Comprensione sentenze

Sentenza Corte Cost., 26 luglio 1979, n. 88

                                  Sentenza 88/1979
Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente AMADEI - Redattore
Udienza Pubblica del 03/05/1979 Decisione del 12/07/1979
Deposito del 26/07/1979 Pubblicazione in G. U.

SENTENZA 12 LUGLIO 1979
Deposito in cancelleria: 26 luglio 1979.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 210 del 1 agosto 1979.
Pres. AMADEI - Rel. MACCARONE
                            LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. LEONETTO AMADEI, Presidente - Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof.
GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO - Prof. LEOPOLDO ELIA - Prof. GUGLIELMO
ROEHRSSEN - Avv. ORONZO REALE - Dott. BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - Avv.
ALBERTO MALAGUGINI - Prof. LIVIO PALADIN - Dott. ARNALDO MACCARONE - Prof.
ANTONIO LA PERGOLA - Prof. VIRGILIO ANDRIOLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
                                       SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2043 del codice civile, promosso con ordinanza
emessa il 12 novembre 1976 dal tribunale di Camerino, nel procedimento civile vertente tra Nalli Nello e
Capenti Antonio, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 120 del 4 maggio 1977.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 3 maggio 1979 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Il 17 giugno 1972 Capenti Antonio esplodeva tre colpi di fucile contro Nalli Nello e sua figlia
Nalli Andreina, causando loro lesioni personali di varia entità. Tratto in arresto, era condannato dal
tribunale di Camerino, con sentenza del 17 giugno 1973, alla pena di mesi sette di reclusione.
Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, le parti lese agivano, in sede civile, chiedendo la
condanna del Capenti al risarcimento anche per il pregiudizio, di carattere non patrimoniale, arrecato
dalla condotta criminosa del convenuto alla loro integrità fisica.
A sostegno di tali richieste si deduceva che, accanto alle due consuete categorie di danni ingiusti,
doveva ipotizzarsene, in caso di danno alla persona, una terza, consistente nella menomazione della
salute, considerata in se stessa, quale stato di benessere fisico dell'individuo e non quale mezzo per la
produzione di un reddito (c.d. danno biologico).
L'adito tribunale, premesso che quest'ultimo tipo di danno non sarebbe risarcibile, in base al diritto
positivo, né come danno patrimoniale né come danno morale e rilevato che la salute è tutelata dalla
Costituzione come bene fondamentale dell'individuo oltre che come interesse della collettività, sollevava,
con l'ordinanza indicata in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043 del codice civile,
in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione.
2. - Ritualmente comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza de qua, nessuna delle parti si
costituiva nel giudizio innanzi a questa Corte ma spiegava intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo - con atto del 12 aprile
1977 - che la questione sollevata fosse dichiarata non fondata perché la norma denunziata assicurerebbe
la risarcibilità di ogni tipo di danno ingiusto, ivi compreso quello biologico.
Tali conclusioni erano successivamente ribadite alla pubblica udienza del 3 maggio 1979.
Considerato in diritto:
1. - Nel corso di un procedimento civile per risarcimento danni da illecito extracontrattuale promosso
nei confronti di persona condannata con sentenza penale passata in giudicato per il reato previsto dagli
artt. 582 e 585 del codice penale (lesione personale aggravata), il tribunale di Camerino ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2043
del codice civile, in quanto non comprende la risarcibilità del danno alla salute, autonomamente
considerato rispetto alle conseguenze economiche del fatto lesivo e al danno morale puro.
Come si è già esposto in narrativa, nel caso di specie gli attori avevano chiesto tra l'altro la condanna
del convenuto al risarcimento dei danni per il pregiudizio, di carattere non patrimoniale, che la loro
salute aveva subito a causa dell'illecito.
Secondo il giudice a quo, un danno così configurato non sarebbe risarcibile alla stregua del diritto
vigente né come danno patrimoniale (in quanto non sarebbe caratterizzato dalla economicità
dell'interesse pregiudicato) né come danno morale, perché questo riguarderebbe esclusivamente le
afflizioni morali e i turbamenti alle condizioni d'animo del danneggiato.
Di qui il dubbio che la norma denunziata violi:
a) l'art. 32 della Costituzione, perché non riconoscerebbe rilievo, ai fini della responsabilità per fatto
illecito, ad un diritto (quello alla salute) che la Costituzione riconosce e garantisce anche nell'ambito dei
rapporti interprivati;
b) l'art. 24 della Costituzione, in quanto escluderebbe dalla tutela giurisdizionale un diritto attribuito
dalla norma costituzionale senza limiti e condizioni;
c) l'art. 3 della Costituzione, in quanto, considerando il diritto nel suo aspetto strumentale volto alla
produzione di un reddito, tutelerebbe un bene eguale per tutti - la salute - in modo diseguale in ragione
delle condizioni economiche del danneggiato.
2. - Ciò premesso, occorre verificare la fondatezza della proposta questione in relazione alla
qualificazione criminosa del fatto lesivo.
Il giudice a quo muove dal presupposto che, in tal caso non sarebbe possibile accordare alcun
risarcimento per i danni non patrimoniali, diversi dalle sofferenze fisiche e morali.
L'assunto non può essere condiviso.
Invero gli artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale, nel loro combinato disposto,
espressamente stabiliscono che, ove un reato sia commesso, il colpevole è tenuto anche al risarcimento
dei danni non patrimoniali. L'espressione "danno non patrimoniale", adottata dal legislatore, è ampia e
generale e tale da riferirsi, senza ombra di dubbio, a qualsiasi pregiudizio che si contrapponga, in via
negativa, a quello patrimoniale, caratterizzato dalla economicità dell'interesse leso. Il che porta a ritenere
che l'ambito di applicazione dei sopra richiamati artt. 2059 del codice civile e 185 del codice penale -
contrariamente a quanto affermato nell'ordinanza di rimessione - si estende fino a ricomprendere ogni
danno non suscettibile direttamente di valutazione economica, compreso quello alla salute.
Il bene a questa afferente è tutelato dall'art. 32 Costituzione non solo come interesse della
collettività, ma anche e soprattutto come diritto fondamentale dell'individuo, sicché si configura come un
diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Esso certamente è da
ricomprendere tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione e non sembra dubbia la
sussistenza dell'illecito, con conseguente obbligo della riparazione, in caso di violazione del diritto
stesso.
Da tale qualificazione deriva che la indennizzabilità non può essere limitata alle conseguenze della
violazione incidenti sull'attitudine a produrre reddito ma deve comprendere anche gli effetti della lesione
al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza
e conseguenza. Ciò deriva dalla protezione primaria accordata dalla Costituzione al diritto alla salute
come a tutte le altre posizioni soggettive a contenuto essenzialmente non patrimoniale, direttamente
tutelate.
Appare evidente, allora, che ricorrendo nella fattispecie in esame i presupposti per l'applicabilità
dell'art. 2059 del codice civile (il Capenti era stato condannato, in sede penale, per il reato di cui all'art.
582 cod. pen.), vi è la possibilità di accordare agli attori il risarcimento per tutti i pregiudizi di carattere
non patrimoniale da essi subiti in dipendenza dell'illecito, compresi quelli corrispondenti alla
menomazione della loro integrità fisica in sé considerata.
Non è quindi ipotizzabile alcun contrasto con gli artt. 32 e 24 della Costituzione - in quanto la tutela
del diritto alla salute, riconosciuto dalla Costituzione come diritto fondamentale dell'individuo oltre che
come interesse della collettività, riceve, nella particolare ipotesi esaminata (che è la sola che in questa
sede può venire in considerazione), concreta applicazione.
3. - Del pari insussistente è poi la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione - fondata sulla
differente entità del risarcimento a seconda del reddito e delle condizioni economiche del danneggiato -
poiché, per quanto si è detto, la lesione del diritto alla salute, autonomamente considerato, può trovare,
nel caso di specie, congrua riparazione, a prescindere da ogni riflesso di ordine economico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità dichiara costituzionale
dell'art. 2043 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 32 della Costituzione, dal
tribunale di Camerino con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 1979.
F.to: LEONETTO AMADEI - EDOARDO
VOLTERRA - GUIDO ASTUTI -
MICHELE ROSSANO - LEOPOLDO ELIA
- GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO
REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI
DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI -
LIVIO PALADIN - ARNALDO
MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA
- VIRGILIO ANDRIOLI.
GIOVANNI VITALE - Cancelliere
Le sentenze e le ordinanze della Corte costituzionale sono pubblicate nella prima serie speciale della Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana (a norma degli artt. 3 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 e 21 del decreto del Presidente della
Repubblica 28 dicembre 1985, n. 1092) e nella Raccolta Ufficiale delle sentenze e ordinanze della Corte costituzionale (a norma
dell'art. 29 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, approvate dalla Corte costituzionale il 16
marzo 1956).
Il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale fa interamente fede e prevale in caso di divergenza.