Medicare, nell’ambito del quale sono destinati fondi al finanziamento della copertura assicurativa di talune categorie di popolazione (specialmente gli ultrasessantacinquenni e giovani disabili), tuttavia coloro ai quali sono prescritti farmaci ad alto costo possono trovarsi a dover sopportare una spesa di migliaia di dollari l’anno, anche quando l’assicurazione rimborsi gran parte della spesa per la terapia. In ciò il modello assicurativo volontaristico si differenza tradizionalmente dal modello italiano del “servizio sanitario nazionale” in cui le cure essenziali sono garantite indipendentemente dalle condizioni economiche individuali. 

Nel modello statunitense, dove operano compagnie di assicurazioni for profit e no profit, è prevista per quanti non siano coperti dai predetti programmi pubblici la possibilità di sottoscrivere una polizza assicurativa sanitaria attraverso il proprio datore di lavoro oppure individualmente. 

Nel 2010, per favorire la riduzione del numero delle persone non assicurate, perciò senza copertura sanitaria, la già richiamata riforma Obama del Patient Protection and Affordable Care Act (PPACA) ha previsto che, a partire dal 2014, ogni Stato avrebbe dovuto istituire un proprio «health insurance marketplace», per una regolazione più forte del mercato assicurativo; all’interno di queste borse assicurative on line le assicurazioni sono tenute ad offrire polizze che coprono cure essenziali e non possono rifiutare l’iscrizione agli individui particolarmente a rischio. Centrale nelle modifiche apportate al modello statunitense è il principio dell’individual mandate che ha imposto a tutti i cittadini (salvo alcune deroghe per ragioni di reddito) di acquistare un’assicurazione sanitaria per le più importanti prestazioni sanitarie (minimum essential coverage). La riforma ha introdotto il principio del community rating secondo cui le compagnie di assicurazioni devono offrire le stesse condizioni contrattuali senza distinzione per fascia d’età, genere o condizioni di salute. Si è inoltre prevista un’espansione dei programmi pubblici di assicurazione Medicare e Medicaid per le fasce più deboli della popolazione. 

Con la riforma Obama non è dunque più consentito alle compagnie di rifiutare una nuova polizza o negarne il rinnovo ai soggetti considerati più a rischio (anzitutto quelli con patologie gravi, croniche o degenerative). 

La legge di riforma è stata sottoposta all’esame della Corte Suprema in seguito ai ricorsi presentati alle Corti federali da numerosi Stati e da numerose associazioni e individui, anzitutto sulla base della presunta violazione del riparto di competenze. Il caso National Federation of Independent Business v. Sebelius è arrivato così fino alla Corte suprema che ha affrontato le questioni della costituzionalità dell’obbligo di assicurazione medica (individual mandate) e dell’imposizione agli Stati di estendere a favore della popolazione con redditi bassi le coperture del programma Medicaid (Medicaid coercion); nel 2012 la Corte si è espressa ritenendo che non sussistano profili di incostituzionalità riguardo al primo quesito e dichiarando solo parzialmente incostituzionale il secondo. 

Nonostante i successivi recenti tentativi di abrogazione da parte dell’amministrazione Trump (2017), la riforma Obama è tutt’ora vigente. V'è da dire, tuttavia, che il c.d. individual mandate è stato significativamente svuotato di effettività atteso che la violazione dell'obbligo assicurativo comporta una sanzione amministrativa di dollari 0. 

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1.3. Il modello del servizio sanitario nazionale. La tutela della salute nell'ordinamento del Regno Unito

Il modello del SSN è fondato sul principio universalistico di accesso alle cure e prevede che le cure sanitarie essenziali siano finanziate dalla fiscalità generale; si differenzia dagli altri modelli per via della diretta erogazione delle prestazioni da parte di strutture proprie o convenzionate. In questo modello, dunque, lo Stato assicura e fornisce le cure mediche.

Il Regno Unito è stato il primo paese europeo ad aver adottato il modello del servizio sanitario nazionale. 
Nel 1946 il National Health Service Act, voluto da Beveridge, istituì a far data dal 1948 il National Health Service (NHS), ispirato alla volontà di rimozione di ogni ostacolo di carattere economico all’accesso alle prestazioni sanitarie.
Il sistema sanitario britannico è un sistema sanitario universalistico pubblico finanziato attraverso la fiscalità generale; il NHS possiede e gestisce propri ospedali e ambulatori, che coprono l’intero territorio nazionale. Dagli anni 1979-1990, con i governi Thatcher, si affermò anche nel settore sanitario la volontà di sostenere il settore privato, considerato un motore della crescita economica, e al contempo di limitare la spesa sanitaria pubblica. Gli anni delle riforme del welfare britannico segnarono un generale arretramento dello Stato nel settore della sanità. Le politiche liberiste si contrapposero alle politiche sociali che avevano caratterizzato la nascita del welfare state inglese; queste politiche avvicinarono il modello anglosassone a quello americano con l’intento di coniugare il vecchio modello di universalismo con un nuovo sistema di fornitura di servizi sanitari rispettoso dei principi della concorrenza del mercato.

2. Il diritto alle cure sanitarie e la sua attuazione attraverso gli organi del SSN. L'articolazione delle competenze amministrative.

Il diritto alle cure sanitarie garantito a livello nazionale con la previsione dei livelli essenziali delle prestazioni è attuato nel nostro ordinamento dunque dal Servizio sanitario nazionale, ove specialmente a seguito delle riforme degli anni '90, un ruolo di primo e piano è assunto da enti e organi regionali, cui è affidata l'erogazione delle prestazioni.

Se allo Stato è demandata la pianificazione nazionale delle prestazioni, la definizione degli obiettivi fondamentali e dei livelli essenziali di assistenza, sono le Regioni e le Province autonome a esercitare funzioni legislative e amministrative nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato e ad emanare i piani sanitari regionali che attuano il piano nazionale potendo integrare gli standard definiti a livello nazionale soltanto "in melius".

Prima della riforma del Titolo V della Costituzione il riparto di competenza amministrativa stato-regione era individuato per relationem attraverso il richiamo degli ambiti di competenza legislativa di cui all’art. 117 Cost. Allo Stato spettava inoltre la competenza amministrativa residuale nelle materie non attribuite - con elencazione dunque tassativa - alle Regioni.
Benché l’art. 117 Cost. annoverasse, come anticipato, l’assistenza sanitaria e ospedaliera tra le materie di competenza legislativa concorrente, già prima della riforma del Titolo V il livello regionale era tuttavia considerato il più adeguato allo svolgimento delle competenze amministrative in materia di salute (principio di adeguatezza, art. 118 Cost.).

Se dunque allo Stato compete l'adozione del Piano Sanitario Nazionale, adottato d'intesa con la Conferenza unificata Stato Regioni Autonomie locali (d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 112-117), alle Regioni spettano tutte le funzioni e i compiti amministrativi in materia, salvo quelli espressamente mantenuti dallo Stato (D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 114).

La c.d. "riforma sanitaria ter" (d. Lgs. 19 giugno 1999, n. 229) ha perfezionato il processo di regionalizzazione del SSN, riconoscendo più ampie facoltà alle Regioni non solo in punto di programmazione, ma anche di gestione dei servizi. In questo senso può dirsi che lo Stato se dapprima aveva una funzione centrale di organizzazione e gestione dei servizi, si trova oggi a svolgere essenzialmente una funzione di definizione degli standard da garantire in modo prevalentemente mediato (attraverso l'amministrazione territoriale). 

Tale modello è stato definito "tendenzialmente federale", poiché prescegliendo il livello regionale per l'organizzazione e gestione delle cure sanitarie, in attuazione dei principi costituzionali di sussidiarietà verticale, differenziazione e adeguatezza, ammette una diversificazione dell'organizzazione sanitaria a livello regionale. Da una Regione all'altra cambiano infatti il numero di Aziende sanitarie e il loro bacino d'utenza, oltre che lo stesso tipo di sistema sanitario in ragione del ruolo svolto dalle Aziende sanitarie (da enti di mero finanziamento delle prestazioni a enti di erogazione e finanziamento, cfr. infra unità 7), dall'equilibrio tra assistenza ospedaliera e assistenza territoriale, o ancora del numero dei soggetti privati accreditati e del volume di prestazioni ad essi attribuite.

Alle Regioni compete così, oltre all'adozione dei Piani sanitari regionali (su cui vedi infra), il potere di definire in concreto l'organizzazione del servizio sanitario, con l'istituzione delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere con legge o atto amministrativo adottato in base alla legge, l'autorizzazione e accreditamento dei soggetti privati che erogano le prestazioni sanitarie in regime di mercato o per conto del SSN, l'istituzione delle centrali di committenza regionali e la nomina dei direttori generali delle ASL. Perciò dunque il sistema sanitario nazionale risulta in definitiva dalla sommatoria dei servizi sanitari regionali, che possono anche differenziarsi significativamente l'uno dall'altro.

3. Gli enti e organi statali del SSN

“L’attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali” (art. 1 l. 833/1978); compongono l’amministrazione sanitaria statale del Ssn enti e organi ai quali sono attribuite peculiari funzioni, a livello centrale come decentrato. 

Al vertice dell’amministrazione statale è collocato il Ministero della Salute, organo di coordinamento per l’attuazione delle funzioni statali in materia di tutela della salute (già Ministero della Sanità, istituto con l. 296/1958). 

Con l’attuazione della riforma del Ssn il Ministero ha adottato il modello organizzativo dell’articolazione in Dipartimenti e Servizi (D.P.R. n. 196/1994); in seguito è stato trasformato nel Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Oggi il Ministero della Salute è (di nuovo) ministero autonomo, con funzioni di programmazione e indirizzo in materia sanitaria, anche attraverso l'emanazione di linee guida e di norme tecniche, nonché di governo della spesa sanitaria.
Nel 2014 è stata riorganizzata l’articolazione ministeriale (DPCM n. 59/2014) sostituita da una struttura centrale che comprende il Segretario generale e 12 Direzioni generali, oltre ad un’articolazione decentrata composta da Uffici periferici e territoriali (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera e servizi territoriali di assistenza sanitaria al personale navigante e aeronavigante e Uffici veterinari per gli adempimenti comunitari e posti di ispezione frontalieri).


Sono enti strumentali del Ministero: l’Istituto superiore di sanità (Iss)l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas)
L’Iss è un ente di diritto pubblico con autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e contabile; esercita, nelle materie di competenza del Ministero della Salute, funzioni di coordinamento tecnico e scientifico (specie funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo, formazione). 
L’Aifa è ente dotato di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, patrimoniale, finanziaria e gestionale; esercita funzioni di garanzia dell’unitarietà dell’assistenza farmaceutica sul territorio nazionale, di autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali, nonché di farmacovigilanza e di negoziazione del prezzo dei farmaci dispensati a carico del SSN; opera anche in coordinamento con l’Agenzia europea dei medicinali. Infine, l’Agenas, è ente pubblico non economico di rilievo nazionale con funzioni di supporto tecnico e operativo alle politiche governative dei servizi sanitari statali e regionali, delle aziende sanitarie, attraverso ricerca, innovazione, monitoraggio, valutazione e formazione. 
E' invece un organo di consulenza tecnico-scientifica istituito presso il Ministero della salute il Consiglio Superiore di Sanità, che svolge funzioni consultive e di proposta su questioni aventi rilevanza tecnico-scientifica di competenza del Ministero.

Il Ministero della Salute partecipa per il nostro Paese ai lavori dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) (1948), agenzia delle Nazioni Unite specializzata nelle questioni sanitarie, deputata a fornire indicazioni su questioni di salute globale, ad indirizzare la ricerca sanitaria, a garantire assistenza tecnica agli Stati membri e a fornire aiuti in caso di calamità.

4. La pianificazione sanitaria a livello statale e regionale

L'obiettivo di garantire il "nucleo irrinunciabile" del diritto alla salute in armonia con l'equilibrio finanziario si traduce nella centralità dell'attività di programmazione, finalizzata al rispetto del principio di contenimento della spesa pubblica. La suddetta pianificazione avviene attraverso il Piano Sanitario Nazionale (PSN) e il Piano Sanitario Regionale (PSR).

Il Piano sanitario nazionale viene adottato dal Governo su proposta del Ministero della Salute con durata triennale e fissa gli obiettivi di salute, i "livelli essenziali ed uniformi di assistenza del SSN" (c.d. LEA), le risorse destinate a soddisfarli.

Per un approfondimento sul PSN consulta il sito del Ministero della Salue, clicca qui.                                                                                                                                                                    

Il Piano Sanitario Regionale non si configura come una mera attuazione del Piano Sanitario Nazionale ma rappresenta piuttosto le scelte politiche generali delle regioni (d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 13, co. 1). Lo stesso infatti può definirsi come piano strategico degli obiettivi di salute e funzionamento dei servizi al fine di soddisfare le esigenze della popolazione regionale sulla base (anche) del PSN. In questo senso esso concorre all'attuazione degli obiettivi strategici fissati a livello nazionale.
Il Piano deve indicare gli obiettivi (es. prestazioni in conformità dei LEA) e l’assetto organizzativo delle strutture. Partecipano alla programmazione regionale le autonomie locali, le formazioni sociali senza scopo di lucro operanti in campo di assistenza sociale e sanitaria, le organizzazioni sindacali degli operatori sanitari, i soggetti accreditati dal SSN. La legge regionale disciplina inoltre forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e del c.d. volontariato.
Il progetto di PSR è trasmesso al Ministro delle Salute che ne verifica la coerenza con le indicazioni contenute nel PSN. L’approvazione dei piani nella maggior parte dei casi avviene attraverso deliberazione del consiglio regionale, per talune regioni attraverso deliberazioni della giunta o del presidente della regione.

Il PSR inoltre indirizza la programmazione aziendale al fine di conseguire l’obiettivo di uno sviluppo unitario ed omogeneo su tutto il territorio regionale.
Il ruolo delle Regioni coincide essenzialmente con la programmazione sanitaria regionale, mentre le cure sono erogate attraverso le aziende sanitarie locali e ospedaliere, che sono enti strumentali delle Regioni stesse. Le Regioni determinano i principi generali di organizzazione dei servizi e fissano i criteri di finanziamento delle aziende sanitarie, oltre a disciplinare l'articolazione delle strutture sanitarie sul territorio e fissare i i principi per l'adozione degli atti aziendali di organizzazione e funzionamento delle aziende (di competenza del Direttore generale dell'azienda).