Unita didattica II - Ingresso

Sito: Insegnamenti On-Line
Corso: Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23
Libro: Unita didattica II - Ingresso
Stampato da: Utente ospite
Data: lunedì, 6 gennaio 2025, 00:20

Descrizione


II.1 - Introduzione

L’ingresso e il conseguente soggiorno nel territorio nazionale di coloro che non hanno la cittadinanza italiana non è libero, ma è condizionato al possesso di determinati requisiti, previsti dalla legge, che variano sia in relazione alla cittadinanza - europea o di Paesi terzi - di chi aspira a fare ingresso legale in Italia, che dei motivi che determinano l’ingresso ed il successivo soggiorno.

L'ingresso dei cittadini europei verrà trattato nella UD XII.

L’ingresso e il soggiorno dei cittadini di Paesi extraeuropei è disciplinato dal d.lgs. 286 del 1998, cit. recante il “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione giuridica dello straniero”, denominato Testo Unico Immigrazione.


II.2 L’ingresso in Italia

L’ingresso dei cittadini di Paesi non aderenti all’Unione europea è disciplinato dal d.lgs. 286 del 1998, art. 4, cit. nonché dall'art. 6 del Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) che sostituisce il precedente regolamento n. 562 del 2006.

APPROFONDIMENTO I - MOLTI STRANIERI, MOLTE PAROLE

Essi stabiliscono che per entrare legalmente in Italia il cittadino straniero deve:

  • essere in possesso di un passaporto valido o di un documento equipollente;
  • essere in possesso del visto d’ingresso rilasciato dalla autorità diplomatiche o consolari italiane nel Paese di origine dello straniero, salvo i casi di esenzione da visto e salvo che si sia in possesso di un permesso di soggiorno o di un visto per soggiorni di lunga durata in corso di validità
  • essere in possesso di un documento di viaggio valido che autorizza il titolare ad attraversare la frontiera e che soddisfi i seguenti criteri: a) la validità è di almeno 3 mesi dopo la data prevista per la partenza dal territorio degli Stati Membri, salvo casi di emergenza giustificati; b) è stato rilasciato nel corso dei dieci anni precedenti.
  • entrare in Italia attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti (valichi terrestri, marittimi e aeroportuali), durante gli orari di apertura stabiliti, salvi i casi di forza maggiore;
  • giustificare lo scopo e  le condizioni del soggiorno e disporre di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e per il rientro nel Paese di origine o di provenienza. In alternativa può dimostrare di essere in grado di ottenere legalmente tali mezzi, come nel caso di ingressi per lavoro subordinato o autonomo;
  •  non essere stato precedentemente espulso, salvo che sia trascorso il periodo di divieto di reingresso o abbiano ottenuto la speciale autorizzazione del Ministero dell’interno di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 13, cit.
  • non essere considerato una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza interna, la salute pubblica o le relazioni internazionali di uno degli Stati membri, in particolare non essere oggetto di segnalazione ai fini della non ammissione nelle banche dati nazionali degli Stati Membri per gli stessi motivi (su cui vedi oltre).
Si tratta di requisiti di diversa natura. Tuttavia, se lo straniero li soddisfa, lo Stato non ha alcun margine ulteriore di discrezionalità per rifiutare l’ingresso dello straniero.

APPROFONDIMENTO II - SISTEMA INFORMATIVO SCHENGEN

Ogni ingresso effettuato al di fuori di queste condizioni non è conforme alla legge e il cittadino straniero è suscettibile di respingimento alla frontiera o espulsione, salvo che sussistano le condizioni di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 19,  cit. (di cui nella UD XIV) o nel caso degli ingressi per richiesta di asilo.

Anche l'ingresso effettuato con l'ausilio di documentazione falsa, contraffatta o comunque illegalmente ottenuta, in altri termini l'ingresso apparentemente regolare ma in realtà in frode alla legge è da considerarsi illegale. Tali comportamenti se scoperti possono determinare la contestazione di diversi illeciti penali.

II. 3 I divieti di ingresso

Per fare ingresso in modo regolare si devono soddisfare le condizioni indicate nel paragrafo precedente (avere il passaporto, visto, mezzi di sussistenza, etc.). Nella normativa italiana d.lgs. 286 del 1998, art. 4,  co. 3, cit. prevede un divieto di ingresso qualora lo straniero sia stato condannato – anche con sentenza non definitiva- e anche a seguito di patteggiamento per determinati titoli di reato:

  • quelli per cui è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.);
  • quelli in materia di stupefacenti (D.P.R. 309 del 09 ottobre 1990);
  • quelli concernenti la libertà sessuale;
  • quelli di favoreggiamento dell’immigrazione e dell’emigrazione clandestina (previsti al d.lgs. 286 del 1998, art. 12, cit.);
  • i reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite.

Tale divieto si ricollega al requisito essenziale per l'ingresso di non essere considerato una minaccia per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Il divieto di ingresso anche con sentenza non definitiva è stato introdotto dalla l. 94 del 15 luglio 2009. Va però ricordato che precedentemente la giurisprudenza amministrativa aveva già ritenuto sufficiente una condanna non definitiva. Il legislatore ha quindi fatto proprio l’orientamento più restrittivo della giurisprudenza.

Questo divieto solleva numerose perplessità per l'ampia portata dei casi considerati. In particolare l'inclusione dei reati di cui all'art. 380 c.p.p. che comprende una lunga lista di fattispecie criminose molto diverse, accomunate dal fatto di consentire agli ufficiali di polizia giudiziaria di procedere all'arresto. Parimenti il riferimento ai reati in materia di stupefacenti determina un effetto preclusivo all'ingresso tanto per chi viene condannato per traffico internazionale di stupefacenti che per chi viene trovato in possesso di una piccola quantità di sostanze stupefacenti.

Il divieto di ingresso sussiste anche nel caso di condanna con sentenza passata in giudicato per violazione della normativa sulla tutela dei diritti d’autore (l. 633 del 22 aprile 1941) e degli artt. 473 (contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ) e 474 c.p. ( introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi). Anche questa previsione è stata introdotta dalla l. 94 del 2009, cit.. Nel 2002 era già stata prevista la revoca del permesso di soggiorno per lavoro autonomo qualora lo straniero fosse stato condannato in via definitiva per gli stessi reati (d.lgs. 286 del 1998, 26 bis, cit.),

Il divieto di ingresso consegue automaticamente alla condanna (definitiva o no), non vi è alcuna possibile discrezionalità amministrativa. Tale automatismo è del tutto svincolato dalle caratteristiche del fatto di reato (di rilevante o lieve gravità) o della condanna (sospesa condizionalmente o meno).

Su questi cd. automatismi espulsivi sono state sollevate più volte questioni di legittimità costituzionale, sempre respinte dalla Corte Costituzionale.

APPROFONDIMENTO III - LA CORTE COSTITUZIONALE SUGLI AUTOMATISMI ESPULSIVI

Questi divieti non sono così assoluti in caso di ricongiungimento famigliare, secondo quanto prevede il d.lgs. 286 del 1998, art. 4, co. 3, ultima parte. In questo caso, infatti “lo straniero per il quale è richiesto il ricongiungimento familiare, ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, art. 29, cit., non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali l'Italia abbia sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere interne e la libera circolazione delle persone”. In questo caso non c’è alcun automatismo ed è la Pubblica Amministrazione a dover valutare se lo straniero rappresenta una minaccia. Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di soggiorno (vedi Unità didattica III) con la sentenza n. 202 del 2013 affermando che ogni qual volta rilevi il diritto al rispetto della vita familiare l’espulsione amministrativa deve contemperare l’interesse della collettività alla sicurezza con l’interesse dello straniero e dei suoi familiari alla prosecuzione del soggiorno. Tale principio stabilito in materia di soggiorno, potrebbe portare la giurisprudenza a diverse valutazioni anche nel caso di primo ingresso.

II. 4 Il visto

Come già accennato per fare ingresso in Italia occorre essere in possesso di visto. Il visto è un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero che permette al cittadino di un Paese non appartenente all'Unione Europea di fare ingresso in Italia.

L’aver ottenuto un visto non significa avere un diritto di ingresso nel paese per cui il visto è stato rilasciato o per l’area Schengen. Il rilascio del visto non impedisce che alla frontiera a seguito dei controlli lì effettuati, la persona possa essere respinta. Al fine di evitare arbitri da parte degli Stati, il respingimento dovrebbe avvenire per ragioni ulteriori rispetto a quanto già accertato dallo Stato medesimo quando ha rilasciato il visto. Non possono ciò essere messi in discussione gli elementi già verificati dallo Stato, a meno che siano emersi elementi ulteriori successivi al rilascio del visto (ad esempio la scoperta della non veridicità dei documenti presentati o delle dichiarazioni rilasciate al momento della richiesta di visto) oppure il mancato possesso di requisiti ulteriori oltre a quello del visto.

La materia dei visti è disciplinata da tre fondamentali regolamenti comunitari:

  • il regolamento 1683/1995 che introduce un modello uniforme di visto tra tutti gli Stati membri della Unione Europea.
  • il regolamento 1806/2018 che definisce i cittadini di quali Stati devono dotarsi di visto per fare ingresso nell’Unione Europea e quali sono invece esenti da questo obbligo;
  •  il regolamento 810/2009 (cd. Codice Visti) che disciplina i visti di breve durata (per un soggiorno inferiore a 90 giorni), riconosciuti da tutti gli Stati membri.

Questi tre regolamenti vincolano tutti gli Stati Membri che, tuttavia mantengono ancora un potere autonomo su alcuni aspetti.

Il regolamento 1806/2018 stabilisce regole comuni per i visti di breve durata (cfr. d.lgs. 286 del 1998, art. 4, co. 5, cit.).

Il rischio di immigrazione illegale, i motivi di ordine pubblico e sicurezza, la coerenza regionale e la reciprocità sono i criteri - molto ampi - indicati per stabilire la necessità o meno di visto per i soggiorni di breve durata. In concreto la lista degli Stati i cui cittadini debbono munirsi di visto comprende tutti i paesi in via di sviluppo, quelli instabili politicamente a causa di conflitti oppure governati da regimi ritenuti autoritari.

Per i visti di lunga durata è il singolo Stato membro a stabilire a quali Stati chiedere il visto. L’Italia richiede a tutti i cittadini di Paesi Terzi di munirsi di visti di lunga durata (o Visto Nazionale, vedi oltre), indipendentemente dall'esenzione per il visto di breve durata.

I cittadini di alcuni paesi possono fare ingresso nell'Unione europea soltanto se in possesso di passaporto biometrico. Si veda sul sito del Ministero degli Affari Esteri la lista dei Paesi esenti dall'obbligo di visto.

Per un più efficace controllo dei visti è stata istituita una piattaforma comune di scambio di informazioni, denominata VIS (Visa Information System), che nell’ottobre del 2011 ha cominciato ad essere consultabile da tutti i consolati dei Paesi Schengen in Nord Africa e progressivamente sarà estesa in tutti i paesi.  Nel primo semestre del 2015 tutti i consolati sono stati muniti dell'accesso a questa piattaforma.

Il regolamento 810/2009 (cd. Codice Visti) disciplina le diverse tipologie di visto e il procedimento relativo al rilascio. Le principali tipologie di visto indicate nel regolamento sono:

  • il visto Schengen uniforme (VSU, tipo C) per l’ingresso e il soggiorno nell’area Schengen per un massimo di 90 giorni;
  • il visto Schengen uniforme (VSU, tipo A) ai soli fini del transito verso uno Stato terzo, valido il periodo necessario al transito;
  • il visto a validità territoriale (VTL), valido soltanto per uno o più Stati membri dell’Unione Europea, senza possibilità di fare ingresso in altri Stati, nemmeno per il transito;
  • il visto per soggiorno di Lunga Durata o “Nazionali” (VN, tipo D), valido per soggiorni di oltre 90 giorni, con uno o più ingressi, nel territorio dello Stato Schengen che ha rilasciato il visto. I titolari di Visto D possono circolare liberamente nei Paesi Schengen diversi da quello che ha rilasciato il visto, per un periodo non superiore a 90 giorni per semestre e solo se in possesso di visto in corso di validità.

Il decreto interministeriale n. 850 dell’11 maggio 2011 denominato “definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento” precisa all'allegato A le diverse tipologie di visto, sia di breve durata che di lunga durata.

La domanda di visto deve essere presentata dall'interessato, presentandosi al consolato competente. Il richiedente il visto deve presentare il passaporto o documento di viaggio equivalente e una fotografia; consentire alla rilevazione digitale delle impronte delle 10 dita. I requisiti di ricevibilità della domanda includono il pagamento di una tassa , la presentazione di documenti che indichino la finalità del viaggio; la disponibilità di un alloggio o di mezzi sufficienti per procurarselo, la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per il soggiorno e il viaggio di ritorno, la sincerità dell’intenzione di lasciare il territorio dell’Unione Europea, prima della scadenza del visto richiesto ed infine il possesso di una adeguata assicurazione di viaggio (art. 13 – 15 del codice visti).

Il d.lg. 286 del 1998, art. 4, co. 2, cit. precisa che in mancanza dei requisiti per il rilascio del visto, il diniego deve essere comunicato al richiedente tramite la rappresentanza diplomatica o consolare italiana in lingua a lui comprensibile o, in difetto, in inglese, francese, spagnolo o arabo.

Il diniego di visto deve essere motivato e redatto su un apposito modulo. Cosi prevede l’art. 32 del Codice Visti - nonostante l’ostilità da parte di alcuni Stati membri che si opposero all'introduzione dell’obbligo di motivazione, obbligo che venne poi introdotto per insistenza del Parlamento Europeo. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione è comunque previsto dalla l. 241 del 07 agosto 1990. Tuttavia, in presenza di motivi di sicurezza o di ordine pubblico, tale onere, fondamentale ai fini sia della trasparenza dell’azione amministrativa che dell’esercizio del diritto di difesa, può essere derogato. Non è pero possibile alcuna deroga per i visti per motivi di lavoro subordinato, stagionale e autonomo; ingresso e soggiorno per lavoro in casi particolari (d.lgs. 286 del 1998, art. 27, cit.); ricongiungimento familiare; cure mediche e per l’accesso all'istruzione universitaria.

Il diniego di visto per motivi di ordine pubblico è in molti casi legato al c.d. “rischio migratorio”, cioè il rischio che lo straniero, una volta giunto in un paese Schengen non ritorni in patria alla scadenza del visto ma permanga illegalmente nel paese di destinazione.  Alcune pronunce della giurisprudenza di merito italiana hanno precisato che il diniego deve indicare i profili di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, altrimenti il rifiuto di visto è illegittimo (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 5 luglio 2010, n. 2707). Inoltre, il giudice in caso di impugnazione del diniego di visto, può sindacare le ragioni poste a sostegno del diniego di visto (TAR Lazio, Roma, 2 aprile 2009, n. 3565). Se ne deduce che secondo la giurisprudenza, la PA sia tenuta a motivare, seppur sinteticamente, il diniego di visto e non può limitarsi ad addurre la sussistenza di motivi di sicurezza o ordine pubblico senza precisare di quali motivi si tratti. 

Il Codice Visti prevede che il diritto di ricorso avverso il diniego di visto sia oggetto di disciplina autonoma da parte di ogni Stato membro.

In Italia si può proporre ricorso avverso il diniego del visto d’ingresso al T.A.R. Lazio, sede di Roma, entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto.

Come è ovvio non sempre è cosi semplice ricorrere in concreto avverso tale provvedimento: i costi, le difficoltà di prendere contatto con un avvocato italiano rendono spesso più semplice ripresentare la domanda.

Sono invece frequenti i ricorsi contro il diniego di visto per ricongiungimento familiare perché anche il familiare che dall'Italia ha effettuato la richiesta di ricongiungimento è legittimato a proporre impugnazione, superando così le difficoltà pratiche dovute al non essere nel Paese a cui si è fatta domanda di visto.

In caso di ricongiungimento famigliare la competenza a decidere sui ricorsi contro il diniego di visto spetta – in base al d.lgs. 286 del 1998, art. 30, co. 6, cit., al Tribunale ordinario senza limiti di tempo. 

Va precisato che il visto è titolo di ingresso e anche di soggiorno fino a tre mesi. Non occorre infatti in questi casi chiedere un permesso di soggiorno. Lo straniero ha diritto di permanere nel paese Schengen per il periodo indicato nel visto e comunque non oltre i 90 giorni. Al momento dell’ingresso in Italia, lo straniero deve effettuare una dichiarazione di presenza alla Polizia di frontiera che appone un timbro sul suo passaporto. Tale timbro attesta la data di ingresso. Se lo straniero proviene da un altro paese Schengen deve effettuare una dichiarazione di presenza presso la questura della provincia in cui si trova, entro 8 giorni lavorativi dall'ingresso. L’inosservanza di tali procedure determina, come la permanenza oltre il termine previsto dal visto, l’espulsione.

A fine 2017 è stato approvato un nuovo regolamento europeo (Regolamento UE 2017/2226) che istituisce l'Exit Entry System, un database che registra l'ingresso e l'uscita di gran parte dei cittadini di Paesi Terzi non soggetti all'obbligo di visto.


APPROFONDIMENTO IV - EXIT ENTRY SYSTEM

II. 5 La programmazione dei flussi di ingresso in Italia

Il d.lgs. 286 del 1998, art. 3, cit. definisce alcuni strumenti di programmazione delle politiche migratorie in Italia.

In primo luogo stabilisce che ogni tre anni (o anche entro un termine più breve se necessario) il Governo emani il "documento programmatico relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato”. Tale documento è predisposto dal Presidente del Consiglio sentiti i ministri interessati, il CNEL, la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza Stato-Città, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale, gli enti e le associazioni nazionali maggiormente attivi nell'assistenza e nell'integrazione degli immigrati. Una volta acquisiti i pareri, il documento viene approvato dal Consiglio dei Ministri. Il documento è quindi trasmesso al Parlamento per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari che devono pronunciarsi entro trenta giorni dal ricevimento dell'atto. Il documento indica: gli interventi che lo Stato italiano intende svolgere in materia di immigrazione, anche attraverso accordi internazionali; le linee generali per la definizione dei flussi d'ingresso nel territorio dello Stato di stranieri extracomunitari; le misure di carattere economico e sociale nei confronti degli stranieri soggiornanti nelle materie che non devono essere disciplinate con legge; gli interventi pubblici per favorire sia l'inserimento sociale e l'integrazione culturale degli stranieri regolari nel nostro Paese, sia il reinserimento dei Paesi di origine. Fino ad oggi sono stati predisposti dal Governo solo tre documenti programmatici, nel 1998, nel 2001 e nel 2005. Appare evidente come in molti casi il Governo sia stato inadempiente. A questo proposito va osservato che nel giugno 2011 in Commissione Affari Costituzionali, il Governo, dando parere sfavorevole su una mozione parlamentare relativa alla mancata adozione del documento programmatico triennale, ha affermato, che la contingente instabilità macroeconomica rende impossibile la programmazione triennale, e che conviene procedere con programmazione transitoria”.

Come si è visto il documento programmatico dovrebbe indicare le linee generali per la definizione dei flussi di ingresso. Tuttavia, anche in assenza di documento programmatico il Governo può emanare il decreto flussi, entro il 30 novembre, sentite le Commissioni parlamentari, la Conferenza unificata Stato - Regioni - Città e il Comitato per il coordinamento e il monitoraggio delle disposizioni del Testo unico (previsto dal d.lgs. 286 del 1998, art. 2 bis, co. 2, cit.).

Il decreto flussi è un atto attraverso cui si definisce la quota massima di stranieri che potrà essere ammessa nel territorio italiano per motivi di lavoro (lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato, lavoro stagionale, lavoro autonomo), tenuto conto dei ricongiungimenti famigliari e delle misure di protezione temporanea.

Ciò significa che esiste un tetto massimo di stranieri ammessi ogni anno e che i visti di ingresso (vedi oltre) sono rilasciati sulla base delle quote emesse. Possono essere previste quote privilegiate (cioè riservate) per i cittadini di Paesi con cui l'Italia ha siglato accordi di riammissione, che consistono in un accordo tra la UE o uno Stato membro dell'Unione Europea e un Paese terzo che istituisce, su una base di reciprocità, procedure rapide ed efficaci per l'identificazione, la sicurezza e il ritorno delle persone che non soddisfano o non soddisfano più le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno sul territorio del paese.

In caso di mancata programmazione del decreto è comunque possibile per il Presidente del Consiglio dei Ministri emanare un decreto che stabilisca delle quote di ingresso, ma non potrà mai superare quelle definite nell'ultimo decreto flussi emanato. Appare evidente l'alto potere discrezionale lasciato al Presidente del Consiglio del Ministri che può emanare il decreto flussi, oppure limitarsi a riprodurre quello precedente, arrogandosi il diritto di scegliere quante persone potranno fare ingresso in Italia in un determinato anno. In mancanza di decreto flussi, nessuno può entrare regolarmente in Italia.

IL decreto flussi 2021 ha previsto 27.700 lavoratori autonomi e subordinati non stagionali (comprese le quote per le conversioni, ad esempio dallo studio) e 42.000 lavoratori subordinati stagionali.

Qui le informazioni fornite dal Ministero sul decreto flussi 2021 e sulla procedura.

APPROFONDIMENTO I - MOLTI STRANIERI, MOLTE PAROLE

Le parole che si usano dicono molto di chi le usa ma definiscono ciò di cui si parla o scrive. Sono vettori di significazione. Molte sono le parole usate dal legislatore per definire chi migra: straniero, apolide, regolarmente soggiornante e non regolarmente soggiornante, richiedente asilo, rifugiato, titolare di protezione internazionale. A queste si aggiungono le parole della vita quotidiana: migrante, immigrato, extracomunitario, clandestino, illegale, irregolare, profugo, migrante ambientale e migrante economico. Si tratta di parole che hanno subito evoluzioni nel tempo e in alcuni casi non hanno significati precisi ma prevalentemente evocativi.

Innanzitutto ci sono le parole delle norme. La normativa in materia di immigrazione contenuta nel d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” si applica ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi, cioè coloro che non posseggono la cittadinanza di alcuno Stato, definiti nella legge come stranieri. Lo straniero è quindi definito in negativo come colui che non è cittadino europeo. In modo analogo alla normativa italiana anche la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, primo atto normativo che ha dato avvio alla libera circolazione dei cittadini europei e all’abolizione delle frontiere interne, a cui l’Italia ha aderito nel 1990, definisce lo straniero come “chi non è cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee”.

La normativa italiana in materia di immigrazione regola la condizione giuridica sia dello straniero regolarmente soggiornante, cioè di colui che è titolare di un permesso di soggiorno e ha titolo per rimanere in Italia, sia dello straniero irregolarmente soggiornante, privo di tale titolo. In ogni caso è bene ricordare che a tutti gli stranieri sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti (art. 2 d.lgs. 286/1998). Tra i migranti regolari si distinguono i lungo soggiornanti, titolari di un permesso di soggiorno permanente, e i migranti ‘a tempo determinato’, titolari di un permesso di durata definita (per lavoro o per ragioni famigliari) e gli stagionali, regolari se rispettano quanto previsto relativamente al loro ingresso e uscita dal Paese, in genere legato a prestazioni lavorative specifiche. All’interno della categoria dei lavoratori, oltre agli stagionali, la legge differenzia i lavoratori altamente qualificati che beneficiano spesso di regole speciali improntate a particolare speditezza e favore per il loro ingresso.

Il richiedente asilo o più correttamente il richiedente protezione internazionale è invece colui che ha fatto domanda di protezione internazionale in un paese diverso da quello di residenza. La sua condizione è disciplinata dal d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142. Lo status di rifugiato, la cui definizione si deve alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, è la condizione di colui che per timore di essere perseguitato per la sua razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, non può o non vuole domandare la protezione del suo Stato di cittadinanza e si trova fuori dallo stesso. Il titolare di protezione internazionale è colui a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria, la seconda forma di protezione internazionale riconosciuta dal legislatore europeo.

Questi costituiscono i termini fondamentali della materia in uso da parte del legislatore. Ma non sono le uniche parole usate per definire il non cittadino italiano. Nel linguaggio quotidiano, ma anche nel discorso pubblico e mediatico, sono in uso altri termini per individuare il cittadino straniero.

Tabella  – Le parole che individuano il non cittadino

Le parole del legislatore

Le parole del discorso pubblico e mediatico

Apolide;

Lavoratore altamente qualificato;

Lungo soggiornante;

(Non) regolarmente soggiornante;

Richiedente asilo;

Richiedente protezione internazionale;

Rifugiato;

Straniero;

Titolare protezione internazionale.

Clandestino;

Extracomunitario;

Illegale;

Irregolare

Immigrato;

Migrante;

Migrante ambientale;

Migrante economico;

Profugo.

 

Il migrante è colui che si trova al di fuori del proprio paese di origine stabilmente o temporaneamente. Nel linguaggio corrente è diventato un termine di uso frequente, tendenzialmente onnicomprensivo, sebbene semanticamente più adatto a sottolineare la dimensione circolare della migrazione: i movimenti delle persone, temporanei o a lungo termine, sono sempre più di frequente movimenti fluidi e sempre meno esclusivamente percorsi di partenza da un luogo e di arrivo in un paese di destinazione definitivo.

Il cittadino proveniente da un paese al di fuori dell’Unione Europea viene denominato, a volte indifferentemente, immigrato o extracomunitario. Il termine immigrato, in contrapposizione a emigrante, sottolinea la condizione di chi si trova in un paese diverso da quello di origine perché vi si è trasferito per ragioni prevalentemente di studio o di lavoro.

Extracomunitario, infine, indica i cittadini non appartenenti all’Unione Europea. È un termine nato dal linguaggio burocratico europeo e ha oggi assunto, nel senso comune e nel discorso pubblico, un’accezione negativa. Infatti è utilizzato per indicare il soggetto straniero marginale, fonte di problemi sociali (extracomunitario non è mai usato per individuare il turista americano o l’imprenditore svizzero).

Indifferentemente, in qualità di sinonimi si usano anche i termini di clandestino, irregolare o illegale, sebbene abbiano delle loro specificità. Il termine illegale indica qualcosa o qualcuno al di fuori della legge, è un termine generico dai connotati dispregiativi. Il clandestino è chi ha fatto ingresso nel paese di destinazione violando le regole che ne disciplinano l’ingresso. Non ha alcun titolo per entrare nel paese né tantomeno per soggiornarvi. È un termine antico che richiama l’idea di fare qualcosa di nascosto, in segreto, in contrarietà a una norma. Erano clandestini e stavano in clandestinità coloro che lottavano contro il fascismo durante la Seconda guerra mondiale. Clandestino è usato oggi nel linguaggio mediatico in modo dispregiativo ma anche in espressioni del linguaggio tecnico-giuridico (l’immigrazione clandestina) e «il tratto semantico primario di 'segreto, nascosto' sembra scivolare sempre più verso quello di 'fuorilegge, criminale'» (Setti, 2011).

Infine, lo straniero irregolare (nella terminologia internazionale il cd. overstayer) indica colui che, entrato regolarmente in un paese, vi permane senza un valido titolo giuridico. Infine, profugo, un termine dell’italiano antico che non ha corrispondenze in altre lingue (cfr. www.iate.europa.eu), indica coloro che perseguitati cercano rifugio in un altro paese (i rifugiati), così come coloro che si sono dovuti allontanare dal luogo in cui vivono per guerre, calamità naturali e si sono mosse all’interno del paese (gli sfollati, i profughi interni, le internally displaced persons nel linguaggio internazionale). Il termine ha assunto un significato generico nel lessico corrente, anche in relazione all’affermarsi nel linguaggio ufficiale dopo la Convenzione di Ginevra (1951) del terminato rifugiato. Profugo rimane quindi un termine solo italiano e generico: «proprio questa unicità dell’italiano ha prestato il fianco a usi distorti e discriminatori, con sovrapposizioni strumentali fino, nei casi peggiori, a far passare come sinonimi le parole profugo e clandestino» (Setti, 2017); al plurale, in modo spersonalizzante se non dispregiativo si usa spesso come indicativo di una moltitudine che si affaccia ai nostri confini. A questo proposito l’analisi effettuata dall’Associazione Carta di Roma (2019, pp. 21 – 25) sui titoli dei quotidiani nazionali italiani dal 2013 all’ottobre 2019 evidenzia uno svuotamento di significato dei termini, usati come sinonimi e soprattutto una crescente disumanizzazione: i termini profugo e rifugiato in un numero limitato di casi si riferiscono a individui e tende a prevalere un riferimento, in negativo, alla categoria o direttamente una sovrapposizione con il problema, a volte amministrativo, altre economico e infine di salute pubblica, ma tutti i frame sono accomunati dalla spersonalizzazione.

Di recente è sempre più frequente l’uso di migrante ambientale, a sottolineare chi fugge da condizioni climatiche proibitive o disastri ambientali; giuridicamente è una figura discussa non ancora pacificamente individuata come titolare di protezione internazionale.

Nel lessico corrente, infine, c’è il migrante economico, colui che migra per migliorare la propria condizione di vita. Termine ambivalente, neutro di per sé, ma usato nel passato con una accezione positiva in contrapposizione con clandestino: il migrante economico era il lavoratore, mentre il clandestino era il soggetto che viveva in qualche modo di espedienti. Prima lentamente e poi in modo sempre più pronunciato a partire dal 2011 e soprattutto dal 2015 con la cd. crisi dei rifugiati, il migrante economico è spesso usato in contrapposizione con il termine rifugiato per identificare chi non è costretto a lasciare il proprio paesi di origine per fuggire da situazioni di pericolo, e che non è quindi meritevole di protezione. Colui che era un tempo lavoratore è oggi falso richiedente asilo e quindi simile a un clandestino.

APPROFONDIMENTO II - SISTEMA INFORMATIVO SCHENGEN

Il sistema d’informazione Schengen (S.I.S.) è un sistema informa­tizzato per la gestione e lo scambio di dati tra i Paesi aderenti alla Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, volto a consentire i necessari accertamenti, sia in sede di controlli alle frontiere, sia in occasione di interventi di polizia effettuati all’in­terno di ciascun Paese.

Il Sistema di informazione Schen­gen è formato da una banca dati nazionale (unità N-SIS) ubicata presso ciascuno Stato membro e da un servizio centrale (C-SIS) avente sede a Strasburgo e colle­gato a ciascuna unità nazionale. La sezione N-SIS accoglie, al suo interno, la base informativa e un ufficio operativo (SIRENE, acronimo di Supplementary Informa­tion Request at the National Entry), che svolge la funzione di fornire le informazioni non ricavabili dalla banca dati nazionale N-SIS. 

L’architettura “a stella” consente alle autorità competenti dei singoli Stati di inoltrare le richieste di segnalazione alla base centrale, la quale, previo controllo formale della richiesta, modifica il proprio database e diffonde la segnalazione alle altre unità N-SIS, garantendo per tale via il costante aggiornamento dell’archivio centrale e l’uniformità di contenuti con gli archivi periferici.

La procedura di interrogazione automatica è fondata su un sistema hit/no hit, in virtù del quale, una volta accertata la presenza del dato nel sistema, ulteriori informazioni possono essere fornite dai competenti uffici SIRENE nazionali.


APPROFONDIMENTO III - LA CORTE COSTITUZIONALE SUGLI AUTOMATISMI ESPULSIVI

Numerose volte (Corte Cost. n. 9/2005; Corte Cost. n. 414/2006; Corte Cost. n. 143/2006) la Corte Costituzionale aveva dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni sottoposte o aveva rimesso gli atti al giudice a quo.

Si pronuncia invece nel 2008 con la sentenza n. 148.

Il caso riguardava un cittadino marocchino, regolarmente residente in Italia per motivi di lavoro che nel 2004 era stato condannato, a seguito di patteggiamento per il reato di cessione di stupefacenti, a otto mesi di reclusione e a duemila euro di multa. Il giudice penale, ritenendo il reo non pericoloso, gli aveva concesso la sospensione condizionale della pena. Nonostante il giudizio di non pericolosità del giudice, il questore aveva dovuto applicare l’automatismo e negare al reo il rinnovo del permesso di soggiorno.

La Corte afferma che “la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici, quali, ad esempio, la sicurezza e la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere internazionale e la politica nazionale in tema di immigrazione, e che tale ponderazione spetta in via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede in materia un’ampia discrezionalità (...) deve escludersi che sia manifestamente irragionevole condizionare l’ingresso e la permanenza dello straniero nel territorio nazionale alla circostanza della mancata commissione di reati di non scarso rilievo.

La Corte precisa inoltre che la presunzione di pericolosità su cui si fonda l’automatismo espulsivo, non è una previsione irragionevole in campo amministrativo (quale sarebbe se riguardasse l’ambito penale, come affermato dalla Corte Costituzionale in altre sentenze, cfr. 58/1995) perché è “un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce, anche per gli stranieri, presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa”.

La Consulta si è nuovamente pronunciata con la sentenza 277 nel 2014 nuovamente su un caso inerente la normativa in materia di stupefacenti.

La Corte nuovamente respinge la questione esprimendosi in modo molto chiaro e sottolineando la ratio legis dietro l'automatismo espulsivo per casi così diversi.

La Corte afferma: "Nel delineare le condizioni ostative collegate al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno in dipendenza di condanne penali, la scelta del legislatore è stata quella di dar vita ad un sistema “bipartito” basato sulla enucleazione di due criteri concorrenti di natura compositaIl primo, di tipo misto, riferito ai casi per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; disciplina, quest’ultima, che, a sua volta, risulta costruita (art. 380, commi 1 e 2, c.p.p.) su base in parte “quantitativa”, raccordata, cioè, alla pena prevista dalla legge, e, in parte, qualitativa, ragguagliata, quindi, alla specificità dei titoli di reato. L’altro paradigma, del tutto peculiare, riferito non già ad una rassegna quantitativa, basata sulla pena, né ad una indicazione qualitativa fondata su specifiche fattispecie delittuose, ma calibrato in funzione di “tipologie” di reati, individuati ratione materiae e raggruppati, per così dire, all’interno di complessi normativi delineati solo attraverso il richiamo ai relativi “settori di criminalità” . Da tale ricostruzione normativa consegue che sia evidente “l’intendimento del legislatore di assumere a paradigma ostativo non certo la gravità del fatto in sé e per sé considerata … quanto la specifica natura del reato, riposando la sua scelta su una esigenza di conformazione agli impegni di inibitoria di traffici riguardanti determinati settori reputati maggiormente sensibili”.

APPROFONDIMENTO IV - EXIT ENTRY SYSTEM

Il 30 novembre 2017 è stato adottato il regolamento (UE) 2017/2226 che istituisce un sistema di registrazione di ingressi/uscite dei cittadini di Paesi Terzi che entrano per un soggiorno breve nel territorio dell'Unione europea. Il sistema registrerà anche i dati relativi ai respingimenti alla  frontiera.

In base al «sistema di ingressi/uscite» (Entry/Exit System – EES) saranno registrati e conservati la data, l’ora e il luogo d’ingresso e di uscita dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere degli Stati membri presso cui l’EES è operativo, nonché del respingimento di cittadini di paesi terzi ai quali sia stato rifiutato l’ingresso per un soggiorno di breve durata e l’autorità dello Stato membro che ha rifiutato l’ingresso e la relativa motivazione. Il sistema dovrebbe consentire, inoltre, di calcolare la durata del soggiorno autorizzato dei cittadini di tali paesi terzi e generare segnalazioni (cd. alert) destinate agli Stati membri allo scadere del soggiorno autorizzato.

Ci si propone di identificare le persone che non hanno più il permesso di permanere nell'Unione Europea al fine di prendere le misure necessarie.

Il sistema contiene le informazioni biografiche (cognome, nome, data di nascita, nazionalità, genere) della persona, quelle relative ai documenti di viaggio, l'immagine del volto e le impronte digitali di 4 dita.

Questo nuovo sistema informativo ha sollevato diverse perplessità rispetto ai rischi che comporta per il diritto alla protezione dei dati personali.