Unità didattica XVIII - I reati propri dello straniero. Il favoreggiamento dell'immigrazione illegale.

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Corso: Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23
Libro: Unità didattica XVIII - I reati propri dello straniero. Il favoreggiamento dell'immigrazione illegale.
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Data: domenica, 5 gennaio 2025, 23:54

Descrizione

L'obiettivo di questa unita' didattica è illustrare i reati contenuti nella normativa in materia di immigrazione e strettamente legati alla condizione giuridica degli stranieri.

XVIII.1 Introduzione. Il reato di ingresso e soggiorno illegale

Introduzione

Diritto penale del nemico, diritto penale speciale, diritto penale d’autore sono alcune delle formule usate dalla dottrina penalistica per identificare i tratti tipici del diritto penale delle migrazioni. Queste formule tendono tutte – seppur con accenti diversi- a sottolineare come si sia di fronte a norme penali che si caratterizzano per:

1) essere poste a servizio del diritto amministrativo al fine di rafforzare il contrasto ai flussi migratori irregolari;

2) prevedere sanzioni elevate, spesso più alte di analoghe fattispecie codicistiche;

3) sanzionare un comportamento in quanto ascrivibile a una categoria (gli stranieri o gli stranieri irregolari) ritenuta pericolosa.

Il reato di ingresso e soggiorno illegale

Con la legge n. 94 del 15 luglio 2009 è stato introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 10 bis che prevede i reati di “ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato”.

L’art. 10 bis punisce con l’ammenda da 5.000 a 10.000 euro - salvo che il fatto costituisca più grave reato -  lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del d.lgs. 286 del 1998, citi. (Testo unico in materia di immigrazione) e della l.  n. 68 del 28 maggio 2007, art. 1 che disciplina i soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio.

Si tratta di una contravvenzione, punita con l’ammenda. Il fatto che sia prevista la sola ammenda palesa come si tratti di una norma dagli elevati contenuti simbolici ma dalla scarsa efficacia. Se uno straniero viene condannato per tale reato non potrà mai essere detenuto per questa ragione ma sarà tenuto a pagare la somma stabilita. Stante la frequente condizione di indigenza di molti degli stranieri irregolari o clandestini, la somma raramente potrà essere ricevuta dallo Stato.

A differenza delle altre contravvenzioni, non è applicabile l’oblazione prevista nell’art. 162 c.p. per l’espresso divieto contenuto nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 10 bis, co. 1: questa particolarità rispetto alle altre contravvenzioni rappresenta un’altra spia della natura criminalizzante della norma.

È un reato avente carattere residuale che si applica se non sussistono altri reati più gravi. Ciò significa che se la condizione di clandestinità o di irregolarità è elemento costitutivo di altro reato più grave, come la violazione del divieto di reingresso dello straniero espulso (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13) o l’inottemperanza all'ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14) tale norma non verrà applicata.

È un reato proprio che può essere commesso solo dallo straniero. 

Due sono le condotte incriminate, tra di loro alternative:

1)  è punito lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle norme di legge (il c.d. ingresso clandestino);

2)  è punito lo straniero che permane sul territorio dello Stato in modo illegale dover avervi fatto ingresso in modo regolare dello Stato (il c.d. soggiorno irregolare).

Questo reato non si applica:

1) allo straniero destinatario del provvedimento di respingimento immediato, in quanto non sussiste nessuna esigenza di instaurare un procedimento penale nei confronti di qualcuno che, non avendo i requisiti per l’ingresso legale in Italia, è stato già allontanato;

2) allo straniero identificato durante i controlli della polizia di frontiera, in uscita dal territorio nazionale. Questa ipotesi è stata inserita con  d.l. n. 89 del 2011, cit., come convertito nella l. n. 129 del 2011, cit. in attuazione della Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri per evitare che il reato si applichi anche nei confronti di chi abbia deciso di allontanarsi spontaneamente dal territorio dello Stato.

Queste esclusioni rafforzano la considerazione che tale reato abbia la sola funzione simbolica di “rafforzare” i provvedimenti di allontanamento.

Anche la procedura prevista presenta delle eccezioni improntate alla massima celerità e al favore espulsivo, sottolineando che l’unico interesse dello Stato per questo reato è in funzione servente all'espulsione. Diversamente da quanto accade di norma, per eseguire l’espulsione dello straniero denunciato per questo reato non è richiesto il rilascio del nulla osta giudiziario previsto nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13, co. 3. Il Questore deve soltanto dare comunicazione al giudice dell’avvenuta esecuzione dell’allontanamento, cui consegue l’emissione di una sentenza di non luogo a procedere per il reato di clandestinità. Qualora lo straniero rientri illegalmente nel territorio dello Stato riprenderà l’esercizio dell’azione penale per il reato di ingresso e soggiorno illegale.

Il terzo indicatore di questa funzione servente nei confronti dell’espulsione si riscontra nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 16 che prevede in caso di condanna per il reato di ingresso e soggiorno illegale la possibilità per il giudice di sostituire la pena dell’ammenda con un provvedimento di espulsione di almeno 5 anni. Ciò è possibile nel caso in cui non sussistano le cause ostative indicate nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 1. Numerosi dubbi sussistono in dottrina e in giurisprudenza sull’applicabilità di questa disposizione. Ciò che interessa qui sottolineare è che si è in presenza dell’unico caso in cui è prevista una sanzione sostitutiva (l’espulsione, che incide sulla libertà di circolazione) più grave di quella sostituita (l’ammenda).

Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 10 bis, co. 6 prevede la sospensione del procedimento penale nel caso di presentazione di una domanda di protezione internazionale. Se la richiesta di protezione internazionale viene accolta, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere. La medesima sorte tocca al procedimento nel caso di riconoscimento della protezione speciale o di rilascio di un permesso per casi speciali di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., artt. 18, 18 bis, 22, co. 12 quater o per calamità.

La funzione servente rispetto all'espulsione (che renderebbe il reato contrario ai principi di inoffensività e di sussidiarietà dell’intervento penale), l'ineffettività della sanzione sono le due principali critiche che sono state mosse a questa disposizione, unite alla considerazione che tale norma non incrimina un comportamento ma uno stato – la clandestinità – e di conseguenza sarebbe contrario al principio di uguaglianza.

La Corte costituzionale è stata investita della questione ma non ha ritenuto di accogliere i dubbi di costituzionalità sollevati dai giudici remittenti (Corte Costituzionale 8 luglio 2010, n. 250).

Innanzitutto la Corte ha sottolineato che la contravvenzione non penalizza una mera condizione personale e sociale – la clandestinità - ma il comportamento di “fare ingresso” e “trattenersi” nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del Testo Unico sull'immigrazione o della disciplina in tema di soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio, di cui alla l. n. 68 del 2007, cit., art. 1.

Inoltre la Corte ha ritenuto che non si sia in presenza di un illecito “di mera disobbedienza” non offensivo di alcun bene giuridico meritevole di tutela in quanto la condizione di illegalità si pone in contraddizione con l’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, che può costituire un ragionevole ambito di tutela penale: l’ordinata gestione dei flussi migratori si presenta come un bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata.

Ritenuto sussistente l’interesse dello Stato al controllo dei flussi migratori, in alcun modo la Corte può sindacare le modalità con le quali questo controllo va esercitato, poiché tale decisione rientra nella discrezionalità del legislatore.

Nonostante questa pronuncia, permangono perplessità rispetto alla compatibilità di questa previsione con l’ordinamento. Sul punto è intervenuta in due occasioni la Corte di Giustizia con la sentenza Sagor del 6 dicembre 2012 e con l’ordinanza Mbaye 21 marzo 2013 che ha indicato le condizioni entro cui un reato di ingresso e soggiorno illegale è compatibile con le previsioni della Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri.

Da ultimo è intervenuto il legislatore che ha emanato una legge delega (legge 28 aprile 2014, n. 67) con cui ha conferito al governo la delega – da esercitarsi entro 18 mesi – a “abrogare, trasformandolo in illecito amministrativo, il reato previsto dall'articolo 10-bis del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, conservando rilievo penale alle condotte di violazione dei provvedimenti amministrativi adottati in materia” (l. 67 del 2014, cit. art. 2, co. 3 lett. b)).

Il governo non ha esercitato la delega entro il termine e quindi il reato è tuttora vigente.

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Una riflessione da leggere sul perché questo reato va abrogato

Le buone ragioni per l'abrogazione del reato


XVIII.2 L'omessa esibizione dei documenti. La violazione del divieto di reingresso

L'omessa esibizione dei documenti

Il reato di mancata esibizione del documento di identificazione e del titolo di soggiorno, disciplinato nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 6, co. 3 è stato modificato dalla l. n. 94 del 2009, cit. a seguito dell’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale.

Nella formulazione originaria veniva punito, con l’arresto fino a sei mesi e l’ammenda fino a lire ottocentomila, lo straniero che, a richiesta degli ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza, non esibisse, senza giustificato motivo, il passaporto o altro documento di identificazione, ovvero il permesso o la carta di soggiorno.

Si trattava di una contravvenzione su cui era sorto in seno alla Corte di Cassazione un contrasto interpretativo avente ad oggetto la possibilità di punire lo straniero entrato clandestinamente in Italia, che non fosse in possesso di documenti identificativi e che, proprio per questa ragione, non fosse in grado di esibirli.

Secondo l'impostazione prevalente il reato di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 6, co. 3 doveva ritenersi configurabile anche per i clandestini, poiché la norma, sanzionando non il “rifiuto”, ma la “mancata esibizione” dei documenti, presupporrebbe l’obbligo per lo straniero di munirsi degli stessi, salvo che si trovi nell’impossibilità di farlo per un “giustificato motivo”, non dipendente dalla sua volontà.

L’orientamento opposto, invece, individuava questo giustificato motivo proprio nell’ingresso clandestino dello straniero da cui non si poteva esigere l'esibizione del documento.

Visto tale contrasto, la questione fu rimessa all’esame delle Sezioni Unite.

Le Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 27.11.2003, n. 45801) intervennero distinguendo i documenti la cui esibizione si poteva considerare esigibile e quelli che non potevano essere considerati tali. La Corte aveva quindi affermato che l’esibizione del titolo di soggiorno era inesigibile per lo straniero irregolare (non si può pretendere l’esibizione di qualcosa che non è posseduto dallo straniero) mentre il passaporto poteva considerarsi rientrante nella disponibilità dello straniero a prescindere dalle modalità di ingresso nel territorio italiano e quindi era un documento che poteva essere richiesto anche allo straniero irregolare.

La legge n. 94 del 2009, cit. modifico' la formulazione dell’articolo prevedendo la pena congiunta dell’arresto fino a un anno e dell’ammenda fino a 2.000 euro nel caso in cui lo straniero, a richiesta di ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottemperi all'ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato.

Si è sempre di fronte a una contravvenzione, il cui soggetto attivo può essere soltanto lo straniero.

Tale reato si aggiunge a un panorama molto ricco di fattispecie di reato che prevedono il rifiuto di esibire documenti di identità o di fornire indicazioni sulle proprie generalità (ad esempio l’art. 651 codice penale, punito meno severamente). Si punisce l’inadempimento all’ordine di esibire sia il documento di identificazione che il titolo di soggiorno. A parere di molti, questa modifica (l’uso della congiunzione congiuntiva "e"  in luogo di quella disgiuntiva "o") era volta a cercare di neutralizzare l’orientamento in parte a favore dello straniero della sentenza delle Sezioni Unite del 2003. Se questo era l’intento non ha avuto successo, anzi ha sortito effetti opposti. Nel 2011 la Corte di Cassazione si è di nuovo pronunciata (Cass, SS.UU., 24 febbraio 2011, n. 16453)  ripercorrendo la genesi della norma, l’orientamento giurisprudenziale precedente e le novità introdotte dal legislatore. La Corte ha quindi affermato che:

- la modifica legislativa risponde all'obiettivo di arginare la contraffazione di documenti;

- affinché si integri la fattispecie di reato è necessaria la concorrenza dell’esibizione dei documenti di identificazione e del titolo di soggiorno, avendo il legislatore consapevolmente operato la sostituzione della congiunzione da disgiuntiva (ovvero) a congiuntiva (e);

- il reato non può essere applicato allo straniero irregolare, perché proprio perché irregolarmente presente nel territorio dello Stato non può essere titolare di permesso di soggiorno.

Ne consegue che il reato si applica soltanto allo straniero regolare e deve ritenersi intervenuta una abolitio criminis per lo straniero irregolare (cioè questo comportamento non è più reato per lo straniero irregolare). Il risultato quindi è che con la previgente norma lo straniero irregolare poteva essere punito per la mancata esibizione del passaporto. Con la norma attuale, invece, non può essere punito.


La violazione del divieto di reingresso

Come si è visto, lo straniero espulso è anche tenuto a non fare ingresso in Italia per un certo numero di anni (si tratta del cd. divieto di reingresso). In alcuni casi particolari – di cui qui non ci occupiamo - può fare richiesta al Ministro dell’Interno di revocare il divieto di reingresso.

Se lo straniero rientra in Italia prima del decorso del tempo previsto nel divieto commette un reato punito con la reclusione da 1 a 4 anni ed è nuovamente espulso con accompagnamento coattivo alla frontiera ( d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13, co. 13).

Non si applica tale reato nel caso in cui lo straniero sia stato espulso per irregolarità dell’ingresso d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13, co. 2 lett.a )) o per irregolarità del soggiorno (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13, co. 2 lett. b)) e ne sia stato autorizzato il ricongiungimento familiare.

Il reato è invece previsto anche nel caso in cui lo straniero sia stato espulso dal giudice, cioè l’espulsione sia stata disposta a titolo di misura di sicurezza, sanzione sostitutiva o alternativa alla pena (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 13, co. 13, bis).

In entrambi i casi, lo straniero responsabile del reato di violazione del divieto di reingresso deve essere sempre arrestato (arresto obbligatorio) e viene processato con rito direttissimo.

Se lo straniero rientra nuovamente (cioè dopo la condanna e la nuova espulsione) viene condannato alla reclusione da 1 a 5 anni per violazione del divieto di reingresso della seconda espulsione.

Per sintetizzare, si ha di fronte un sistema che alla violazione del divieto di reingresso dopo una espulsione risponde con un reato penale e qualora lo straniero dopo la condanna e il nuovo divieto di reingresso rientri commette un altro reato. Potenzialmente all’infinito.

Infine, va ricordato che l’espulso che rientra illegalmente in Italia risponde di questo reato e non della contravvenzione di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 10 bis, poiché il reato di reingresso dello straniero espulso è punito più gravemente della contravvenzione di ingresso e soggiorno illegale prevista nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 10 bis.



XVIII.3. L'inottemperanza all'ordine del questore

Come già detto, nei casi in cui non sia stato possibile disporre il trattenimento in un CPR o le misure alternative ad esso o siano decorsi i termini di trattenimento senza che abbia avuto luogo l’esecuzione dell’espulsione, il Questore ordina allo straniero di lasciare il territorio nazionale entro il termine di sette giorni (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 bis).

La violazione di questo ordine (la sua inottemperanza), non sostenuta da un giustificato motivo, costituisce reato (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter).

APPROFONDIMENTO I - Cosa costituisce giustificato motivo per non ottemperare all’ordine del questore?

La previsione di un reato rappresenta un’ulteriore spia dell’obiettivo  perseguito dal legislatore di ottenere l’allontanamento degli stranieri. In questo caso infatti non essendo lo Stato riuscito ad espellere lo straniero chiede la sua collaborazione e utilizza la minaccia della sanzione penale per aumentare le possibilità di cooperazione dello straniero.

Il reato come oggi previsto è il risultato di numerosi cambiamenti dovuti a pronunce giurisprudenziali e modifiche legislative.

Oggi, in base a quanto previsto nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter , lo straniero è punito con la multa da 10.000 a 20.000 euro, qualora l’ordine del questore discenda da una espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera o dal decreto di respingimento o dalla sottrazione a programmi di rimpatrio assistito. La multa prevista è, invece, da 6.000 a 15.000 euro, qualora l’ordine del questore sia conseguente alla concessione del termine per la partenza volontaria.  In questo secondo caso va precisato che  l’integrazione del reato richiede una successione di eventi. In primo luogo è necessario che sia comminata l’espulsione con concessione del termine per la partenza volontaria, a seguire occorre che lo straniero non adempia all’obbligo di partenza. A questo punto l’espulsione si trasforma in espulsione con accompagnamento coattivo e solo a seguito del mancato accompagnamento coattivo viene emesso l’ ordine del questore di allontanamento entro 7 giorni.

Sarà quindi l’inottemperanza a questo ordine a costituire reato e non la mera non partenza dopo la concessione del termine per la partenza volontaria.

Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter, seconda parteprevede che se lo straniero non è detenuto in carcere, il Prefetto può, valutato il caso concreto, disporre una nuova espulsione che ha il suo fondamento nella violazione dell’ordine del questore. Non occorre il nulla osta dell’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato. Questa nuova espulsione va eseguita con accompagnamento coattivo alla frontiera e qualora ciò non sia possibile si dispone il trattenimento in un CPR o si reitera l’ordine del questore di allontanamento.

Se lo straniero viola anche questo ordine del questore, commette violazione all’ordine (reiterato) del questore ed è punito con la multa a 15.000 a 30.000 euro (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 quater).

A questo punto la legge prevede che si applichino le disposizione di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter, cioè si ricomincia dall’inizio con l’accompagnamento alla frontiera e in caso di impossibilità con il trattenimento o un nuovo ordine del questore. Sul piano teorico praticamente all’infinito.

Appare evidente che il fine del legislatore non sia la punizione dello straniero per l'inottemperanza all'ordine del questore ma il suo allontanamento.

L’attuale previsione normativa è il risultato di una evoluzione normativa molto articolata e accidentata. La l. n. 189 del 2002, cit., cd Bossi - Fini  introdusse nell'ordinamento l'ordine di allontanamento del questore e i reati ad esso connessi.

L’ordine conseguiva o all’impossibilità di collocare lo straniero in un centro di permanenza temporanea ed assistenza (poi CIE, oggi CPR) o alla scadenza dei termini massimi di trattenimento in questa struttura senza che l’espulsione e il respingimento fossero eseguiti.

Il mancato rispetto dell’ordine di allontanamento nel termine prescritto (originariamente di cinque giorni), con la consequenziale permanenza sul suolo nazionale senza un giustificato motivo, comportava l’integrazione di una contravvenzione per cui però era previsto l’arresto obbligatorio.

La norma venne dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza dell'08.07.2004, n. 223  del proprio per la previsione di una misura cautelare personale applicata ad una contravvenzione.

Il legislatore per rispondere ai rilievi della Consulta mantenne il reato ma lo trasformò in delitto, che consente l’adozione di misure cautelari personali.

Il reato divenne cosi un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni o da sei mesi a un anno a seconda delle tipologie di espulsione. In ogni caso, salva l’ipotesi della detenzione in carcere, era emesso un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera.

Qualora non fosse stato possibile procedere all’accompagnamento coattivo, lo straniero sarebbe stato collocato in un CIE e se non espulso avrebbe ricevuto un nuovo ordine di allontanamento dal questore. Se lo straniero avesse persistito nella sua condotta e non avesse lasciato il territorio dello Stato, avrebbe commesso un altro delitto punito con la reclusione da uno a cinque anni e avrebbe ricevuto un altro provvedimento di espulsione e così via.

Questo meccanismo di progressione sanzionatoria ha portato a sollevare dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della compatibilità di queste previsioni con la direttiva rimpatri. L’Italia nel momento in cui la questione veniva sollevata alla corte di Giustizia non aveva ancora recepito la  Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri, nonostante che il termine fosse scaduto a dicembre 2010.

La Corte di Giustizia ha risposto con la sentenza El Dridi del 28 aprile 2011.

La Corte di Giustizia ha rilevato che la direttiva rimpatri subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto concerne i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. Ne deriva che gli Stati membri, per rimediare all’insuccesso delle misure coercitive finalizzate all’allontanamento non possono introdurre una pena detentiva, ma, piuttosto, devono continuare ad adoperarsi per attuare il rimpatrio dello straniero.

Ne consegue che il giudice del rinvio deve disapplicare la normativa nazionale (nella specie, il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter) e applicare la normativa europea.

A seguito di questa pronuncia alcune sentenze di condanna emesse per il reato di inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio sono state revocate o in caso di procedimento penale ancora in corso lo straniero è stato prosciolto.

Per correre ai ripari e cercare di salvare il meccanismo dell’inottemperanza all’ordine del questore, il legislatore ha introdotto le modifiche che abbiamo visto prima che prevedendo soltanto sanzioni pecuniarie rispettano formalmente la pronuncia della Corte di Giustizia che si limitava a indicare l’impossibilità di introdurre pene detentive.

XVIII.4. I delitti di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina

Si utilizza l’espressione delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per comprendere in una formula ampia tutte le condotte connesse all’ingresso clandestino e la permanenza irregolare nel territorio di uno Stato della persona che non ne è cittadina o non ne ha titolo per risiedervi permanentemente. 

Come in altri casi, anche per questo tipo di comportamenti si è assistito ad una evoluzione legislativa che ha nel tempo mutato la norma di riferimento, il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12

Tale norma oggi prevede:

- nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 1 e 3 il favoreggiamento dell’ingresso clandestino (in altri termini l’agevolazione del valico delle frontiere in modo illegale). Questo fenomeno è noto come traffico di migranti, previsto a livello internazionale dal Protocollo addizionale alla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale dedicato al traffico illecito di migranti.

- nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 5 il favoreggiamento della permanenza irregolare, a prescindere dalle modalità (legali o meno) con cui lo straniero è giunto nello Stato e d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 5 bis la dazione di un immobile a uno straniero clandestino o irregolare come forma peculiare di agevolazione della permanenza illegale.

Occorre precisare che nei primi due commi della norma citata sono compresi altresì i delitti di favoreggiamento dell’ingresso illegale in uno Stato diverso dall’Italia (il c.d. favoreggiamento dell’emigrazione illegale).

Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co.1  sanziona il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina prevedendo che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato , ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona”.

Si tratta di una disposizione di carattere residuale, per la presenza della clausola di salvaguardia. Il delitto è comune, potendo essere commesso da chiunque, tanto cittadino quanto straniero: in quest’ultimo caso, sia regolare che clandestino.

Questo reato è punito indipendentemente dal fatto che l’ingresso dello straniero sia effettivamente avvenuto, poiché nella fattispecie rientra qualsiasi “atto diretto a”. In base a questo principio, sono punibili anche le condotte immediatamente successive all’ingresso clandestino e dirette a garantire l’esito favorevole dell’operazione. Si pensi alle attività di sottrazione ai controlli della Polizia, all’avvio dei clandestini verso località lontane dallo sbarco ed, in generale, a tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione con le operazioni più direttamente e strettamente collegabili all’ingresso dei clandestini. Quando le frontiere sono state varcate, eventuali comportamenti successivi potranno eventualmente integrare gli estremi del delitto di favoreggiamento della permanenza irregolare previsto nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 5.

Nella formulazione originaria del delitto era sanzionata la sola generica condotta di favoreggiamento dell’ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato (‘attività dirette a favorire l’ingresso’ nella formulazione del 1998, poi divenuti ‘atti diretti a procurare’ in quella del 2002). Nel 2009 il legislatore, ha indicato con maggiore precisione le forme di agevolazione sanzionabili, attraverso l’elencazione di quelle condotte tipiche che, nella tradizione normativa, costituiscono i ruoli qualificati all’interno delle organizzazioni criminali: promozione, direzione, organizzazione, finanziamento, effettuazione del trasporto. Il chiarimento risulta più simbolico che reale, poiché i comportamenti declinati all’interno della disposizione non sono quelli che hanno dato origine, nella pratica, a perplessità applicative, in quanto forme di favoreggiamento chiare. Rispetto a tutte le altre situazioni permane l’ambigua formula degli “atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio dello Stato”, che potenzialmente permette di estendere la punibilità a numerose condotte atipiche.

Qualora si integrino più comportamenti (ad esempio una persona organizzi e finanzi il viaggio) il reato commesso è uno solo.

La pena della reclusione da 1 a 5 anni è applicata congiuntamente a quella pecuniaria, definita in modo fisso e parametrata sul numero di stranieri il cui ingresso è stato favorito. L’entità della multa costituisce espressione della necessità di colpire nella loro capacità patrimoniale i gruppi criminali che gestiscono il traffico e, quindi, ha l’obiettivo di colpire la struttura dell’eventuale organizzazione delittuosa. Va però rilevato che in concreto devono sussistere dei patrimoni aggredibili altrimenti la sanzione pecuniaria non avrà alcun effetto concreto.

Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 3 sanziona alcune ipotesi aggravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, prevedendo che: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato (…), è punito con la reclusione da cinque a quindici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l’ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti”.

La prima parte della norma è identica a quella descritta nel primo comma. È prevista una pena detentiva notevolmente più alta (da 5 a 15 anni di reclusione) congiunta alla medesima pena pecuniaria di 15.000 euro per ogni persona di cui è stato favorito l’ingresso perché in questo caso qualificano il reato alcuni comportamenti specifici che sono indice di maggiore gravità del fatto.

In particolare si applica questa ipotesi aggravata se:

1) viene favorito l’ingresso di più di 5 persone, in quanto l’alto numero di persone rappresenta un più grave nocumento all’ordine pubblico e al controllo delle frontiere;

2) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale (lett. b) o se la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l’ingresso o la permanenza illegale” (lett. c). In questo caso il legislatore attribuisce maggiore disvalore a delle condotte che mettono a rischio l’incolumità e la dignità delle persone trasportate. Si puniscono quindi più gravemente gli organizzatori di viaggi realizzati in modo precario, con mezzi inadeguati, con un numero eccessivo di migranti, in condizioni atmosferiche avverse. La differenza fra le due ipotesi delle lett. b) e c) dovrebbe consistere nel fatto che, nel primo caso, si guarderebbe alle modalità oggettive di realizzazione del traffico (mezzo, luogo, tempo), che possono produrre rischi per la vita e l’incolumità del migrante, nel secondo, si darebbe rilevanza alle condizioni in cui versa il trasportato (assenza di servizi igienici, inadeguatezza della fornitura di cibo e acqua, sovraffollamento del mezzo rispetto alla sua capienza);

3) il fatto è commesso in concorso da tre o più persone o utilizzando servizi internazionali di trasporto ovvero documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. In questo caso il legislatore attribuisce maggiore pericolosità a situazioni in cui vi sia il concorso di più persone e si possano usare mezzi particolarmente insidiosi. La capacità di utilizzare mezzi internazionali di trasporto nascondendo l’illecito che si sta compiendo, cosi come la capacità di procurarsi documenti che permettono di celare l’identità sono indici di una struttura criminale dotata di un certo spessore organizzativo;

4) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti, in considerazione della maggiore pericolosità di tali soggetti.

Per perseguire un approccio massimamente repressivo, nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 3 bis è stabilito che, in presenza di due o più degli elementi indicate nel comma precedente, la pena prevista è aumentata, secondo il calcolo ordinario definito per le circostanze a effetto comune.

Sul punto è stata sollevata questione di legittimità costituzionale ben esposta in questo articolo. In merito si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 63 del 10 marzo 2022 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale del d.lgs. 286 del 1998, cit. , art. 12, co. 3 lett. d) ove prevedeva quali circostanze aggravanti speciali del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, l’utilizzo di servizi internazionali di trasporto ovvero di documenti contraffatti o alterati o comunque illegalmente ottenuti. La Consulta ha ritenuto che il rilevante aumento di pena ivi previsto – pari al quintuplo della pena detentiva minima e al triplo di quella massima previste per la fattispecie base -  fosse contrario al principio di proporzionalità della pena, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 3 e 27, comma 3 Cost. Per un approfondimento in merito alla sentenza si veda questo articolo.

Nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 3 ter sono contemplate due circostanze aggravanti che determinano un aumento di pena da un terzo alla metà per la reclusione e la sanzione pecuniari pari a 25.000 euro per ogni persona di cui è stata favorita l’immigrazione clandestina  (invece che 15.000 euro).

Tali circostanze aggravanti si ravvisano se i fatti previsti dal d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 1 e 2 sono commessi:

a) al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l’ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento;

b) al fine di trarne profitto, anche indiretto.

La lett. a) si pone come argine al fenomeno della tratta di esseri umani, soprattutto di donne e di bambini, da destinare al mercato dello sfruttamento sessuale o lavorativo. La lett. b) è volta a contrastare chi dall’ingresso irregolare di migranti possa trarre un arricchimento, sia direttamente connesso all’ingresso irregolare che indirettamente.

Sempre in un’ottica repressiva è altresì contemplata una deroga al criterio del bilanciamento delle circostanze. Si stabilisce che le attenuanti, diverse da quelle previste negli artt. 98 (sulla minore età) e 114 (sul contributo di minima importanza nel concorso di persone nel reato) del codice penale, concorrenti con le aggravanti del d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 3 ter, non possono mai essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste. Le eventuali diminuzioni di pena operano sull’ammontare della sanzione risultante dall’aumento conseguente all’applicazione delle predette aggravanti.

Al fine di contrastare più efficacemente le organizzazioni che operano nel favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è prevista nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 3 quinques  una circostanza attenuante speciale per l’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori.

Questo risultato deve essere conseguito attraverso un concreto aiuto fornito all’autorità nella raccolta di elementi di prova decisivi per uno di questi elementi:

a) la ricostruzione dei fatti;

b) l’individuazione o la cattura di uno o più autori dei reati;

c) la sottrazione di risorse rilevanti alla consumazione dei delitti.

Nella disposizione è richiesto, per l’operatività dell’attenuante, che l’attività delittuosa sia in corso e non ancora conclusa.

Come indicato all’inizio il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 1 e 3 sanziona anche il favoreggiamento dell’emigrazione illegale, cioè dell’ingresso illegale in uno Stato diverso dall’Italia. La previsione è stata introdotta dalla l. n. 189 del 2002, cit., cd Bossi - Fini mediante l’aggiunta della incriminazione degli “atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente”.

La fattispecie risulta piuttosto indeterminata (tanto da essere ritenuta carente sotto il profilo della tassatività) perché nulla si dice per qualificare il concetto di “illegalità” dell’ingresso in un paese diverso dall’Italia (per il delitto di agevolazione dell’ingresso clandestino in Italia è necessario che si violino le disposizioni del testo unico). Ci si è chiesti ad esempio se il profilo dell’illegalità dell’ingresso vada valutato in rapporto con la normativa italiana o con quella del Paese in cui lo straniero voleva fare ingresso; se è ravvisabile il delitto in esame qualora lo straniero si limitasse a transitare dall’Italia in uno degli Stati dell’area comunitaria per rientrare nel Paese di provenienza.

Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 2 prevede espressamente che non siano punibili le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di clandestini in condizioni di bisogno. Questa causa di giustificazione non ha subito alcuna modifica nel corso degli anni e ha la funzione di conciliare esigenze di ordine pubblico e di tipo umanitario, dando prevalenza a queste ultime. In questo modo si cerca di evitare che il timore della sanzione penale possa ostacolare comportamenti volti a soccorre chi si trovi in condizioni di bisogno (si pensi ad esempio al soccorso prestato a chi tenta di fare ingresso irregolare e si trovi in situazioni critiche).

Come indicato all’inizio il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 5 sanziona il favoreggiamento della permanenza irregolare, prevedendo che “Fuori dei casi previsti dai commi precedenti, e salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell’ambito delle attività punite a norma del presente articolo, favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino a lire trenta milioni”.

La disposizione, introdotta nel 1998, non è stata modificata nel corso del tempo e completa il quadro repressivo, consentendo la punizione di coloro che, pur non intervenendo nell’agevolazione dell’ingresso illecito, favoriscono la permanenza dei clandestini nel territorio dello Stato o permettono a chi vi è entrato regolarmente, ma ha perduto i titoli di soggiorno, di restare in Italia in violazione delle norme del testo unico. Ha carattere residuale, nel senso che il fatto non deve essere riconducibile alle ipotesi di agevolazione dell’ingresso clandestino o a un reato più grave.

È un reato che può essere commesso da chiunque e ricorre in due ipotesi:

1) quando l’agevolazione della presenza è legata alla finalità dell’agente di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero. Ciò significa che offrire aiuto a stranieri clandestini, agevolandone la permanenza non costituisce reato se non si agisce per trarre un profitto ingiusto;

2) quando il fatto è commesso nell’ambito delle attività punite nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, come perpetuazione di una situazione di illegalità iniziata con l’ingresso clandestino. Questa previsione ricomprende condotte ulteriori rispetto alla mera agevolazione dell’ingresso, non punite da altre norme. Dubbi sussistono sulla natura permanente o istantanea del reato e sulla sua configurazione di reato di evento o a consumazione anticipata.

Con la l. n. 125 del 24 luglio 2008 sono state introdotte due circostanze aggravanti:

1) quando il fatto è commesso in concorso da due o più persone

2) ovvero riguarda la permanenza di cinque o più persone,

ed è previsto un aumento di pena da un terzo alla metà.

Sempre l. n. 125 del 2008, cit.,  ha introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 12, co. 5 bis con cui si sanziona chi concede un immobile, a vario titolo, a uno straniero illegalmente presente nel territorio nazionale. La norma prevede che: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.

Con questa previsione si intende punire, anche al fine di rendere più difficoltosa la permanenza degli stranieri irregolari sul territorio nazionale, la prassi di locare, oltretutto a prezzi piuttosto elevati, immobili spesso in condizioni fatiscenti, approfittando della situazione di necessità degli stranieri presenti in Italia in modo illegale

Può commettere il reato chiunque abbia la disponibilità di un alloggio e lo offra a titolo oneroso al fine di trarre un ingiusto profitto. Ciò comporta che dare ospitalità a titolo gratuito o senza il fine di trarre un ingiusto profitto a uno straniero non costituisce reato.


XVIII.5 - La tratta di persone e la differenza con il traffico

La tratta di persone (trafficking) è punita dall'art. 601 c.p., di recente modificato dal d.lgs. n. 24 del 04 marzo 2014, con cui è stata recepita la Direttiva europea 2011/36/UE relativa alla prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime.

La formulazione precedente del reato era la trasposizione nell'ordinamento italiano della definizione internazionale di tratta contenuta nel Protocollo addizionale alla Convenzione ONU contro la criminalità organizzata transnazionale dedicato alla tratta di esseri umani.

Oggi la formulazione del nuovo art. 601 c.p. prevede:

"È punito con la reclusione da otto a venti anni chiunque recluta, introduce nel territorio dello Stato, trasferisce anche al di fuori di esso, trasporta, cede l’autorità sulla persona, ospita una o più persone che si trovano nelle condizioni di cui all’articolo 600, ovvero, realizza le stesse condotte su una o più persone, mediante inganno, violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di vulnerabilità, di inferiorità fisica, psichica o di necessità, o mediante promessa o dazione di denaro o di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, al fine di indurle o costringerle a prestazioni lavorative, sessuali ovvero all’accattonaggio o comunque al compimento di attività illecite che ne comportano lo sfruttamento o a sottoporsi al prelievo di organi.

Alla stessa pena soggiace chiunque, anche al di fuori delle modalità di cui al primo comma, realizza le condotte ivi previste nei confronti di persona minore di età”.

Rispetto alla formulazione precedente la riforma ha rafforzato la tutela delle cd. categorie vulnerabili, in primis i minori, e ha provveduto a specificare meglio le condotte punite.

La tratta consiste:

1) nel reclutamento, l'introduzione nello Stato, il trasporto, il trasferimento (trasferimento di persone tra paesi diversi o all’interno di un paese), la cessione o l’ospitalità di una persona in situazione di schiavitù

oppure 

1) nelle stesse condotte realizzate nei confronti di una o più persona mediante l’utilizzo di mezzi quali la minaccia o l’utilizzo della forza, di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o mediante la promessa di  denaro o altri vantaggi.

2) al fine di sfruttarla nella realizzazione di attività illecite (prestazioni sessuali, lavorative, accattonaggio, prelievo di organi).

Il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, etc. di un minore (o altro soggetto vulnerabile) a scopo di sfruttamento è sempre considerato “tratta di esseri umani” anche se non vengono utilizzati i mezzi fraudolenti o ingannatori precisati sopra.

Il consenso della persona è del tutto irrilevante per l'integrazione del reato.

E' utile sottolineare quali siano le differenze tra tratta (trafficking) e traffico di migranti (smuggling).

1) è diverso il bene giuridico compromesso. Il favoreggiamento dell’immigrazione clandestino (traffico di migranti) costituisce un problema di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, viola la sovranità dello Stato mentre la tratta è una violazione di diritti umani; 

2) è diversa la relazione che si instaura fra gli stranieri e gli autori delle condotte vietate, che, nel caso del favoreggiamento dell’ingresso clandestino, si esaurisce di norma con l’attraversamento delle frontiere e il raggiungimento della destinazione prestabilita, mentre, nel caso della tratta, si perpetua una volta raggiunto il luogo di destinazione al fine di massimizzare il profitto economico derivante dall’attività di sfruttamento della persona;

3) è diverso il fine. Nel traffico di migranti il fine è l'attraversamento illegale delle frontiere e il vantaggio economico che ne deriva, nella tratta l'attraversamento delle frontiere può anche essere legale ed il fine è lo sfruttamento della persona una volta giunta a destinazione.

4) in genere la persona che attraversa illegalmente le frontiere lo vuole fare, paga per ottenere questo servizio. Nel caso della tratta il consenso della persona è del tutto irrilevante e se prestato spesso è frutto della condizione di non scelta in cui si trova la persona o degli inganni, delle violenze, delle minacce messe in atto dall'autore del reato.

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31650 del 31.08.2021 ha escluso il concorso formale tra i due reati e ritenuto che il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina sia assorbito nel reato di tratta degli esseri umani.


APPROFONDIMENTO I - Cosa costituisce giustificato motivo per non ottemperare all’ordine del questore?

Questo è sempre stato uno dei problemi interpretativi più controversi concernenti la fattispecie del d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter.

Ne è chiara l’importanza: si tratta di una causa di esclusione della responsabilità penale. Il “giustificato motivo” evita la punizione di condotte formalmente conformi al precetto, ma che non appaiono meritevoli di reazione penale.

Sia la dottrina che la giurisprudenza si sono spese nel tentativo di dare un contenuto alla locuzione e le opinioni non sono uniformi.

Secondo la Corte costituzionale (Corte Cost. 18 dicembre 2004, n. 5) possono essere considerati elementi che giustificano l’inosservanza dell’ordine del questore quelle stesse situazioni che impediscono l’esecuzione immediata del decreto di espulsione (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 1), come il mancato rilascio, da parte dell’autorità consolare o diplomatica competente, dei documenti necessari, sebbene richiesti in modo sollecito e diligente. Non si poteva pretendere dai singoli ciò che non era riuscita a ottenere la pubblica amministrazione.

La dottrina ha individuato il giustificato motivo nelle gravi condizioni di salute dello straniero (in attuazione dell'art. 32 Cost.); nella convivenza col coniuge non italiano, regolarmente residente nel nostro territorio o con il figlio minorenne che non può seguirlo nel Paese di origine o provenienza (in attuazione degli artt. 29, 30, 31 Cost.); nel rischio di essere esposto nel proprio Paese alla pena di morte o a persecuzioni politiche, anche se non può beneficiare in Italia dello status di rifugiato; nella pericolosità o difficoltà dell’allontanamento ad esempio per l’estrema difficoltà di reperire il biglietto di viaggio.

Molto ampia l’interpretazione data anche dalla giurisprudenza di merito che ha ritenuto giustificato motivo l’assenza di mezzi economici per allontanarsi e anche l‘assenza di un documento di identità, senza il quale la stessa Pubblicazione Amministrazione non aveva potuto procedere all'allontanamento del cittadino straniero. Questa interpretazione che in concreto giustifica ogni straniero irregolare indigente o non in possesso di un documento di identità non è stata però supportata dalla giurisprudenza di legittimità

La Cassazione ha infatti manifestato un atteggiamento diverso, più restrittivo.

Per i giudici di legittimità, “il concetto di ‘giustificato motivo" comporta l’esame di due profili: a) l’accertamento in concreto, a prescindere da qualsiasi forma di astrazione o presunzione, delle condizioni in cui si è prodotta e mantenuta la condotta di permanenza nel territorio dello Stato oltre i sette giorni, nonché della volontarietà o meno della stessa, potendo l’inadempimento dell’obbligo essere dovuto ad una scelta del soggetto oppure all'inerzia delle competenti autorità, cui lo straniero si sia prontamente, ma inutilmente rivolto; b) il giudizio di esigibilità dell’obbligo condotto non esclusivamente su basi oggettive, ma tenendo conto del reale condizionamento psichico esercitato dalle circostanze concrete sulle capacità individuali di adempimento dell’obbligo stesso”.

La Cassazione ha ritenuto anche che la mera difficoltà dello straniero a reperire mezzi economici sufficienti per il rientro nel proprio Paese non rappresenta giustificato motivo. In particolare, non può costituire prova insuperabile di questo disagio la mancanza di un lavoro regolare, poiché la disponibilità delle risorse per lasciare il territorio dello Stato può conseguire da altre attività, anche illecite o non stabili.

In altra occasione, sempre la Corte di cassazione ha ritenuto che, se la causa esimente non può conseguire alla normale sofferenza economica legata al fenomeno migratorio, può essere integrata invero da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero. In aderenza a questa affermazione, la Corte ha sostenuto, diversamente dalla giurisprudenza di merito, che gli elementi espressivi della condizione di disagio in cui versano tutti i migranti economici (il possesso di qualche spicciolo, l’uso di abiti non costosi, l’aspetto trasandato, etc.) non consentono di integrare le situazioni di particolare pregnanza della assoluta e comprovata impossidenza idonea a costituire il giustificato motivo di inottemperanza all’ordine di lasciare il territorio dello Stato emesso dal questore. D’altronde, sostengono i giudici di illegittimità, se si riconoscesse rilevanza a tali elementi, si abrogherebbe di fatto la norma incriminatrice, perché tale condizione di disagio è intrinseca al fenomeno migratorio determinato da motivi economici ed è, pertanto, generalizzabile.