Unità Didattica IX - La procedura di riconoscimento della protezione internazionale
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Corso: | Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23 |
Libro: | Unità Didattica IX - La procedura di riconoscimento della protezione internazionale |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | domenica, 5 gennaio 2025, 23:24 |
Sommario
- IX.1. Il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale
- IX.2. Il procedimento Dublino
- IX.3. I centri per stranieri
- Approfondimento 1 - Il caso greco
- Approfondimento 2 - Le nuove Sezioni Specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea
- Approfondimento 3 - Eurodac
IX.1. Il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale
La procedura di riconoscimento della protezione internazionale è disciplinata dal d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, con il quale è stata recepita la direttiva europea 2005/85/CE del 01 dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato. Tale testo normativo è stato modificato dal d.lgs. n. 142 del 2015, cit., entrato in vigore il 30 settembre 2015, con il quale sono state recepite due direttive europee: la 2013/33/UE sulle norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione) e la 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento della protezione internazionale (rifusione) – si veda Approfondimento VII.1.
Una ulteriore e significativa novella della normativa in tema di procedura di riconoscimento della protezione internazionale è intervenuta con la conversione nella l. n. 46 del 13 aprile 2017 del d.l. n. 13 del 17 febbraio 2017.
La procedura di riconoscimento della protezione internazionale ha inizio su istanza di parte, con la presentazione della domanda da parte dello straniero o dell'apolide avanti alla polizia di frontiera ovvero presso gli Uffici competenti della Questura (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 3). Sono considerate rientranti nel territorio nazionale, ai fini della presentazione della domanda di protezione internazionale anche le zone di frontiere e le zone di transito - ad esempio quelle aeroportuali – nonché le acque territoriali (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 1).
Dal momento di manifestazione della volontà, da parte dello straniero, di presentare domanda di protezione internazionale, che ne importa l'immediata qualifica di "richiedente protezione internazionale", la verbalizzazione dell'istanza deve avvenire nel termine di tre giorni; il termine si estende a sei giorni se la richiesta è espressa avanti alla polizia di frontiera. Il medesimo termine può essere prolungato sino a dieci giorni nel caso in cui la vi sia un elevato numero di richieste, ad esempio in caso di sbarchi ravvicinati (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 26, co. 2 bis).
La verbalizzazione della domanda, che deve essere fatta personalmente dall'interessato e si intende automaticamente estesa ai figli minori non coniugati presenti sul Territorio Nazionale (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 6), avviene normalmente attraverso la compilazione del modello per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, c.d. modello C\3, che può essere accompagnata, qualora lo desideri il richiedente, da uno scritto circa i motivi della sua fuga dal Paese di origine o di dimora. In tali circostanze, così come ogniqualvolta il richiedente debba spiegare la propria situazione alle autorità competenti, egli ha diritto di essere assistito gratuitamente da un interprete nella lingua da lui prescelta (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 10, co. 4).
Nel redigere l'istanza, lo straniero non è tenuto a specificare quale forma di protezione è intenzionato a richiedere, ma deve limitarsi all'esposizione delle circostanze che attengono alla sua situazione personale: sarà poi compito dell'autorità amministrativa competente, sulla base degli elementi sottoposti alla sua attenzione, valutare se lo straniero sia meritevole della protezione internazionale ed in che forma la stessa debba essere riconosciuta.
L'esame della domanda è demandato alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ex d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 4, la cui competenza è determinata sulla base del luogo in cui è stata presentata l'istanza. Qualora lo straniero sia accolto in una struttura di accoglienza o trattenuto in un Centro di permanenza per i rimpatri - CPR (precedentemente noto come Centro di Identificazione ed Espulsione CIE UD XVI - XVII), la competenza territoriale della Commissione è determinata in base alla circoscrizione territoriale in cui si trova il centro e, conseguentemente, muta nel caso in cui lo straniero venga trattenuto dopo aver presentato la domanda di protezione internazionale.
Le Commissioni territoriali sono composte da quattro membri da personale selezionato in base al possesso di specifiche conoscenze sulla materia. Vi sono poi dei rappresentanti dell'UNHCR - Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati che forniscono supporto nella ricerca delle COI - Country of Origin Information e vigilano sul rispetto delle procedure. Ai medesimi fini possono sono presenti funzionari dell'OIM - Organizzazione internazionale per le migrazione e personale EASO - Ufficio europeo di sostegno per l'asilo, con lo scopo di supportare lo Stato italiano nello svolgimento delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale.
Il ruolo di presidente della Commissione territoriale è ricoperto da personale designato dal Ministero dell'Interno.
Il coordinamento delle singole Commissioni territoriali spetta alla Commissione Nazionale per il riconoscimento della protezione internazionale, che svolge, altresì, un ruolo di aggiornamento e raccolta della documentazione concernente la situazione socio-economica e politica dei Paesi di origine dei richiedenti e fissa le linee guida per la valutazione delle domande.
La valutazione della domanda spetta in via esclusiva alla Commissione territoriale e, pertanto, anche a fronte di una palese inammissibilità dell'istanza, la sua presentazione non può mai essere rifiutata dalle autorità di polizia. La ratio di tale disposto è da ricercarsi nella specificità della composizione di tali organi amministrativi, i cui membri sono scelti sulla base di un comprovato livello di preparazione in materia.
Tale concetto è stato nuovamente ribadito dalla Corte di Cassazione, ove di afferma altresì che la condizione di richiedente asilo sorge al momento della manifestazione della volontà di presentare la domanda di protezione internazionale e, quindi, anche prima della sua formalizzazione con il cd modello C/3(Cass. Civi. Sez. I n. 21910 del 17.09.2020)
L'esame delle domande di protezione internazionale importano un vero e proprio dovere di collaborazione per il richiedente protezione con le Autorità amministrative: egli, infatti, ai sensi del d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 11 e del d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 3, ha l'obbligo di cooperare in ogni fase della procedura e di indicare ogni elemento e documentazione utile circa la propria posizione personale, le ragioni che hanno determinato il suo allontanamento dal Paese di origine o di dimora e quelle che ne impediscono il rientro, oltre a tutto ciò che possa essere di utile valutazione al fine di agevolare la decisione finale. Il richiedente può ottemperare a tale obbligo in due momenti: al momento della presentazione della domanda e nel corso della audizione personale avanti alla Commissione territoriale.
Il colloquio personale è uno dei momenti cardine della procedura di riconoscimento della protezione internazionale poiché, da un lato, i membri della Commissione, che già hanno cognizione della situazione personale del richiedente, possono saggiarne la credibilità ed approfondire aspetti non pienamente chiari, dall'altro, il richiedente può spiegare con maggiore calma e precisione le sue ragioni.
L'omissione della audizione, circostanza comunque alquanto rara, è giustificata solo nel caso in cui sia possibile riconoscere lo status di rifugiato sulla base della disamina della sola documentazione prodotta dal richiedente (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 12).
Ulteriore ipotesi nella quale è possibile non tenere l'audizione si ha qualora il Paese di origine del richiedente rientri nell'elenco predisposto periodicamente dalla Commissione nazionale di nazioni, in cui sussistono condizioni tali da permettere il riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del d.lgs. 251 del 2007, art. 14. In tal caso, tuttavia, è necessario che lo straniero presti il consenso a tale procedura speciale, residuando la possibilità di chiedere di essere sottoposto alla audizione personale per poter esporre le ragioni sottese al riconoscimento dello status di rifugiato.
Nel corso dell'audizione, il richiedente ha diritto all'assistenza gratuita di un interprete ed ha la facoltà di farsi assistere, a proprie spese, da un difensore (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 13).
Il d.l. n. 13 del 2107, cit., così come modificato in sede di conversione, prevede che il colloquio avanti alla Commissione territoriale venga videoregistrato e trascritto in lingua italiana con sistemi automatici di riconoscimento vocale. Giova precisare che la trascrizione con tali modalità attiene solo alle parti in lingua italiana - nella fattispecie le domande del Commissario delegato per l'audizione e la traduzione delle dichiarazioni del richiedente asilo - attesa l'oggettiva impossibilità di utilizzare tali strumenti tecnologici per la trascrizione di lingue che spesso sono solo dei dialetti locali. Tali disposizioni sono entrate in vigore il 17 agosto 2017, ma ad oggi non anno ancora avuto applicazione stante l'indisponibilità degli strumenti tecnici idonei.
Sono previste procedure accelerate per l'esame della domanda di protezione internazionale (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 28 bis) ove la stessa risulti:
- manifestamente infondata;
- reiterata – quando la richiesta di asilo è proposta dallo straniero per due volte con i medesimi contenuti, senza che venga aggiunto alcun elemento nuovo o sopravvenuto. In tal caso la domanda è sottoposta a un vaglio di ammissibilità da parte del Presidente della Commissione territoriale competente;
- presentata in determinati valichi di frontiera o nelle zone di transito - a tale fine sono istituite con il d.l. n. 113 del 2018, cit., così come modificato nella conversione in legge, Commissioni territoriali ad hoc;
- presentata da uno straniero proveniente da uno dei Paesi di origine sicuri, individuati con decreto interministeriale del 04.08.2019;
- presentata solo fine di impedire o ritardare l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale.
La ratio di tale scelta discende dalla volontà di velocizzare le procedure di definizione della domanda, salvo in ogni caso il rispetto delle garanzie previste dal d.lgs. n. 25 del 2008, cit.
Con lo scopo di perseguire il medesimo fine, la domanda di protezione è valutata in via prioritaria (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 28) qualora:
- appaia manifestamente fondata;
- sia stata presentata da un appartenente ad una categoria di persone vulnerabili ai sensi del d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 17, in particolare se minore non accompagnato;
- possa essere concessa la protezione sussidiaria di cui al d.lgs. 25 del 2008, cit., art. 12, co. 2 bis;
- sia stata presentata da un cittadino straniero trattenuto in un Centro di permanenza per i rimpatri - CPR.
Ai fini della valutazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale sono oggetto di valutazione: le informazioni riguardanti la situazione politica, sociale ed economica del Paese di origine dell'istante al momento della adozione della decisione (cd. COI - Country of Origin Information) e le dichiarazioni e la documentazione prodotta da costui (d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 3, co.3). Queste ultime devono essere valutate alla luce di un principio di verosimiglianza, attesa l'oggettiva difficoltà in capo al richiedente asilo di fornire piena prova del timore di essere perseguitato o di subire gravi danni alla propria persona in caso di rientro nel proprio Paese di origine.
In tal senso si colloca la previsione in capo al richiedente asilo di un onere della prova attenuato (d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 3, co. 4). Qualora, infatti, le sue allegazioni non siano sorrette da evidenze probatorie, la Commissione può comunque considerarle veritiere a fronte dell'accertamento della sussistenza di riscontri esterni, quali la tempestività della presentazione della domanda, l'allegazione di una valida giustificazione alla mancata presentazione di elementi probatori significativi e la complessiva credibilità del richiedente, desumibile dall'assenza di contraddizioni interne e dalla coerenza delle stesse con le condizioni generali del Paese di origine. Per tale ragione le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno individuato in capo sia all'autorità amministrativa sia a quella giudiziaria un vero e proprio potere istruttorio d'ufficio, attraverso il quale acquisire elementi utili alla valutazione della domanda di protezione internazionale e della credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente. Da ciò consegue un'alterazione delle normali regole procedurali che impongono in capo a chi agisce per il riconoscimento di un diritto o di uno status un onere probatorio pieno circa ogni allegazione avanzata (Cass. Civ., SU, 17 novembre 2008, n. 27310).
Tra i vari elementi che contribuiscono all'esito positivo del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, con particolare riferimento alla credibilità delle affermazioni del richiedente asilo, vi è l'aver già subito in passato atti di persecuzioni, danni gravi o minacce dirette alla propria persona: ciò rappresenta un “serio indizio” della fondatezza del timore paventato dal richiedente, poiché, in linea generale, si presume che ciò possa nuovamente capitare in futuro. Ovviamente, ciò non significa che la sussistenza di tale circostanza sia assolutamente necessaria ai fini della positiva conclusione del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale, poiché il richiedente ben potrebbe essere riuscito a fuggire prima di subire atti di persecuzione o danni gravi alla propria persona ed avere comunque il ragionevole e fondato timore di esserne oggetto in futuro. Allo stesso modo, tale fondato timore può non essere riconosciuto in capo al richiedente, nonostante lo stesso sia già stato vittima di tali atti, nel caso in cui questi risultino risalenti nel tempo e non più attuali rispetto alle oggettive condizioni del Paese di origine.
Il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale può avere diversi esiti:
- il riconoscimento dello status di rifugiato;
- il riconoscimento della protezione sussidiaria;
- il diniego della protezione internazionale, ma il riconoscimento di un permesso di soggiorno per protezione speciale in ragione del principio di non refoulement (UD VII.4);
- il diniego della protezione internazionale.
Il riconoscimento della protezione internazionale è negato nel caso in cui lo straniero sia considerato un pericolo per la sicurezza dello Stato (ed anche per l'ordine pubblico, nel solo caso della protezione sussidiaria) ovvero nel caso in cui abbia riportato in Italia una condanna definitiva per alcuni reati di cui al d.lgs. 251 del 20107, cit., artt. 12, co. 1 lett. c) e 16, co. 1 lett. d-bis), la cui elencazione è stata ampliata con il d.l. 113 del 2018, cit.
In caso di esito negativo del procedimento e quando il richiedente ritiene di avere titolo al riconoscimento di una forma di protezione diversa, è possibile impugnare il provvedimento in sede giudiziale.
La procedura è stata profondamente modificata con l'entrata in vigore del d.l. 13 del 2017, cit., così come modificato in sede di conversione.
Secondo il sistema attualmente vigente (che si applica ai procedimenti iniziati dopo il 17 agosto 2017), avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso il ricorso alla Sezione Specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea presso il Tribunale ordinario, in composizione collegiale, entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento, termine che viene dimezzato nel caso in cui il richiedente sia trattenuto in un CPR ed in altri casi particolari.
In linea generale la proposizione del ricorso sospende l’esecutività del provvedimento impugnato e il richiedente asilo continua a mantenere tale status sino alla adozione della ordinanza che definisce il giudizio. In casi specifici – come nel caso del richiedente asilo trattenuto presso un CPR - tale effetto sospensivo non opera automaticamente a fronte della mera presentazione del ricorso, ma deve essere richiesto con istanza ad hoc presentata al Giudice procedente, il quale deve pronunciarsi in merito nel termine di 5 giorni. Qualora, quindi, tale istanza venga rigettata, il richiedente non è più autorizzato a permanere sul territorio nazionale e, qualora non se ne allontani, incorrerà nelle conseguenze giuridiche che conseguono alla posizione di irregolarità dello straniero (UD. XV).
Il procedimento ha una natura prettamente cartolare e, in linea generale non è prevista la fissazione di una udienza nè per la mera comparizione delle parti nè per la nuova audizione dell'interessato.
Il decreto conclusivo non è reclamabile, ma è ammessa la sola impugnazione avanti alla Corte di Cassazione, nel termine di 30 giorni dalla comunicazione della cancelleria. Da tale momento viene meno altresì la sospensione degli effetti del provvedimento della Commissione territoriale: specifica richiesta di sospensione per il procedimento di Cassazione può essere richiesta al Giudice che ha emesso il decreto impugnato.
IX.2. Il procedimento Dublino
La volontà di cooperazione e gestione comune a livello europeo dell'asilo, trova la sua massima espressione nel procedimento cd “Dublino” circa l'individuazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda di protezione internazionale. Con l'adozione della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo si sono voluti perseguire due obiettivi principali:
1) garantire al richiedente asilo l'effettivo esame della sua domanda di protezione internazionale da parte delle autorità di uno dei Paesi membri, evitando così il fenomeno dei cd “richiedenti in orbita”, cittadini stranieri respinti ad ogni frontiera e di fatto impossibilitati a presentare l'istanza di protezione internazionale;
2) impedire la presentazione da parte della stessa persona in più Stati membri alla ricerca di una risposta positiva.
La convenzione è stata siglata il 15 giugno 1990 e ratificata dall'Italia con la l. 23 dicembre 1992 n. 523.
Il criterio sotteso a tale disciplina è quello della unicità della domanda, secondo cui il cittadino di un Paese terzo o l'apolide può presentare una sola domanda di protezione internazionale in uno degli Stati membri dell'Unione europea. Sulla base dei criteri che verranno esposti in seguito, lo Stato sarà competente all'esame della richiesta, senza che il richiedente possa in seguito ad una decisione negativa o nelle more del procedimento avanzare una nuova richiesta in un altro Stato membro.
Il sistema normativo si è evoluto nel corso degli anni attraverso l'adozione del Regolamento (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003 (c.d. Dublino II), oggi abrogato dal recentissimo Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 giugno 2013, entrato in vigore il 01 gennaio 2014 (cd. Dublino III).
La procedura in esame trova applicazione ogni qualvolta, in capo alle autorità nazionali competenti, sulla base delle informazioni fornite dal richiedente e dalle sue dichiarazioni, nonché dai rilievi fotodattiloscopici (le impronte digitali), sorga il dubbio circa la competenza dello Stato membro all'esame della domanda di protezione internazionale.
In merito alla condivisione dei dati a livello europeo si veda Approfondimento 3 - Eurodac.
I criteri utili ai fini della determinazione dello Stato membro competente devono essere applicati secondo un ordine gerarchico e sulla base della situazione del richiedente al momento della presentazione della prima domanda di protezione in un Paese membro (reg. n. 604 del 2013, art. 7).
Ai fini della determinazione della loro applicazione devono preliminarmente essere prese in considerazione eventuali situazioni meritevoli di particolare protezione, per poi passare alla individuazione di elementi oggettivi, come il Paese di primo ingresso.
Qualora la domanda sia presentata da un minore non accompagnato è competente lo Stato membro ove risiede legalmente il genitore ovvero un altro parente o persona incaricata della tutela del minore (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 8). Qualora ciò non sia possibile diventa competente lo Stato in cui il minore ha presentato la domanda di protezione e, nel caso in cui siano più di una, lo Stato in cui si trovi al momento della decisione, al fine di evitare trasferimenti che possano incidere negativamente sulla sua integrazione sociale, culturale e scolastica. Tale principio è stato codificato nella nuova normativa Dublino III, ma trae le sue origini dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE, 6 giugno 2013, C-648/11, The Queen, su istanza di MA e altri / Secretary of State for the Home Department). Sul punto deve aggiungersi che tutte le decisioni di trasferimento di un richiedente asilo, qualora coinvolgano dei minori, ancorché non richiedenti in prima persona, devono essere adottate in ossequio alla tutela del loro interesse preminente (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 6).
Per quanto attiene al diritto all'unità familiare, qualora un parente del richiedente sia già beneficiario della protezione internazionale ovvero abbia presentato domanda a tal fine in un altro Stato membro, questo diviene il Paese competente all'esame dell'istanza (reg. n. 604 del 2013, cit., artt. 9 – 10). A fronte, invece, di più domande presentate, simultaneamente o in tempi ravvicinati, da membri dello stesso nucleo familiare, le stesse vengono esaminate congiuntamente dalla stessa autorità nazionale, anche in deroga ai criteri del Regolamento stesso, qualora, in virtù della loro applicazione, le domande verrebbero trattate da Stati membri diversi, con conseguente compromissione del diritto all'unità familiare dei richiedenti (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 11).
Se non devono essere applicati i criteri precedenti, è competente all'esame delle domanda di protezione internazionale lo Stato membro che ha rilasciato, anche in passato, un visto di ingresso o un permesso di soggiorno al richiedente (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 12).
In estremo subordine, nonostante la sua applicazione pratica sia estremamente frequente, è ritenuto competente lo Stato membro di primo ingresso (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 13). Tale circostanza è di agevole accertamento soprattutto grazie all'esame incrociato dei fotosegnalamenti avvenuti nei diversi Stati membri ed inseriti nel sistema informatizzato comune EURODAC “per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della Convenzione di Dublino”, istituito con il regolamento (CE) 407/2002 del 28 febbraio 2002 e successivamente modificato nel 2013.
All'elencazione di tali criteri deve aggiungersi la c.d. clausola umanitaria, secondo cui ogni Stato membro deve procedere al ricongiungimento ovvero a mantenere l'unità familiare delle persone che per motivi di salute, gravidanza, età o gravi disabilità dipendano dal richiedente asilo ovvero egli rappresenti il supporto per un familiare in difficoltà (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 16). Giova evidenziare che l'applicazione di tale clausola non è una mera facoltà per gli Stati membri coinvolti, ma rappresenta un obbligo.
Fermo quanto sin qui illustrato, ogni Stato membro può discrezionalmente e senza alcuna condizione, nemmeno il consenso del richiedente, in deroga al disposto di cui al reg. n. 604 del 2013, cit., art. 3, co. 1, decidere di esaminare la domanda di protezione internazionale avanzata, pur non essendone competente (cd. clausola di sovranità) (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 17).
Qualsiasi decisione di trasferimento ai sensi della procedura Dublino deve essere adottata in ossequio al principio generale stabilito al reg. n. 604 del 2013, cit., art. 3, secondo cui il richiedente non potrà essere trasferito in un altro Paese membro, nonostante questo risulti competente per l'esame della domanda di protezione internazionale, se vi sono fondati motivi di ritenere che l'interessato sarebbe esposto al rischio di subire trattamenti inumani e degradanti a causa delle gravi carenze sistemiche nella procedura di asilo e di accoglienza. Tale principio, introdotto con la novella di cui al Regolamento Dublino III, recepisce in pieno il percorso giurisprudenziale in materia, internazionale, europeo e nazionale, soprattutto con riferimento alla situazione greca.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea è stata chiamata a pronunciarsi su una questione interpretativa circa l'applicazione dei criteri di individuazione dello Stato membro competente all'esame della domanda di protezione internazionale di cui al Regolamento Dublino II, in allora vigente, e la tutela dei diritti fondamentali, con riferimento al trasferimento di due richiedenti asilo in Grecia. In merito l'autorità giudiziaria europea ha rilevato che il sistema europeo comune di asilo si fonda sul presupposto che i Paesi che vi partecipano rispettino i diritti fondamentali, ivi compreso quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU ed è proprio sulla base di tale circostanza di reciproca fiducia che trova fondamento il sistema di determinazione dello Stato membro compete all'esame della domanda di protezione internazionale. Tuttavia, la stessa Corte riconosce che tale presunzione possa non trovare riscontro nella realtà.
Secondo la Corte, non ogni forma di carenza nel sistema di accoglimento e nella procedura di riconoscimento della domanda di protezione internazionale permette la possibilità di derogare alle norme della procedura Dublino, ma solo i casi in cui tali carenze siano strutturali, così come riconosciuto nel caso della Grecia (CGUE, 21 dicembre 2011, C-411/10 e C-493/10, N. S./Secretary of State for the Home Department e M. E. e altri/Refugee Applications Commissioner e Minister for Justice, Equality and Law Reform).
Sul punto deve ricordarsi la pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo circa il sistema di accoglienza italiano (Corte Edu, Grand Chambre, 04 novembre 2014, ric. 29217/12, Tarakhel c. Svizzera), con la quale viene definito che, allo stato attuale, il rinvio in Italia di richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità, come nel caso di un nucleo familiare con minori, potrebbe, in assenza di adeguate garanzia circa le modalità di accoglienza, comportare una violazione del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti si cui all'art. 3 CEDU.
E' attualmente in discussione la revisione del "Sistema Dublino" che prevede l'adozione di un nuovo Regolamento che modificherebbe profondamente l'attuale disciplina in materia di ripartizione delle competenza tra gli Stati membri.
IX.3. I centri per stranieri
Il sistema di accoglienza dei cittadini stranieri è articolato in fasi differenti ed è stato oggetto di diverse modifiche nel corso degli anni. Tali forme di accoglienza sono rivolte, nella loro prima fase, agli stranieri appena giunti in Italia, in particolare con mezzi di fortuna ed in modo non regolare, mentre le forme di accoglienza di secondo livello sono riservate ai richiedenti asilo, ai titolari di protezione internazionale o di altre forme di protezione ed ai minori stranieri non accompagnati.
Prima della adozione del d.lgs. n. 142 del 2015, cit. tali strutture erano le seguenti: i CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza); i CDA (Centri di Accoglienza) e i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo). A questo si aggiungevano la rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e le strutture di accoglienza temporanea per richiedenti asilo (Centri di Accoglienza Straordinari - CAS), previste a partire dal 2011.
Alcune di queste strutture rimangono tutt'ora, altre sono state sostituite da nuovi centri.
I CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) sono strutture istituite nel 2006 al fine di garantire immediato soccorso e prima accoglienza agli stranieri appena giunti in Italia e prima di un loro trasferimento presso gli altri centri. In questi centri dovrebbe avvenire, nel più breve tempo possibile, l’identificazione di tutti gli stranieri, e la separazione tra i richiedenti asilo ed i migranti economici: i primi da indirizzare in un Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), i secondi sottoposti all'immediato rimpatrio. Qualora ciò non fosse possibile questi ultimi venivano trattenuti in un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE - ora Centri di Rimpatrio CPR) in attesa del rimpatrio, oppure, qualora non fossero disponibili posti in tali centri, venivano muniti di un ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato entro sette giorni - v. UD XVI.
Nei CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) gli stranieri dovrebbero essere trattenuti per un periodo non superiore a 48 ore, il tempo necessario per assolvere alle attività di soccorso. Nei fatti, tuttavia, non sempre questa tempistica veniva rispettata e ciò che rende tale situazione particolarmente allarmante è che tali centri non hanno una disciplina legislativa.
I CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) e i CDA (Centri di Accoglienza) sono spesso ricondotti alle strutture istituite nel 1995 con il d.l. n. 452 del 30 ottobre 1994, come convertito in l. n. 563 del 29 dicembre 1995, la cosiddetta “legge Puglia”. Tale normativa disciplinava i i primi CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) destinati a offrire immediato soccorso agli stranieri giunti irregolarmente in Italia, nonché a procedere alla loro identificazione in modo da legittimarne la presenza sul territorio o disporne l’espulsione. Tali strutture, inizialmente allestite solo nelle città di Brindisi, Lecce e Otranto - per i primi afflussi di massa dai Balcani - servivano a tentare di evitare interventi d’accoglienza improvvisati e a diminuire il consueto ricorso a provvedimenti emergenziali di protezione civile per affrontare il numero sempre più cospicuo di arrivi di cittadini stranieri. Questi ultimi rimanevano nei CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) per il periodo di tempo strettamente necessario all'attuazione delle funzioni stesse dei Centri. È bene ricordare che la legge istitutiva dei CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) si riferiva unicamente a strutture adibite per la prima accoglienza in Puglia in una situazione specifica.
I CDA (Centri di Accoglienza) sono funzionali ad accogliere i migranti il cui status giuridico non è ancora definito e che sono in attesa di regolarizzare la propria presenza sul territorio nazionale. La normativa italiana, come per i CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), non definisce con precisione il limite temporale oltre il quale gli stranieri non possono più permanervi, né circoscrive le modalità di trattenimento e i diritti delle persone ivi presenti. Gli stranieri, secondo la norma italiana, devono rimanere in tali Centri esclusivamente per il tempo necessario all'adozione dei provvedimenti questorili (DPR n. 349 del 1999, cit, art. 23). Le carenze legislative indicate spesso si traducono in situazioni di limitazione della libertà personale senza che essa venga convalidata con un atto motivato dall'autorità giudiziaria.
I CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) sono stati creati con il d.lgs. n. 25 del 2008, cit. al fine di accogliere lo straniero richiedente asilo sprovvisto di documenti o che si è sottratto ai controlli alla frontiera in modo da renderne possibile l’identificazione e l’applicazione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. I richiedenti asilo rimanevano in tali strutture fino a che non veniva comunicato loro il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria oppure, in caso di parere negativo della Commissione, nei quindici giorni successivi il diniego. In ogni caso lo straniero non poteva rimanere nei CARA per più di sei mesi dalla presentazione della domanda d’asilo. Occorre evidenziare che gli stranieri accolti in questi Centri potevano lasciare le strutture durante il giorno, ma dovevano farvi ritorno per la notte. Nei fatti, però, i richiedenti asilo venivano sovente trattenuti nelle strutture o si trovavano in situazioni che rendevano difficile o poco sensato uscire dal complesso (diversi CARA erano infatti situati in aperta campagna o comunque lontani dai centri abitati in luoghi on raggiunti dal sistema di trasporto pubblico locale).
Il Progetto SPRAR (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) era gestito dal Ministero dell'Interno e dall'Associazione dei Comuni d'Italia, istituito con l. n. 39 del 1990, cit., artt. 1 sexies e 1 septies. Lo SPRAR costituiva una rete di enti locali coordinata e monitorata da una struttura di coordinamento centrale statale (Servizio Centrale dello SPRAR presso il Ministero dell'Interno) affidata all'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) in forza di una convenzione stipulata con il Ministero dell'Interno. Gli enti locali parte dello SPRAR realizzavano in forma singola o associata progetti di accoglienza integrata in strutture (appartamenti o centri collettivi) accedendo, attraverso un bando triennale di finanziamento, alle risorse di taluni fondi ministeriali ed europei (ad es. FAMI - Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione; FNPSA - Fondo nazionale per le politiche e i servizi per l'asilo; FEI - Fondi europei di integrazione). Vi trovavano accoglienza i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale e umanitaria.
Come vedremo in seguito, negli ultimi anni la rete SPRAR ha cambiato nome in ragione delle diverse tipologie di ospiti a cui era riservata l'accoglienza, tuttavia la sua struttura non si è modificata nel tempo.
Infine nel 2011 per rispondere ai
significativi arrivi dalla Tunisia e dalla Libia in particolare, il Piano
Straordinario della Protezione Civile ha istituito dei Centri di Accoglienza
Straordinari (CAS), gestiti dalle Prefetture per il tramite di cooperative o società terze scelte o con bando di appalto o con chiamata diretta, strutture temporanee che dovevano rispondere alla situazione
contingente. Non stante la loro previsione emergenziale, tali strutture permangono tuttora come forma di accoglienza di secondo livello per i richiedenti asilo.
Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 142 del 2015, cit. questo complesso sistema ha subito una operazione di riordino, strutturandosi in modo più chiaro in 3 fasi:
1) una primissima fase di soccorso, prima accoglienza e identificazione, che si svolge nei CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza)/CDA (Centri di Accoglienza) (art. 8);
Segue la fase di accoglienza struttura su due livelli
2) una fase di prima accoglienza in appositi centri governativi (Centri governativi di prima accoglienza, CPA, nuova definizione dei CARA analizzati sopra), in cui il richiedente formalizza la domanda di protezione internazionale (art. 9);
3) una seconda fase di accoglienza riguardante il richiedente che ha formalizzato la domanda e che sia privo di mezzi di sussistenza. L'accoglienza dei richiedenti asilo avveniva in via prioritaria in un centro di accoglienza afferente alla rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e solo in caso di mancanza di posto in tali strutture verso un CAS (Centro di Accoglienza Straordinari)- A seguito della novella legislativa del 2018 - d.l. 113 del 2108, cit., come convertito in l.n. 132 de 2018, cit. - i richiedenti asilo sono accolti solo nelle strutture CAS, mentre i posti nella rete SPRAR - divenuta SIPROIMI (Sistema di Protezione per i Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri non accompagnati) - era riservata ai soli titolari di protezione internazionale, protezione sociale di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., artt. 18, 18 bis e 22, co. 12 quater -, permesso di soggiorno per cure mediche, atti di particolare valore civile, calamità e per i minori stranieri non accompagnati.
A seguito della entrata in vigore, del d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit. il SIPROIMI è sostituito dalla rete SAI - Sistema di Accoglienza e Integrazione ove sono ammessi nuovamente al suo interno i richiedenti asilo, nei limiti delle disponibilità dei posti e con priorità per coloro che rientrano nelle categorie vulnerabili – ad esempio donne, nuclei familiari, vittime di tratta o di tortura. Inoltre, in aggiunta a chi già è ammesso a tale forma di accoglienza in vigenza del SIPROIMI, vi rientrano, adesso, i minori stranieri non accompagnati dopo il raggiungimento della maggiore età se in prosieguo amministrativo – si veda UD X – i titolari di protezione speciale e di permesso di soggiorno per “casi speciali”, quale riconoscimento della protezione umanitaria dopo l'entrata in vigore del d.l. 133 del 2018, cit.
Per quanto riguarda il CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 8 co. 2 prevede che “le funzioni di soccorso e prima accoglienza, nonché di identificazione continuano ad essere svolte nelle strutture allestite ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563" : null’altro dispone il decreto in commento riguardo alla primissima fase di accoglienza. Anche in questa occasione, dunque, il legislatore ha deciso di non regolamentare, almeno a livello di fonti primarie, questa fase decisiva dell’accoglienza (che riguarda tanto i richiedenti asilo, che i migranti economici), limitandosi ad un rimando alla cd. legge Puglia, che a sua volta non fa che prevedere la possibilità di istituire tali Centri, senza nulla dire riguardo al loro funzionamento.
Successivamente, il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 9 co. 1 prevede che “per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto negli appositi centri governativi (CPA, Centri di Prima Accoglienza: n.d.r.) istituiti con decreto del Ministero dell’interno”. La loro gestione è affidata ad enti locali, enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza ad immigrati e richiedenti asilo, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. Previo decreto del Ministro dell’Interno, anche le strutture di cui alla c.d. “Legge Puglia” possono essere destinate alle medesime finalità.
Nei CPA (Centri di Prima Accoglienza) il richiedente protezione internazionale è avviato dal Prefetto ed è accolto per il tempo necessario al completamento delle procedure di identificazione (già iniziate nei CPSA - Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), alla verbalizzazione della domanda di protezione ed all'avvio della procedura di esame della domanda stessa. Contestualmente, si procede all'accertamento delle condizioni di salute del richiedente, anche al fine di verificare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità. Espletate tali formalità, il richiedente che sia privo di mezzi di sussistenza e ne faccia richiesta, è avviato nelle strutture di seconda accoglienza-.
Il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 10 disciplina le modalità di accoglienza nei CPA (Centri di Prima Accoglienza), ove sono “assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all’età, la tutela della salute fisica e mentali dei richiedenti, l’unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze” . Si prevede poi che sia consentita l’uscita dal centro nelle ore diurne, con obbligo di rientro in quelle notturne, e che lo straniero possa chiedere al prefetto “un permesso temporaneo di allontanamento” per periodi maggiori, con obbligo di motivazione dell’eventuale diniego. Infine, è assicurata la facoltà di comunicare con i rappresentanti dell’UNHCR, degli enti di tutela, dei ministri di culto, con avvocati e familiari .
Quanto alle condizioni materiali di
accoglienza, il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 12 prevede che il Ministro dell’interno adotti con decreto
lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei bene e dei
servizi in tutte le diverse categorie di Centri, “in modo da assicurare livelli
di accoglienza uniformi nel territorio nazionale, in relazione alle peculiarità
di ciascuna tipologia di centro”. E' poi prevista l’individuazione di
“forme di partecipazione e di coinvolgimento dei richiedenti nello svolgimento
della vita nelle strutture” .
L’allontanamento ingiustificato dal centro comporta la revoca delle condizioni di accoglienza.
Anche i CPA (Centri di Prima Accoglienza), dunque, come i CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) che vanno a sostituire, sono centri aperti, nei quali lo straniero richiedente protezione non è privato della libertà personale, ma è solo limitato nella libertà di circolazione.
Il quadro normativo della prima accoglienza, così sommariamente delineato, subisce una ulteriore modifica a seguito dell’attuazione di alcune delle disposizioni previste nella Agenda Europea sulla migrazione, una Comunicazione presentata a maggio 2015 in cui la Commissione europea ha delineato le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto.
L'attuazione delle misure della Agenda Europea sono inserite in un documento irrituale denominato “Roadmap italiana” che il Ministero dell’interno ha comunicato il 28 settembre 2015, con cui si davaconto della situazione attuale e delle prospettive in materia di accoglienza e di gestione dei richiedenti asilo.
La prima parte del documento chiariva la capacità del sistema di accoglienza e l’approccio hotspot.
In linea con l’Agenda europea sulle migrazioni, l’Italia adottava un nuovo approccio “hotspot”: si tratta di un “piano volto a canalizzare gli arrivi via mare in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri” (p 6 Road Map). A settembre 2015, quattro porti erano individuati come “hotspots”: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa, strutture di prima accoglienza con una capacità di 1.500 posti, a cui avrebbe dovuto seguire l’apertura di altre due aree, Augusta e Taranto, tuttavia, alcuni centri sono stati chiusi anche a seguito delle proteste delle persone lì presenti e alcuni (come Augusta) non sono mai stati aperti.
Il documento ministeriale indica chiaramente cosa sono le strutture “hotspots” e a cosa servono. Innanzitutto,
si tratta di centri “chiusi”, senza alcuna ulteriore specificazione.
Secondo poi la circolare 6.10.2015 del Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione del Ministero dell’interno, “il meccanismo - a regime – prevede
che tutti i migranti sbarchino in uno dei siti hotspot individuati affinché possano
essere garantite, nell’arco di 24/48 ore, le operazioni di screening sanitario,
pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità),
registrazione e foto-segnalamento per ingresso illegale (categoria Eurodac 2)”.
Le procedure poi che devono venire attuate in questi “hotspots” sono le seguenti: 1) sottoposizione a screening medico, al fine di accertare problemi sanitari di immediata evidenza; 2) sottoposizione alla procedura di pre-identificazione, consistente in interviste ad opera di funzionari degli uffici immigrazione, per la compilazione del c.d. “foglio notizie” contenente le generalità della persona, la sua fotografia, le informazioni di base, nonché l’indicazione della volontà o meno di richiedere la protezione internazionale; individuazione delle persone che potrebbero rientrare nella procedura di ricollocazione. Nella Roadmap si precisa testualmente che “avrà luogo una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenzialmente ricollocabili e quelle in posizione irregolare”; 3) sottoposizione ad interviste di carattere investigativo o di intelligence ad opera di funzionari di polizia investigativa, di Frontex ed Europol nei confronti di coloro che, sulla base delle prime risultanze, si presume possano fornire indicazioni utili; 4) separazione, dopo la pre-identificazione, delle persone che vengono segnalate come Categoria Eurodac 1 (richiedenti asilo, anche ricollocabili, che saranno inviati per la formalizzazione della domanda negli “hubs regionali”, i CPA), o Categoria Eurodac 2 (le persone in posizione irregolare che non richiedono protezione, destinate ad essere trasferite nei CPR in vista del più celere rimpatrio).
Approfondimento 1 - Il caso greco
In aggiunta a quanto già esposto in precedenza circa la determinazione di un Paese terzo sicuro, con riferimento all'allontanamento del richiedente asilo verso un Paese di transito o di dimora, occorre fare alcune precisazioni circa la portata di tale concetto ai fini della applicazione della procedura “Dublino” per trasferimento del richiedente asilo verso il Paese membro dell'Unione europea ritenuto competente ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale.
Sebbene, inizialmente, vigesse una presunzione di pari sicurezza e reciproca fiducia tra gli Stati membri circa le procedure di riconoscimento della protezione internazionale e le condizioni di accoglienza, attesa la definizione di standard minimi comuni europei in materia, con il tempo si sono delineate sempre maggiori differenze tra i diversi ordinamenti.
In merito si evidenzia il particolare caso della Grecia, le cui carenze sia in termini di valutazione delle domande di protezione internazionale sia in tema di accoglienza hanno indotto diversi Stati a derogare alle norme del sistema Dublino, sospendendo il rientro dei richiedente asilo e prendendo direttamente in carico la domanda di protezione internazionale.
Con la sentenza del TAR Puglia, sez. III, 24 giugno 2008, n. 1870/2008 per la prima volta in Italia è stata accolta la richiesta del richiedente asilo di non essere trasferito in Grecia ai sensi della procedura Dublino, nonostante quello fosse stato il primo Paese di ingresso del ricorrente. In merito il Tribunale amministrativo ha evidenziato la mancata valutazione da parte delle autorità italiane della serietà e della gravità della situazione dei richiedenti asilo in Grecia.
Tale orientamento è stato avallato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. di Stato, ordinanza del 03 febbraio 2009 n. 667/09).
Recentemente il Consiglio di Stato si è pronunciato in termini analoghi con riferimento alla Bulgaria, annullando i trasferimenti verso tale Paese UE, ritenendolo non sicuro ai fini della tutela dei richiedenti asilo (Tra le più recenti si veda Cons. di Stato, sentenza del 19 ottobre 2017, n. 5085/2017). E così anche la giurisprudenza di merito più recente.
A fronte di tale situazione non può non rilevarsi che anche con riferimento all'Italia alcuni Paesi membri hanno sollevato delle remore circa la concreta e reale possibilità per i richiedenti asilo di accedere e di godere ad un sistema di accoglienza adeguato ed efficiente. In merito la Corte europea dei diritti dell'uomo, con un procedimento di urgenza ai sensi dell'art. 39 CEDU ha sospeso in via cautelare il trasferimento di due minori non accompagnati richiedenti asilo verso l'Italia per il rilascio di una violazione dell'art. 3 CEDU, valutando come trattamenti potenzialmente degradanti le forme di accoglienza ivi previste.
Approfondimento 2 - Le nuove Sezioni Specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea
Il d.l. n. 13 del 2017, cit., così come modificato in sede di conversione in legge, ha introdotto importanti modifiche processuali in tema di diritto dell'immigrazione, con particolare riferimento alla protezione internazionale.
Presso ogni Tribunale ordinario del luogo ove ha sede la Corte d'Appello è istituita una sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea che si compone di magistrati con formazione specifica e che decide nelle seguenti controversie:
mancato riconoscimento del diritto di soggiorno sul Territorio Nazionale in favore dei cittadini europei e dei loro familiari;
provvedimenti di allontanamento dal Territorio Nazionale emessi nei confronti dei cittadini europei e dei loro familiari;
procedimenti di convalida dei provvedimenti di allontanamento coattivo dei cittadini europei;
diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari e per altre controversie in materia di unità familiare;
impugnazione dei provvedimenti adottati nell'ambito della determinazione dello Stato competente all'esame della domanda di protezione internazionale;
stato di apolidia e cittadinanza italiana;
convalida e proroga del trattenimento presso i CPR dei richiedenti asilo
diniego della protezione internazionale e umanitaria (in tale materia il Tribunale decide in composizione collegiale)
Con particolare riferimento all'impugnazione dei provvedimenti di diniego della protezione internazionale e umanitaria emessi dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo le differenze con il rito precedente sono significative.
Le controversie aventi ad oggetto i predetti provvedimenti saranno ora regolare dagli artt. 737 e ss. c.p.c. e non più dal rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.
Il Tribunale decide in composizione collegiale e non più monocratica, designando di volta in volta un componente per la trattazione della causa (d.l. n. 13 del 2017, cit., art. 3 co. 4 bis) che avviene in camera di consiglio, senza la necessaria comparizione delle parti e sulla base della visione della videoregistrazione della audizione personale del richiedente avanti alla Commissione territoriale.
L'udienza di comparizione è fissata solo nel caso in cui (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 35 bis, co. 10 e 11):
il giudice ritenga assolutamente necessario richiedere chiarimenti alle parti;
visionata la videoregistrazione, il giudice ritenga necessario disporre l'audizione del richiedente asilo;
sia opportuno disporre l'assunzione di specifici mezzi di prova;
non sia disponibile la videoregistrazione;
il richiedente ne faccia specifica richiesta nel ricorso introduttivo e il giudice ritenga essenziale trattare la causa in udienza;
l'impugnazione si fondi su elementi di fatto che non sono emersi nel corso della audizione amministrativa.
La fissazione dell'udienza rimane, quindi, evenienza assolutamente marginale e, tendenzialmente, il procedimento si svolge completamente in via cartolare.
Il decreto conclusivo non è reclamabile, ma è ammessa la sola impugnazione avanti alla Corte di Cassazione, nel termine di 30 giorni dalla comunicazione della cancelleria. Da tale momento viene meno altresì la sospensione degli effetti del provvedimento della Commissione territoriale: specifica richiesta di sospensione per il procedimento di Cassazione può essere richiesta al Giudice che ha emesso il decreto impugnato (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 35 bis, co. 13).
Al contrario, per tutti i procedimenti iniziati prima dell'entrata in vigore del d.l. 13 del 2017, cit., così come modificato in sede di conversione, è prevista la possibilità di impugnare l'ordinanza di rigetto in primo grado avanti alla Corte d'Appello e, eventualmente, avanti alla Corte di Cassazione, mantenendo la possibilità di permanere legalmente sul territorio nazionale per tutta la durata del procedimento giudiziario.Approfondimento 3 - Eurodac
Eurodac (European dactylographic system) è il primo database biometrico introdotto in Europa nel 2000 con lo scopo di determinare lo Stato competente all’esame della domanda di asilo. Si tratta di uno strumento tecnico che per anni è stato quasi ignorato in letteratura, dall’opinione pubblica e dai mezzi di informazione e solo di recente gode di attenzione. Oltre ad Eurodac, il più risalente Sistema informativo Schengen (SIS) evolutosi anch’esso in un sistema biometrico con il SIS II, il più recente Sistema informativo Visti (VIS) e il sistema di registrazione degli ingressi e delle uscite dei cittadini di paesi terzi (Exit-Entry System) vengono tutti a comporre un quadro dove l’acquisizione e la conservazione di dati biometrici dei cittadini di Pesi terzi ha assunto un ruolo centrale come sistema di identificazione e di controllo della mobilità. Tutti i database sono gestiti dall’Agenzia Europea Eu-Lisa (European Agency for the operational management of large-scale IT systems in the area of freedom, security and justice) e sono oggetto di supervisione da parte del garante europeo per la protezione dei dati personale (EDPS – European Data Protection Supervisor). Tale unificazione gestionale e di supervisione conferma come, pur nella loro individualità, i database di gestione della mobilità dei cittadini di paesi terzi, siano espressione di un approccio unitario al governo del fenomeno migratorio.
Eurodac nello specifico, da strumento ancillare e tecnico del Sistema comune di Asilo si è progressivamente qualificato non solo come un elemento centrale dello stesso ma anche più in generale della gestione dei confini e della cosiddetta crisi migratoria: hotspot e procedure di ricollazione (su cui vedi i paragrafi che seguono) fanno infatti del rilevamento delle impronte digitali l’elemento cardine del loro stesso funzionamento.
L’architettura del sistema, i dati raccolti e il periodo di conservazione
In cosa consiste Eurodac e come funziona?
Il sistema si compone di una banca dati centrale informatizzata (denominata “Sistema Centrale”) e di una infrastruttura di comunicazione tra il sistema centrale e gli Stati membri, dotata di una rete virtuale cifrata dedicata ai dati Eurodac. Ogni Stato Membro, attraverso un singolo punto di accesso (il cd. focal point nazionale), invia i dati al sistema Centrale che in tempo reale effettua il controllo relativo alla presenza o meno delle impronte inserite nel sistema, indicando, se presenti, come sono state classificate e quando e dove le impronte della persona sono state già rilevate.
In Italia l’autorità responsabile per Eurodac è la Direzione Centrale Anticrime – Servizio di Polizia scientifica a Roma che costituisce il focal point nazionale. A livello decentrato i 14 Gabinetti regionali di Polizia scientifica sono i focal point che inseriscono le informazioni relative alle impronte e le trasmettono, attraverso l’interfaccia nazionale AFIS (Automated Fingerprint Identification System, in italiano Sistema Automatizzato di Identificazione delle Impronte), al focal point nazionale. È soltanto il focal point nazionale a trasmettere i dati al sistema Centrale di Eurodac.
In concreto quando l’operatore di pubblica sicurezza rileva le impronte digitali, queste vengono trasmette direttamente al Servizio Polizia scientifica di Roma che le invia al sistema centrale. Quest’ultimo restituisce l’informazione se le impronte sono già presenti nel sistema o meno, informazione che viene dal sistema nazionale ritrasmessa ai focal point locali. Quando le impronte son già presenti nel sistema, gli Stati Membri possono scambiarsi le informazioni relative alla persona attraverso la rete di scambio informativo, denominata Dublinet creata appositamente a tale scopo. Infatti, Eurodac, non contiene i dati anagrafici della persona ma esclusivamente le informazioni atte ad identificare la presenza o meno delle impronte nel sistema e solo successivamente a risalire, attraverso Dublinet, all’identità della persona e prendere così i provvedimenti previsti dal regolamento Dublino. Ciò conferma ulteriormente che Eurodac è stato pensato in origine solo come strumento amministrativo di gestione della competenza a gestire le domande di asilo, tanto che soltanto attraverso la rete Dublinet è possibile individuare i dati anagrafici della persona inserita nel sistema. Vi è una proposta di modifica del regolamento che modifica queste caratteristiche (vedi brevemente poco più avanti).
Le persone inserite nel sistema e i dati raccolti
I dati di quali soggetti sono inseriti in Eurodac? In base al Regolamento UE n.603/2013 sono tre le categorie di persone i cui dati possono essere inseriti nel sistema:
• i richiedenti protezione internazionali maggiori di anni 14 (articolo 9), identificati nel sistema come “Categoria 1”;
• le persone provenienti da paesi terzi o gli apolidi di età non inferiore a 14 anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un paese terzo e che non siano stati respinti (articolo 14), identificate nel sistema come “Categoria 2”:
•le persone provenienti da Paesi terzi o gli apolidi di età non inferiore a 14 anni soggiornanti irregolarmente nel suo territorio, con l’obiettivo di stabilire se la persona ha già presentato una richiesta di asilo in altro Stato Membro (articolo 17). In questo ultimo caso, denominato “Categoria 3”, tale verifica di norma avviene quando la persona: a) dichiara di avere presentato una domanda di protezione internazionale, ma non indica lo Stato membro in cui l'ha presentata; b) non chiede protezione internazionale ma rifiuta di essere rimpatriato nel suo paese di origine affermando che vi si troverebbe in pericolo; c) cerca di evitare l’allontanamento con altri mezzi rifiutandosi di cooperare alla propria identificazione, in particolare non esibendo alcun documento di identità oppure esibendo documenti falsi.
Sia per i richiedenti protezione internazionale che per le persone fermate all’atto dell’attraversamento irregolare della frontiera vengono raccolte, oltre alle impronte delle dieci dita, complete della data del rilevamento, lo Stato di origine, la data e il luogo della domanda di protezione internazionale o del fermo, l’identificativo dell’operatore che ha operato il rilevamento e la data della trasmissione dei dati al Sistema Centrale. Per i richiedenti protezione internazionale vengono inoltre registrati anche i dati relativi a trasferimenti, allontanamento o altri movimenti che la persona ha effettuato nei casi descritti dall’articolo 10.
Vi è una proposta di modifica del regolamento avanzata dalla Commissione che aggiungerebbe ai dati oggi raccolti l’immagine del volto, nonché i dati anagrafici e la nazionalità, facendo così perdere a Eurodac le caratteristiche di un database che non contiene l’anagrafica del soggetto inserito. Inoltre si estende l’obbligo di inserimento ai minori di anni superiore ai 6.
Nel caso denominato categoria 3, invece, i dati relativi alle impronte digitali vengono trasmessi al Sistema Centrale al fine di verificare se la persona abbia precedentemente formulato una richiesta di protezione internazionale, ma non vi è alcuna registrazione e conservazione delle informazioni.
I dati inseriti permangono nel sistema per un cd. tempo di conservazione che cambia in base alla categoria di inserimento. I dati dei richiedenti asilo sono mantenuti nel sistema per 10 anni (articolo 12) e vengono cancellati prima del decorrere di tale periodo soltanto in caso di acquisizione della cittadinanza di uno Stato membro (articolo 13). Contrariamente a quanto la ratio originaria sottostante alla creazione Eurodac farebbe pensare, qualora il richiedente asilo venga riconosciuto titolare di protezione internazionale i suoi dati non vengono cancellati ma solo contrassegnati. Tale procedura determina che i dati rimangano nelle disponibilità delle autorità di polizia per tre anni per gli scopi di cui all’articolo 1, paragrafo 2. Decorsi i tre anni, i dati sono congelati e non sono più accessibili. Saranno cancellati una volta decorsi i 10 anni.
Diversamente per i soggetti inseriti a sistema come “Categoria 2”, in quanto stranieri intercettati al momento dell’attraversamento irregolare della frontiera, la conservazione dei dati dura 18 mesi (articolo 16). I dati possono essere cancellati prima del decorso di tale termine, oltre che nel caso, improbabile, di acquisizione della cittadinanza, anche in caso di rilascio di permesso di soggiorno (si pensi ad esempio al caso, anch’esso improbabile, di rilascio di un permesso di soggiorno a seguito di un provvedimento di regolarizzazione) e soprattutto se si ha notizia della partenza dal Paese. Ci si riferisce in questi ultimi casi alla situazione in cui lo straniero si allontana dal Paese volontariamente o viene da questo espulso.
Lo Stato è tenuto a rilevare le impronte digitali non appena possibile e in ogni caso, salvo casi eccezionali, entro 72 ore dalla presentazione della domanda di protezione internazionale ai sensi dell’art. 20 par. 2 del regolamento n. 604/2013/UE (articolo 13).
Analogo termine è definito per le persone fermate nell’attraversamento irregolare della frontiera. In questo caso il termine di 72 ore decorre dalla data del fermo, qualora le persone si trovino in stato di custodia, reclusione o trattenimento per oltre 72 ore il rilevamento delle impronte deve avvenire prima della loro liberazione (articolo 14).
La ratio di tale termine contenuto discende dalla necessità di evitare il protrarsi di una situazione di mancata identificazione.
I diritti dell’interessato
I diritti della persona i cui dati sono inseriti in Eurodac sono definiti dall’art. 29 del Regolamento UE n. 603/2013 , risultato delle criticità sollevate dalle ispezioni dell’Eurodac Supervision Coordination Group (SCG).
Nella sua prima ispezione, condotta nel 2007, l’Eurodac SCG aveva individuato significative anomalie negli accessi ad Eurodac da parte degli interessati. Risultavano infatti numerosi accessi (nell’ordine di diverse centinaia) contrassegnati dalla cat.9 - che indicava gli accessi in base all’art. 18 Regolamento UE n. 2725/2000 e indica oggi gli accessi in base all’art. 29 del vigente regolamento - a fronte di un numero di richieste di accesso documentate molto basso. L’ispezione aveva permesso di verificare come l’accesso in base alla cat. 9 fosse stato usato dalle autorità per rimediare a errati inserimenti o per errori nella procedura di accesso e aveva al contempo evidenziato un numero di richieste di accesso da parte degli aventi diritto prossimo allo zero. L’autorità di supervisione decide quindi di assumere maggiori informazioni su come gli Stati Membri forniscono informazioni agli interessati.
Nel rapporto del 2009 l’Eurodac SCG evidenzia un quadro molto variegato tra gli Stati membri e diversi aspetti critici. Innanzitutto le informazioni sono fornite in momenti diversi, in alcuni Stati all’inizio della procedura, in altri quando le impronte vengono acquisite. Inoltre le informazioni vengono in alcuni casi date in più momenti senza chiarezza rispetto al contenuto delle stesse, in particolare se si tratti di informazioni ripetute o di informazioni diverse fornite “a spizzichi e bocconi”. Le informazioni sono fornite oralmente o per scritto o persino in entrambi i modi a seconda degli Stati Membri. Ma gli aspetti più preoccupanti riguardano la scarsa qualità delle informazioni fornite. Si registra una mancanza pressoché totale di verifica sulla effettiva comprensione delle informazioni fornite e il contenuto delle stesse risulta poco chiaro. Nello specifico le informazioni inerenti ai diritti relativi al sistema Eurodac sono inserite, quando fornite, nelle informazioni relative al procedimento di asilo. Ciò determina una mancanza di completezza delle informazioni e gli aspetti relativi alla protezione dei dati personali, su cui l’informativa dovrebbe svolgersi, sono spesso non considerati. Infine, proprio la commistione tra le informazioni fornite sulla procedura di asilo e Eurodac, evidenzia una particolare carenza informativa nei confronti delle persone intercettate nell’attraversamento irregolare della frontiera, la cd. Categoria 2.
L’art. 29 Regolamento UE n. 603/2013 stabilisce che la persona debba essere informata «per iscritto, e dove necessario oralmente in una lingua che la persona comprende o che ragionevolmente si suppone a lei comprensibile» di quanto segue:
a) dell’identità del responsabile del trattamento
b) dello scopo per cui i suoi dati saranno conservati in Eurodac, compresa una descrizione delle finalità del Regolamento UE n. 604/2013 (cd. Dublino III) conformemente al diritto all’informazione disciplinato nell’art. 4 Regolamento UE n. 604/2013, nonché una spiegazione, in forma accessibile e con un linguaggio semplice e chiaro della possibilità di accesso delle autorità di polizia degli Stati membri e di Europol;
a) dei destinatari dei dati;
b) dell’esistenza di un obbligo di rilevamento delle impronte digitali per le persone che ricadono nelle categorie 1 e 2;
c) del diritto di accesso ai dati che la riguardano e del diritto di chiedere che i dati inesatti che la riguardano siano rettificati o che i dati che la riguardano trattati illecitamente siano cancellati, nonché del diritto di ottenere informazioni sulle procedure da seguire per esercitare tali diritti, compresi gli estremi del responsabile del trattamento e delle autorità nazionali di controllo di cui all'articolo 30, paragrafo 1.
Le informazioni per le persone che ricadono nelle categorie 1 e 2 vanno fornite all’atto del rilevamento delle impronte digitali e in caso di minore le informazioni vanno comunicate in modo consono alla sua età.
Deve inoltre essere redatto un opuscolo comune contenente almeno le informazioni relative ai diritti dell’interessato nonché quelle relative al diritto all’informazione del richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’art. 4 par. 1 regolamento 604/2013. L’opuscolo deve essere redatto in modo semplice e chiaro in una lingua che la persona comprende o che ragionevolmente si suppone a lei comprensibile. Deve inoltre essere realizzato in modo da consentire agli Stati membri di completare le informazioni con quelle specifiche proprie del singolo Stato (ad esempio le indicazioni relative al Garante nazionale per la protezione dei dati personali).
Infine l’art. 29, par. 11 del Regolamento UE n. 603/2013 stabilisce che debba essere conservata copia della richiesta effettuata dal titolare dei dati e delle modalità della sua presentazione sotto forma di documento scritto, che possa essere messo a disposizione delle autorità nazionali di controllo.
Le modifiche inserite nel 2013 vanno certamente nella direzione di meglio garantire i diritti della persona sottoposta a rilievi dattiloscopi e inserita in Eurodac. Lo stesso Garante nella sua opinione del 2012 relativa alla emendata proposta di regolamento sottolinea come le modifiche effettuate vadano nella medesima direzione della generale riforma della disciplina in materia di dati personale e l’introduzione dell’opuscolo risponda pienamente ai rilievi critici effettuati nel 2009 dallo Eurodac SCG.
Si tratta quindi di una norma che certamente contiene tutte le necessarie previsioni per garantire i soggetti titolari dei dati inseriti nel sistema informativo.
A fronte di tale centralità del diritto all’informazione i dati forniti dal report annuale sul funzionamento di Eurodac redatto da EU-Lisa restituiscono un quadro molto lontano da quello a cui le norme farebbero pensare.
Come si può vedere dalla tabella il numero di richieste di accesso da parte del titolare dei dati è più che insignificante in rapporto al numero di impronte presenti nel sistema. Inoltre la maggioranza delle richieste proviene sempre da uno Stato membro, la Francia , le cui richieste sono dovute alla presenza di una organizzazione non governativa nella regione di Calais che assisteva le persone nella formulazione delle richieste di accesso.