Unità didattica III - La disciplina del soggiorno
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Corso: | Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23 |
Libro: | Unità didattica III - La disciplina del soggiorno |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | lunedì, 6 gennaio 2025, 00:25 |
Descrizione
Sommario
- III.1. Il permesso di soggiorno
- III.2. L'accordo di integrazione
- III.3. Rifiuto e revoca del permesso di soggiorno o del suo rinnovo
- III.4. Gli elementi nuovi sopravvenuti e le irregolarità sanabili
- III.5. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo
- APPROFONDIMENTO I - I casi di non corrispondenza tra ingresso e soggiorno
- APPROFONDIMENTO II - La richiesta di permesso di soggiorno
- APPROFONDIMENTO III - Cosa significa integrazione ?
III.1. Il permesso di soggiorno
La disciplina del soggiorno in Italia si presenta piuttosto articolata. In questa unità didattica saranno presentati gli aspetti essenziali della normativa, rimandando per la normativa in materia di famiglia e di lavoro alle apposite unità didattiche.
Ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5 possono soggiornare in Italia gli stranieri muniti di permesso di soggiorno. Questo perché il permesso di soggiorno è l’autorizzazione amministrativa, rilasciata dalla questura della provincia in cui lo straniero si trova, che lo autorizza a soggiornare nel territorio nazionale in condizione di regolarità. Non basta quindi fare ingresso in modo regolare ma occorre anche munirsi di permesso di soggiorno (non occorre richiedere il permesso di soggiorno per i soggiorni inferiori ai 3 mesi, su cui si rimanda alla UD II, par. 4 Il visto).
L’ingresso e il soggiorno sono strettamente collegati.
In alcuni casi eccezionali vi può essere regolarità di soggiorno senza regolarità di ingresso.
APPROFONDIMENTO I – I casi di non corrispondenza tra ingresso e soggiorno.
Ogni straniero è tenuto a richiedere il rilascio del titolo di soggiorno al questore del luogo in cui si trova entro otto giorni lavorativi dal suo ingresso nel territorio dello Stato (data risultante dal timbro datario apposto sul passaporto dalla polizia di frontiera, D.P.R. 394 del 1999, cit. art. 7, co. 3). La mancata richiesta di permesso di soggiorno entro il termine, salvo i casi di forza maggiore comporta l’espulsione amministrativa ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 13, co. 2 lett. b)(su cui vedi unità didattiche 9 e 10). Al momento della richiesta di permesso di soggiorno lo straniero è sottoposto a rilievi fotodattiloscopici.
APPROFONDIMENTO II – La richiesta di permesso di soggiorno
La procedura di rilascio (e lo stesso dicasi per il rinnovo) del permesso di soggiorno, ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 5, co. 9, dovrebbe concludersi entro 60 giorni (come previsto a seguito delle modifiche introdotte dal d. lgs. 4 marzo 2014, n. 40, precedentemente il termine era fissato in 20 giorni) dalla presentazione dell’istanza. Si tratta di un termine ordinatorio (come più volte chiarito dalla giurisprudenza – vedi TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 06.10.2010, n. 33723, che ha indicato come la scadenza del termine legittima l’interessato a impugnare il silenzio-rifiuto), mai rispettato dall'amministrazione per svariati motivi (carenza di organico, inefficiente introduzione di nuovi sistemi di presentazione delle domande o di rilascio del permesso di soggiorno, etc.). Proprio per i cronici ritardi dell’amministrazione, il legislatore nel 2011 (legge n. 214 del 22 dicembre 2011) ha introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 9 bis che ha previsto per lo straniero, nelle more del rilascio del permesso di soggiorno (anche in caso di rinnovo), la possibilità di soggiornare legittimamente e di lavorare (qualora il suo permesso consenta di lavorare) fino alla comunicazione da parte della Pubblica Amministrazione dell’esistenza di motivi ostativi al rilascio del permesso di soggiorno.
Va però sottolineato che l’attività lavorativa può svolgersi se sono stati rispettati termini per la richiesta del permesso di soggiorno (la richiesta del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro sia stata effettuata dal lavoratore straniero all'atto della stipula del contratto di soggiorno, ovvero, nel caso di rinnovo, la richiesta sia stata presentata prima della scadenza del permesso o entro 60 giorni dalla scadenza dello stesso) e se è stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta attestante l'avvenuta presentazione della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso.
Questa disposizione è particolarmente importante in caso di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro. Basti pensare alle conseguenze per un datore di lavoro. Cosa potrebbe fare di fronte a dipendenti stranieri che hanno regolarmente fatto domanda di rinnovo ma non ricevono risposta? La norma permette di chiarire che il datore di lavoro può mantenere alle proprie dipendenze i lavoratori senza alcun rischio (rischi che sarebbero altrimenti anche di carattere penale, come si vedrà nel proseguio del corso).
La durata del permesso di soggiorno è commisurata a quella del visto di ingresso. La legge determina inoltre la durata massima dei titoli di soggiorno, prevedendo: tre mesi per visite, affari, turismo (in questo caso vale la dichiarazione di presenza che sostituisce il permesso di soggiorno); un anno per la frequenza di un corso di studio o formazione, rinnovabile ogni anno nel caso di corsi pluriennali; due anni per il ricongiungimento famigliare; la durata necessaria in relazione alle necessità specificamente documentate negli altri casi.
Diverse le regole per il permesso di lavoro. La durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro è di norma prevista nel contratto di soggiorno ma non può superare: nove mesi per i contratti stagionali, un anno per lavoro subordinato a tempo determinato, due anni per lavoro subordinato a tempo indeterminato o per lavoro autonomo (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5 co. 3 bis).
I lavoratori stagionali possono beneficiare di permessi pluriennali qualora dimostrino di essere venuti in Italia per due anni consecutivi al fine di svolgere lavoro stagionale e siano regolarmente rientrati al termine. In questo caso, al lavoratore stagionale può essere rilasciato un permesso pluriennale, con il limite dei tre anni e per la stessa durata annua di cui ha beneficiato nell'ultimo anno in cui si è recato in Italia. Al termine del periodo lo straniero deve fare rientro nel suo Paese, pena la revoca immediata del titolo di soggiorno.
Il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto dallo straniero almeno 60 giorni prima della scadenza al questore della provincia in cui lo straniero dimora. La richiesta va fatta con le medesime modalità previste per il rilascio (d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 5, co. 4). Il termine di 60 giorni è meramente ordinatorio. Nessuna conseguenza è prevista nel caso della sua violazione (ad esempio non si potrà negare il rinnovo solo per un ritardo da parte dello straniero nel formulare la richiesta, vedi Consiglio di Stato, Sezione III, 28 aprile 2016, n. 2230). Tuttavia, se non viene chiesto il rinnovo entro 60 giorni dalla sua scadenza, è prevista l’espulsione (d.lgs. 286 del 1998, cit., art 13, co. 2 lett. b). Come già detto in precedenza il d.lgs. 286 del 1998, cit. artt. 5, co. 9 e 9 bis si applicano anche al rinnovo del permesso di soggiorno.
Ogni permesso di soggiorno abilita all'esercizio delle attività per cui è stato rilasciato, ma va ricordato che:
- il permesso di soggiorno per lavoro subordinato consente l’esercizio del lavoro autonomo e viceversa, mentre il titolo di soggiorno per motivi familiari (al pari di quello per casi speciali, protezione speciale, asilo, protezione sussidiaria e integrazione minori) consente l’esercizio del lavoro sia subordinato che autonomo.
- il permesso di soggiorno per motivi di studio e formazione può essere convertito, prima della scadenza, previa stipula del contratto di soggiorno, in un permesso per motivi di lavoro nell’ambito delle quote di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 3, co. 4. Inoltre lo studente straniero può svolgere attività lavorativa subordinata per un tempo non superiore a venti ore settimanali ed entro il limite annuale di 1.040 ore (D.P.R. 394 del 1999, cit. art 14, co. 4).
III.2. L'accordo di integrazione
Dal 2009, a seguito della introduzione del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 4 bis, da parte della legge del 15 luglio 2009, n. 94 (nota come pacchetto sicurezza) lo straniero che ha fatto ingresso in Italia deve sottoscrivere contestualmente alla domanda di rilascio del permesso di soggiorno (che, come si è visto, lo straniero è tenuto a richiedere alla questura della provincia in cui si trova entro il termine perentorio di otto giorni dal suo ingresso legale in Italia) l’accordo di integrazione, che rappresenta una condizione necessaria per il rilascio del titolo di soggiorno. Con la stipula dell’accordo - che è articolato per crediti e la cui attuazione viene dalla legge demandata a un regolamento - lo straniero si impegna a “sottoscrivere (?!) specifici obiettivi di integrazione, da conseguire durante il periodo di validità del permesso di soggiorno”.
APPROFONDIMENTO III - Cosa significa integrazione
Come detto, la legge demanda ad un regolamento criteri e modalità per la sottoscrizione dell’Accordo. Tale regolamento è stato emanato nel 2011 (d.P.R. 14 settembre 2011, n. 179) e le previsioni in esso contenuto sono applicabili dal 10 marzo 2012 ai permessi di soggiorno di durata di almeno un anno rilasciati agli stranieri di età superiore a 16 anni entrati in Italia per la prima volta. L’accordo si stipula presso lo Sportello Unico per l’Immigrazione o presso la questura tra lo straniero (nel caso di minore deve sottoscrivere l’accordo il genitore o l’esercente potestà genitoriale) e, per lo Stato, un prefetto o un suo delegato. Viene redatto, secondo il modello di cui all'allegato A del DPR n. 179 del 2011, cit., che costituisce parte integrante del regolamento, in duplice originale, di cui uno è consegnato allo straniero, tradotto nella lingua da lui indicata o se ciò non è possibile in inglese, francese, spagnolo, arabo, cinese, albanese, russa o filippina, secondo la preferenza indicata dall'interessato.
All’atto della sottoscrizione sono riconosciuti allo straniero sedici crediti corrispondenti al livello A1 di conoscenza della lingua italiana parlata e a un livello sufficiente di conoscenza della cultura civica e della vita civile in Italia.
Con l'accordo, lo straniero si impegna a:
• acquisire un livello adeguato di conoscenza della lingua italiana parlata equivalente almeno al livello A2 di cui al quadro comune europeo di riferimento per le lingue emanato dal Consiglio d'Europa;
• acquisire una sufficiente conoscenza dei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica e dell'organizzazione e funzionamento delle istituzioni pubbliche in Italia;
• acquisire una sufficiente conoscenza della vita civile in Italia, con particolare riferimento ai settori della sanità, della scuola, dei servizi sociali, del lavoro e agli obblighi fiscali;
• garantire l'adempimento dell'obbligo di istruzione da parte dei figli minori.
Il rispetto di tali impegni determina l’acquisizione di un numero di crediti ulteriori, definito dall’allegato B DPR n. 179 del 2011, cit. I crediti possono anche essere oggetto di decurtazione in caso di condanna penale, applicazione di una misura di sicurezza o alla commissione di illeciti amministrativi, in base alle regole previste nell’allegato C DPR n. 179 del 2011, cit..
Anche lo Stato prende degli impegni, previsti nel DPR 179 del 2011, cit., art. 2, co. 6. In primo luogo si impegna a garantire allo straniero la partecipazione gratuita ad una sessione di formazione civica e di informazione sulla vita in Italia entro tre mesi dalla sottoscrizione dell’accordo; inoltre si impegna a sostenere il processo di integrazione attraverso idonee iniziative in accordo con regioni, enti locali ed altri enti.
Sono molto diverse le conseguenze del mancato rispetto degli impegni per lo Stato e lo straniero. Non esiste alcun tipo di conseguenza per lo Stato, mentre per lo straniero il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 4, co. 2 ult. parte prevede che in caso di perdita integrale dei crediti il permesso di soggiorno viene revocato e lo straniero espulso dal territorio dello Stato (in base al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co. 4). Appare evidente la ragione per cui l’accordo di integrazione sia stato spesso denominato “permesso di soggiorno a punti” in analogia a quanto previsto per la patente di guida. Questa regola non si applica ai: 1) titolari di permesso di soggiorno per asilo, per richiesta di asilo e protezione sussidiaria; 2) titolari di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo e di carta di soggiorno per familiare straniero di cittadino dell’U.E.; 3) titolari di altro permesso di soggiorno che abbiano esercitato il diritto al ricongiungimento familiare.
È evidente che l’accordo di integrazione incide in modo decisivo sulla condizione giuridica dello straniero: la sua sottoscrizione è obbligatoria ai fini del rilascio del titolo di soggiorno e la perdita integrale dei crediti determina la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione. Trattandosi di uno strumento che incide sui diritti soggettivi dello straniero previsto in norme regolamentari sono stati avanzati dubbi di compatibilità con l’art. 10, co. 2 Cost. che prevede la riserva di legge in merito alla condizione giuridica dello straniero.
III.3. Rifiuto e revoca del permesso di soggiorno o del suo rinnovo
La materia del rifiuto e della revoca del permesso di soggiorno o del suo rinnovo è molto complessa ed è disciplinata dal d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 5, co. 5, 5 bis e 6.
In primo luogo bisogna ribadire la stretta correlazione tra ingresso e soggiorno, in conseguenza della quale il permesso di soggiorno e il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso nel territorio dello Stato (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 5).
Quindi, ad ogni scadenza del permesso di soggiorno lo straniero che intenda continuare a soggiornare legalmente in Italia ha l’obbligo di chiederne il rinnovo, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, ma la questura, prima di rinnovarlo, deve controllare che non siano mutate le condizioni che avevano a suo tempo consentito il regolare ingresso in Italia: così se, ad esempio, durante il periodo di regolare soggiorno in Italia lo straniero commette un reato e viene per questo condannato, se si tratta di condanna che sarebbe stata ostativa all’ingresso la questura non potrà rinnovargli il permesso di soggiorno, proprio perché è venuta meno una delle condizioni legittimanti l’ingresso.
Quindi, in caso di ingresso illegale, ovvero se vengono a mancare, successivamente, i requisiti che consentono l’ingresso, non può essere né rilasciato né rinnovato il titolo di soggiorno.
Negli stessi casi, se il permesso di soggiorno non è ancora scaduto, la questura potrà revocarlo prima ancora della sua fisiologica scadenza.
Un importante temperamento al rigido meccanismo preclusivo dell’ingresso e del soggiorno determinato dalle condanne penali ostative è costituito dalla previsione per cui, prima di negare o revocare il permesso di soggiorno nei confronti di chi ha esercitato il ricongiungimento familiare, si deve tener conto della natura e dell’effettività dei vincoli familiari e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 5).
Questo significa che il diniego non può essere automatico ma frutto di una valutazione da parte dell’amministrazione circa l’eventuale prevalenza di un interesse pubblico sul diritto all’unità famigliare.
Su questo articolo è di recente intervenuta la Corte Costituzionale (sentenza n. 202 del 2013) dichiarando l’illegittimità costituzionale del d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 5, co. 5 nella parte in cui prevede che la valutazione discrezionale in esso stabilita si applichi solo allo straniero che “ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare” o al “familiare ricongiunto”, e non anche allo straniero “che abbia legami familiari nel territorio dello Stato”. La sentenza è di grande importanza. Essa conferma un indirizzo giurisprudenziale che da diverso tempo valorizza i legami familiari esistenti in Italia, chiarendo che la norma determina una irragionevole disparità di trattamento tra chi ha esercitato il ricongiungimento famigliare e chi ha una famiglia in Italia ma ha utilizzato un diverso canale di ingresso in Italia. Limitare la tutela solo a chi ha esercitato il ricongiungimento famigliare viola, secondo la Corte, “l’art. 3 Cost. e reca un irragionevole pregiudizio ai rapporti familiari, che dovrebbero ricevere una protezione privilegiata ai sensi degli artt. 29, 30 e 31 Cost. (…). In particolare, la tutela della famiglia e dei minori assicurata dalla Costituzione implica che ogni decisione sul rilascio o sul rinnovo del permesso di soggiorno di chi abbia legami familiari in Italia debba fondarsi su una attenta ponderazione della pericolosità concreta e attuale dello straniero condannato, senza che il permesso di soggiorno possa essere negato automaticamente, in forza del solo rilievo della subita condanna per determinati reati. Nell’ambito delle relazioni interpersonali, infatti, ogni decisione che colpisce uno dei soggetti finisce per ripercuotersi anche sugli altri componenti della famiglia e il distacco dal nucleo familiare, specie in presenza di figli minori, è decisione troppo grave perché sia rimessa in forma generalizzata e automatica a presunzioni di pericolosità assolute, stabilite con legge, e ad automatismi procedurali, senza lasciare spazio ad un circostanziato esame della situazione particolare dello straniero interessato e dei suoi familiari”.
Successivamente il Ministero dell’Interno è intervenuto, indicando ai suoi uffici periferici che “l'adozione del provvedimento amministrativo di rifiuto del rilascio, oppure di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno non prescinda mai dalla scrupolosa valutazione della situazione concreta dello straniero e dei suoi congiunti presenti" (Circolare Ministero dell’Interno n. 400/A del 31.7.2013).
Sempre in parallelo con la normativa in materia di ingresso, di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 4 co. 3 (su cui vedi UD II), anche per il soggiorno sono indicati alcuni criteri - in modo peraltro più puntuale di quanto non avvenga in materia di ingresso - cui l’amministrazione deve attenersi nel valutare la pericolosità sociale dello straniero al fine di revocare o denegare il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi familiari. Il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 5 bis prevede che l’amministrazione debba tenere conto, quindi senza nessun automatismo, delle condanne per:
- reati previsti dall’art. 407, co. 2, lett. a), c.p.p. (sono reati gravi per
cui il termine massimo delle indagini preliminari è di due anni, come ad
esempio l’omicidio, il sequestro di persona a scopo di estorsione,
l’associazione a delinquere di stampo mafioso, etc.);
- reati di favoreggiamento delle migrazioni illegali di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 12, co. 1 e 3 (di cui si parlerà nelle UD XI e XII).
III.4. Gli elementi nuovi sopravvenuti e le irregolarità sanabili
Il permesso di soggiorno viene rifiutato, oppure viene revocato qualora sia già stato rilasciato, se mancano i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5 co. 5) . Tuttavia la stessa disposizione stabilisce che il rilascio
o rinnovo del permesso di soggiorno possa avvenire, anche in mancanza dei
presupposti per l’ingresso, quando sopraggiungono nuovi elementi che ne
consentono il rilascio e si tratti di irregolarità amministrative sanabili.
Questa disposizione costituisce un importante temperamento al principio generale secondo cui, se vengono meno i requisiti per l’ingresso in Italia, non può essere consentito il soggiorno: se si tratta, invece, di irregolarità sanabili e se si verificano fatti sopravvenuti idonei al rilascio di un titolo di soggiorno (anche diverso da quello richiesto), questo deve essere rilasciato. È una previsione di rilevante importanza pratica, ad esempio nei numerosi casi di condanne penali ostative all’ingresso e al soggiorno: se nel corso del procedimento di rinnovo del titolo di soggiorno interviene la riabilitazione, ovvero se nei gradi di giudizio successivi al primo l’imputato viene assolto, siamo in presenza di elementi nuovi sopravvenuti che permettono il rilascio del permesso.
Un altro caso importante è quello in cui il permesso non viene rilasciato per assenza dei requisiti reddituali necessari (disponibilità di un reddito, derivante da fonte lecita e fiscalmente assoggettabile, non inferiore all’importo dell’assegno sociale): se nel corso del procedimento di rinnovo il lavoratore instaura un nuovo rapporto di lavoro che gli consenta una previsione di guadagno idonea, ecco che si verifica un fatto nuovo sopravvenuto che consente il rilascio del rinnovo del titolo di soggiorno.
Altri fatti sopravvenuti rilevanti possono
riguardare l’insorgere di situazioni che determinano il divieto di espulsione:
lo stato di gravidanza o il matrimonio con cittadino italiano sono fatti idonei
al rilascio di un titolo di soggiorno. Secondo la giurisprudenza, la questura
ha l’obbligo di tenere in considerazione i fatti sopravvenuti a due condizioni:
che questi siano portati a conoscenza dell’amministrazione da parte
dell’interessato; che tali fatti si siano verificati dopo la presentazione
della richiesta di rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno, ma prima
dell’adozione del provvedimento definitivo. Nuovi elementi successivi
al rifiuto o alla revoca non possono essere considerati.
III.5. Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è disciplinato dal d.lg. 286 del 1998, cit., art. 9. Si tratta di un istituto esistente sin dalla normativa del 1998 ed era allora denominato “carta di soggiorno”. L’istituto è stato completamente riformulato ad opera del d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 3 in attuazione della Direttiva 2003/109/CE che ha abrogato la disciplina della carta di soggiorno, e ha introdotto il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Nel 2014 il d.lgs. 13 febbraio 2014, n. 12, in vigore dall’11 marzo 2014 ha sostituito la dicitura permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo in permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
Si tratta di una particolare tipologia di permesso di soggiorno la cui prima e fondamentale differenza con tutti gli altri permessi di soggiorno è la sua durata pari a dieci anni e rinnovato automaticamente, salvo ragioni legate alla pericolosità sociale. Il titolare di tale tipo di permesso di soggiorno è inespellibile salvo che per i motivi indicati al d.lgs. 296 del 1998, cit., art. 9 co. 10 (UD. IX - X).
Bisogna tenere presente che i titolari di questo permesso sono oggi oltre il 50% dei residenti regolari.
Questo permesso di soggiorno permette:
• di fare ingresso in Italia in esenzione di visto;
• di svolgere ogni tipo di attività lavorativa, autonoma o subordinata, senza necessità di stipulare il contratto di soggiorno ;
• di usufruire delle prestazioni di assistenza e previdenza sociale, delle erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale, di quelle relative all’accesso di beni e servizi, nonché l’accesso alla procedura volta all’ottenimento di alloggi di edilizia residenziale pubblica;
• di partecipare alla vita pubblica locale, nelle forme e nei limiti previsti dalla legislazione vigente.
Lo straniero titolare del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo può, secondo le regole ed i limiti stabiliti da ciascun Paese UE, trasferirsi in un altro Stato membro ed ivi soggiornare regolarmente. Allo stesso modo cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da un altro Stato membro, oltre a poter fare ingresso in Italia senza un visto, possono chiedere di soggiornare sul territorio nazionale per un periodo superiore ai tre mesi per (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 9 bis):
- frequentare corsi di studio e formazione professionale;
- soggiornare per altri motivi leciti dimostrando i mezzi di sussistenza per sè e per i propri familiari;
- svolgere attività lavorativa subordinata o autonoma, nell'ambito delle quote annuali all'uopo previste nel decreto flussi.
Per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo occorre il possesso di determinati requisiti. La ratio di questi requisiti è la stabilità di soggiorno. Infatti lo straniero consegue il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo quando:
a) è titolare da almeno cinque anni di un permesso di soggiorno valido; le eventuali assenze dall’Italia non interrompono la durata del soggiorno quinquennale quando sono inferiori a sei mesi consecutivi e non superano, complessivamente, dieci mesi nell’arco dei cinque anni (con l’eccezione delle assenze determinate dall’assolvimento dell’obbligo di leva nel Paese di origine o per gravi e documentati motivi di salute). Va tenuto presente che non tutti i permessi di soggiorno, decorso il quinquennio, consentono il rilascio del titolo in esame, infatti, ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 9 co. 3 sono esclusi i titoli di soggiorno per motivi di studio o formazione professionale, quelli per protezione temporanea, per attesa asilo, per cure mediche, per casi speciali e per atti di particolare valore civile. Tuttavia, ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 9, c. 5 ai fini del calcolo del quinquennio del soggiorno regolare si computano i periodi di soggiorno per studio, formazione, protezione temporanea, motivi umanitari e asilo se successivamente è stato rilasciato un titolo di soggiorno diverso che consenta il rilascio del permesso per lungo soggiornanti.
b) dimostri la disponibilità di un reddito – derivante da fonte lecita – non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (pari a 5.954 euro per il 2019).
Anche i familiari dello straniero che ha maturato i requisiti per ottenere il permesso di lungo periodo possono ottenere questo permesso. Devono possedere i requisiti che rendono possibile il ricongiungimento (UD. V) e devono sussistere le condizioni reddituali previste nei parametri progressivi del d.lgs. 286 del 1998, art. 29, co. 3, lett. b) e occorre altresì la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi delle normative regionali in materia di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia conforme ai requisiti di idoneità igienico sanitaria accertati dall’ASL.
Secondo l'interpretazione della Direttiva fornita dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai fini del rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ai familiari del richiedente è necessario che anch'essi abbiano maturato i requisiti temporali di soggiorno richiesti - titolarità da almeno 5 anni di un permesso di soggiorno valido (Corte di Giustizia UE causa C-469/13)
Il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è subordinato al superamento di un test di conoscenza della lingua italiana, la cui finalità è accertare un livello di conoscenza della lingua italiana corrispondente al livello A2 del Quadro comune di riferimento europeo per la conoscenza delle lingue approvato dal Consiglio d’Europa (comprensione di frasi ed espressioni di uso frequente in ambito corrente).
Sono esentati dal test:
• il figlio minore di anni 14, anche nato fuori del matrimonio, del richiedente o del coniuge;
• lo straniero affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da handicap, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica;
• lo straniero che già è in possesso di un certificato che attesti la conoscenza della lingua italiana;
• lo straniero che ha conseguito il diploma di scuola secondaria in Italia o frequenta un corso di studio di livello universitario o superiore.
• lo straniero che è entrato in Italia per svolgere talune attività indicate dal d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 27, co. 1, lett. a), c), d), q) (dirigenti o personale altamente specializzato, professori universitari, traduttori e interpreti, giornalisti);
• il titolare di protezione internazionale e suoi familiari (vedi oltre).
Le modalità di effettuazione del test sono state definite dal Decreto del Ministero dell’Interno 3 febbraio 2014.
Questo permesso non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato (art. 9 comma 4 TU Immigrazione) ma non vi è alcun automatismo tra la presenza di condanne penali e il rifiuto di questo permesso. Questa norma prevede che nella valutazione della pericolosità si consideri anche l’appartenenza dello straniero a una delle categorie definite socialmente pericolose - definite in base alla legge del 27 dicembre 1956, n. 1423, alla legge 31 maggio 1965, n. 575, sostituita dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 e successive modificazioni – ovvero di eventuali condanne, anche non definitive, per i reati previsti nell’art. 380 c.p.p. nonché limitatamente ai reati non colposi, l’art. 381 c.p.p. Si deve inoltre tenere conto della durata del soggiorno nel territorio italiano, dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo.
In sintesi, il rifiuto di questo titolo di soggiorno è il risultato di una valutazione discrezionale della Pubblica Amministrazione. Vi sono però alcuni casi tassativi di revoca, indicati al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 9 co. 7. Si tratta dei casi di:
a) acquisizione fraudolenta del titolo;
b) espulsione di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 9 co. 9;
c) venir meno delle condizioni per il rilascio;
d) assenza dal territorio dell’Unione Europea per dodici mesi consecutivi;
e) il conferimento di un identico titolo da parte di altro Paese dell’Unione Europea;
f) l’assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a sei anni.
La revoca di questo permesso di soggiorno, al di fuori dei casi di espulsione, non ostacola il rilascio di altro titolo di soggiorno se ne sussistono i requisiti.
Di recente, il d.lgs. 12 del 2014, cit. in attuazione della Direttiva 2011/51/UE estende la possibilità di rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo al titolare di protezione internazionale, sia nel caso di riconoscimento dello status di rifugiato che nelle ipotesi di riconoscimento della protezione sussidiaria. In questo caso non è richiesta la documentazione relativa all’alloggio e il superamento del test di lingua italiana. Il calcolo del periodo di soggiorno quinquennale in Italia, utile ai fini del riconoscimento del titolo, si effettua dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale.
APPROFONDIMENTO I - I casi di non corrispondenza tra ingresso e soggiorno
Quando ingresso e soggiorno regolare non sono correlati?
Questa situazione eccezionale si verifica per i permessi di soggiorni concessi in ragione di uno dei motivi di inespellibilità (d.lgs. 286/1998, cit. art. 19), per motivi di protezione sociale (d.lgs. 286/98, cit. art. 18), nonché per tutte le ragioni di protezione internazionale - asilo, protezione sussidiaria e motivi umanitari - su cui si vedano le unità didattiche VI e VII.
Esiste inoltre un’altra situazione in cui a fronte di un ingresso non regolare si può determinare un soggiorno regolare. Si tratta di quelle situazioni in cui è intervenuto un provvedimento di regolarizzazione (chiamato anche provvedimento di legalizzazione). I provvedimenti di regolarizzazione sono provvedimenti con cui il legislatore stabilisce di concedere uno status giuridico legalmente riconosciuto a favore di cittadini di paesi terzi irregolarmente presenti nel territorio. Il provvedimento di regolarizzazione prevede di norma che lo straniero soddisfi determinate condizioni (ad esempio avere un lavoro da un certo periodo di tempo).
In Italia il termine è usato come sinonimo di sanatoria ma a rigore il termine sanatoria indica l’emersione di immigrati che si trovano sul territorio nazionale a partire da una certa data, senza il bisogno di soddisfare particolari condizioni come, ad esempio, lo svolgimento di un’attività lavorativa.
Nella storia della legislazione italiana i provvedimenti di regolarizzazione sono stati numerosi e hanno avuto una importanza molto rilevante nel modificare lo status giuridico degli stranieri da irregolare a regolare. Basti pensare che gli studi sulle regolarizzazioni degli anni ’90 e del 2002 rilevano come il 42% nel primo caso e ben i 2/3 nel secondo delle persone regolarmente soggiornanti in Italia avessero precedentemente sofferto un periodo di irregolarità. Ciò indica che molte persone regolari hanno precedentemente sofferto un periodo di irregolarità.
Da ultimo il d.l. 19.05.2020, n. 34, art.103, convertito nella legge del 17.07.2020, n. 77, ha previsto una nuova procedura di emersione del rapporto di lavoro irregolare, quale misura necessaria ai fini del contrasto della diffusione del virus COVID 19. Tale procedura, aperta dal 1.06.2020 al 15.08.2020, è stata molto criticata sotto alcuni aspetti, anche se si è distinta dalle precedenti per alcuni tratti particolari. Le principali censure sono state mosse alla limitazione all'accesso a tale procedura a soli tre settori lavorativi: assistenza alla persona, lavoro domestico e lavoro in ambito di agricoltura, allevamento, zootecnia, pesca, acquacoltura. Ciò significava, quindi, che l'accesso alla presentazione di domande di emersione del rapporto di lavoro irregolare erano legate solo a questi tre ambiti lavoratori, circostanza che si poneva in contrasto con la ratio sottesa alla adozione della norma, quale il contenimento del contagio attraverso un maggior controllo nel rispetto delle regole sul posto di lavoro.
Elementi di novità rispetto alle precedenti analoghe procedure adottate dallo Stato italiano erano rappresentati dalla possibilità di presentare domanda anche in quei casi in cui il rapporto di lavoro non era già in essere, ancorché in modo irregolare, chiedendo di poter assumere una persona non in possesso di un permesso di soggiorno valido ovvero di un permesso di soggiorno non convertibile in lavoro (come ad esempio il permesso di soggiorno per attesa asilo).
Per chi vuole approfondire una ricostruzione dei diversi provvedimenti di regolarizzazione si veda l'articolo di Sergio Briguglio su Questione Giustizia.
APPROFONDIMENTO II - La richiesta di permesso di soggiorno
A chi si presenta l’istanza di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno?
Lo straniero presenta l'istanza di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno al questore della provincia in cui dimora tramite gli uffici postali utilizzando l'apposito kit a disposizione, oppure rivolgendosi a comuni e patronati abilitati, affinché precompilino l'istanza, che dovrà comunque essere inoltrata attraverso i medesimi uffici postali.
Tale procedura va osservata per il rilascio, il rinnovo, l'aggiornamento e il duplicato delle seguenti tipologie di permessi di soggiorno:
1) affidamento; 2) attesa riacquisto cittadinanza; 3) asilo (solo se lo status di rifugiato è stato già riconosciuto ed è richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per asilo); 4) famiglia; 5) lavoro autonomo; 6) lavoro subordinato (per tutte le tipologie di lavoro subordinato, anche a carattere stagionale); 7) lavoro subordinato - attesa occupazione; 8) missione; 9) motivi religiosi; 10) residenza elettiva; 11) ricerca scientifica; 12) apolidia (solo se lo status di apolidia è stato già riconosciuto ed è richiesto il rinnovo del permesso di soggiorno per apolidia); 13) studio (nei casi in cui il soggiorno è superiore a 3 mesi).
La suddetta procedura si applica anche per le istanze di rilascio, aggiornamento e duplicato: 1) del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; 2) della carta blu UE.
L'istanza deve essere sottoscritta dall'interessato e presentata presso uno degli uffici postali abilitati. Al momento della presentazione dell'istanza, il richiedente deve essere identificato con passaporto o altro documento equipollente.
Il permesso di soggiorno (scaduto o in scadenza) di cui si chiede il rinnovo resta nella disponibilità dello straniero e deve essere esibito insieme alla ricevuta che attesta il deposito dell'istanza.
Coloro che presentano l'istanza tramite gli uffici postali vengono poi convocati dall'Ufficio immigrazione della Questura competente per territorio per essere sottoposti ai rilievi fotodattiloscopici, tramite appuntamento generato nell'immediatezza della presentazione dell'istanza. Ogni altra comunicazione - il ritiro del titolo di soggiorno, la necessità di integrazione della documentazione, il ritiro del rigetto dell'istanza - avviene a mezzo sms o raccomandata.
Devono, invece, essere presentate presso gli Uffici immigrazione delle questure le istanze di richiesta di rilascio, di rinnovo, di aggiornamento, di duplicato e di conversione di tutte le altre tipologie di permessi di soggiorno, ossia:
1) apolidia (solo nel caso di prima richiesta, dopo il conferimento dello status di apolidia); 2) asilo (solo nel caso di prima richiesta, dopo il conferimento dello status di rifugiato); 3) assistenza minore; 4) cure mediche; 5) coesione familiare (il permesso di soggiorno è rilasciato sempre per motivi di famiglia); 6) gara sportiva; 7) giustizia; 8) integrazione minore; 9) minore età; 10) motivi umanitari; 11) protezione sociale (il permesso di soggiorno riporta la motivazione motivi umanitari); 12) protezione sussidiaria; 13) richiesta apolidia (nel caso sia stata presentata l'istanza per il riconoscimento dello status di apolidia); 14) richiesta asilo (nel caso sia stata chiesta la protezione internazionale e si è in attesa della decisione da parte della Commissione); 15) richiesta asilo - attività lavorativa (nel caso sia stata chiesta la protezione internazionale, siano trascorsi 60 giorni e si è ancora in attesa della decisione da parte della Commissione); 16) vacanze lavoro; 17) volontariato.
Quali sono i costi?
Oltre al pagamento delle spese della procedura di rilascio o rinnovo del permesso di soggiorno, lo straniero è tenuto al pagamento di un contributo tra 80 e 200 euro, secondo quanto stabilito dal un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze (d.lgs. 286/98, cit., art. 5, co. 2 ter).
Il Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 6 ottobre 2011 aveva determinato il contributo secondo le seguenti disposizioni:
- 80 euro per i permessi di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno
- 100 euro per i permessi di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni;
- 200 euro per i permessi di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e per i permessi di cui al d.lgs. 286/98, cit., art. 27, c. 1, lett. a), relativo all’ingresso e al soggiorno di dirigenti o personale altamente specializzato.
Tale determinazione è stato oggetto di una pronuncia del TAR del Lazio n.06095/2016 del 24 maggio 2016 poi confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 004487/2016 pronunciata in data 26 ottobre 2016.
Un successivo Decreto del Ministero delle Finanze del 5 maggio 2017 “Modifica del decreto 6 ottobre 2011 relativo agli importi del contributo per il rilascio del permesso di soggiorno”, entrato in vigore il 9 giugno 2017, ha rideterminato il contributo come segue:
a) Euro 40,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno;
b) Euro 50,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni;
c) Euro 100,00 per il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e per i dirigenti e i lavoratori specializzati.
Al decreto è seguita una circolare del Ministero dell’Interno del 9 giugno 2017.
Per un riassunto dell'intera vicenda vedi qui.https://www.asgi.it/discriminazioni/nuovi-contributi-rilascio-rinnovo-permessi-soggiorno/
Il Decreto prevede inoltre che siano esenti dal contributo, oltre alle tipologie di permesso di soggiorno già indicate dalla legge, anche: i minori regolarmente presenti, i figli minori di cui al d.lgs. 286/98, cit., art. 29, c 1, lett. b); gli stranieri che fanno ingresso in Italia per cure mediche e i loro accompagnatori; i richiedenti la conversione o l’aggiornamento del permesso di soggiorno in corso di validità.
La metà di tale contributo serve a finanziare il fondo rimpatri di cui al d.lgs. 286/98, cit., art. 14 bis. Pertanto, mediante tale contributo lo straniero regolare contribuisce altresì a rifondere le spese dei rimpatri degli stranieri irregolari o di quelli regolari se e quando cesserà la loro condizione di regolarità di soggiorno.
APPROFONDIMENTO III - Cosa significa integrazione ?
L’integrazione è un concetto difficile da definire. È il risultato di una molteplicità di politiche che investono aspetti relativi all’inserimento sociale, occupazionale e finanche culturale e politico degli stranieri. Il legislatore definisce nel d.gls. 286/98, cit, art. 4 bis, co. 1 l’integrazione come il “processo finalizzato a promuovere la convivenza dei cittadini italiani e di quelli stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, con il reciproco impegno a partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società”.
Il tentativo di definire il concetto di integrazione in termini giuridici sconta numerosi limiti e si presenta quindi generico. Sembra definire un obiettivo (la convivenza) e pur richiamando l’impegno reciproco di cittadini italiani e stranieri, soltanto lo straniero è tenuto a sottoscrivere tale accordo di integrazione. Difficile quindi individuarlo in termini giuridici come un accordo.
Autorevolmente Giovanna Zincone ha sottolineato come ciò che qualifica l’integrazione varia a seconda degli obiettivi che una politica di integrazione si pone, degli ambiti che vengono presi in considerazione e dei livelli di realizzazione che ci si propone che lo straniero raggiunga. Zincone distingue tre obiettivi che le politiche di integrazione si possono porre, tre aree e, infine, tre livelli di realizzazione.
Una politica di integrazione può avere come obiettivi (e in base ai momenti può dare la precedenza a uno o all’altro): l’impatto positivo sulla società ricevente, il benessere degli stranieri o, infine, il basso conflitto, l’interazione positiva tra stranieri di diversa provenienza e tra stranieri e autoctoni. Ciascuno di questi obiettivi può interessare l’area sociale e economica, quella culturale e religiosa o, da ultima, quella pubblica e civile. Infine i livelli di realizzazione dell’integrazione a cui uno straniero può aspirare possono riguardare 1) il riconoscimento di diritti e l’attuazione di politiche; 2) le opportunità e le condizioni reali (in altri termini l’accesso ai diritti); 3) le percezioni e l’identità, il sentirsi accettati e il vedere riconosciute le proprie specificità.
È evidente che il significato di integrazione muta notevolmente in base a quale tra questi obiettivi risulta prioritario o prevalente, agli ambiti sui quali si interviene maggiormente e al fine di realizzare quale livello di integrazione degli stranieri. Appare altrettanto evidente che la definizione introdotta nel 2009 dal legislatore italiano appaia un goffo tentativo di trasporre in termini giuridici un concetto che già sul piano sociologico e politologico si presenta molto controverso.
Per chi vuole approfondire:
GIOVANNA ZINCONE ‘Introduzione. Il passaggio al primo piano’, in Giovanna Zincone (a cura di), Immigrazione: segnali di integrazione. Salute, scuola, casa, 2009, il Mulino, Bologna, pp. 7-67)