Unità didattica XI - I diritti e i doveri dello straniero

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Corso: Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23
Libro: Unità didattica XI - I diritti e i doveri dello straniero
Stampato da: Utente ospite
Data: domenica, 5 gennaio 2025, 23:46

Descrizione

Unità didattica XI - I diritti e i doveri dello straniero

XI.1. Il diritto alla salute

Con l'entrata in vigore della Costituzione italiana nel 1948 il diritto alla salute viene codificato nella sua duplice natura: diritto individuale alle cure, con esplicita previsione dell'estensione del diritto anche a chi non ha i mezzi per contribuire alla spesa comune, e interesse per la collettività alla prevenzione delle malattie e alla tutela della salute comune. La previsione costituzionale non pone alcun limite all'accesso al godimento di tale diritto sulla base della cittadinanza e, quindi, può definirsi quale diritto universale spettante a chiunque si trovi sul territorio nazionale, indipendentemente dalla sua nazionalità o dalla regolarità del suo soggiorno (art. 32).

Ferma la tutela del diritto alla salute quale diritto fondamentale dell’individuo, l'intensificarsi dei flussi migratori verso l'Italia ha comportato l'adozione di una disciplina speciale per l'accesso alle cure da parte degli stranieri, con definizione di un contenuto differente a seconda dello status dello straniero e delle condizioni relative al suo soggiorno in Italia.

In primo luogo deve prendersi in considerazione la condizione dei cittadini europei, con riferimento ai quali deve distinguersi tra chi soggiorna sul territorio nazionale per un periodo inferiore o superiore ai tre mesi, circostanza in virtù della quale mutano le condizioni di residenza sul territorio nazionale (v. UD. XIII).

Nel primo caso, l'accesso alle prestazioni sanitarie avviene a seguito della presentazione della Tessera europea di assicurazione malattia (TEAM), che per i cittadini italiani è riportata sul retro della tessera sanitaria.

Qualora il periodo di permanenza del cittadino europeo sul territorio nazionale superi i tre mesi sussiste l'obbligo di iscrizione al Servizio Sanitario nazionale (SSN) per tutti coloro i quali svolgono un'attività lavorativa, in forma autonoma o subordinata, siano temporaneamente disoccupati, ma iscritti alle liste di collocamento, siano familiari di un cittadino europeo ovvero siano titolari del diritto al soggiorno permanente.

L'iscrizione al SSN non è subordinata all'iscrizione anagrafica, adempimento a cui comunque sono tenute le categorie di cittadini europei sopra evidenziate (v. UD XIII), e, pertanto, può avvenire anche a prescindere, a fronte della presentazione della documentazione che ne attesti i requisiti richiesti.

La mancata iscrizione comporta in ogni caso la copertura per le prestazioni indifferibili e urgenti (minori, maternità, vaccinazioni).

Per quanto attiene, invece, ai cittadini europei che, pur risiedendo regolarmente in Italia per un periodo superiore ai tre mesi, non rientrano nelle categorie per le quali vige l'obbligo di iscrizione – studenti o persone in possesso di risorse economiche sufficienti, il cui soggiorno, per definizione, non deve poter comportare un costo per il sistema sanitario nazionale – sono tenuti a dotarsi di un' assicurazione sanitaria privata.

Deve, infine, ricordarsi che ai sensi del Regolamento (CEE) n. 1408 del 14 giugno 1971, art. 22, è previsto il diritto per il cittadino europeo di recarsi presso uno Stato membro differente da quello di residenza al fine di sottoporsi a prestazioni mediche, previa autorizzazione delle istituzioni competenti dello Paese membro di residenza. Tale autorizzazione non può essere rifiutata nel caso in cui le cure necessitate, pur figurando in quelle previste dalla normativa del Paese membro di residenza, non possono essere praticate nel lasso di tempo necessario, tenuto conto dello stato di salute dell'interessato e della probabile evoluzioni della malattia. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha definito i limiti e le condizioni secondo cui deve essere accertata tale impossibilità (CGUE, 09 ottobre 2014, C-268/13, Elena Petru/Casa Judeteana de Asigurari de Sanatate Sibiu, Casa Nationala de Asigurari de Sanatate)

Per i cittadini extraeuropei regolarmente presenti sul territorio nazionale, vige l'obbligo di iscrizione al Servizio Sanitario nazionale se:

  1. svolgono un'attività lavorativa autonoma o subordinata ovvero siano iscritti alle liste di collocamento
  2. sono titolari di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, subordinato o autonomo, per motivi familiari, per asilo, per protezione sussidiaria, per casi speciali, per protezione speciale, per cure mediche ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 19, co. 2, lett. d-bis), per richiesta asilo, per attesa adozione, per affidamento e per attesa acquisto cittadinanza. (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 34, co. 1 e 2, cit.). 

Tale obbligo si estende anche ai familiari a carico regolarmente soggiornanti.

La norma in esame distingue due differenti fattispecie. La prima trova il suo fondamento nei principi previsti dalla disciplina sul lavoro e indica che lo svolgimento di una attività lavorativa, così come l'iscrizione alle liste di collocamento, accorda di per sé il diritto all'iscrizione obbligatoria al SSN allo straniero – lavoratore, indipendentemente dal tipo di permesso di soggiorno posseduto e dalle motivazioni sottese al suo rilascio.

La seconda, invece, estende tale diritto ai titolari di determinanti titoli di soggiorno senza che venga in rilevanza l'effettivo svolgimento di una attività lavorativa da parte dello straniero.

Gli stranieri per i quali vige l'obbligo di iscrizione al SSN, sono pienamente equiparati ai cittadini italiani, sia con riferimento al godimento delle prestazioni sanitarie sia per quanto attiene ai doveri di contribuzione collettiva alla spesa sanitaria pubblica.

La durata dell'iscrizione è pari a quella del permesso di soggiorno e viene meno in casi di sua revoca o di diniego del rinnovo (D.P.R. n. 394 del 1999, art. 42, cit.).

L'iscrizione al SSN ha natura dichiarativa e non costitutiva, dunque il diritto all'assistenza sanitaria sorge non al momento dell'effettiva registrazione presso l'ASL competente, ma al verificarsi delle condizioni richieste.

I cittadini extraeuropei che risiedono regolarmente in Italia, ma che non rientrano nelle categorie esaminate - perché non impegnati in una attività lavorativa o titolari di titolo di soggiorno diverso da quelli elencati - devono provvedere a stipulare un'assicurazione sanitaria privata ovvero iscriversi volontariamente al SSN (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 34, co. 3 e 4, cit. e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 42, co, 5 e 6, cit.). Rientrano in tale categoria i titolari di un permesso di soggiorno per residenza elettiva, per motivi religiosi nonché i dipendenti di organizzazioni internazionali aventi sede sul territorio italiano. Inoltre, per esplicita previsione normativa, tale possibilità è estesa anche ai titolari di un permesso di soggiorno per motivi di studio, anche se inferiore ai tre mesi.

A differenza del diritto all'iscrizione obbligatoria al SSN, la possibilità di iscrizione volontaria comporta l'onere per il richiedente di corrispondere un contributo annuale, a titolo di partecipazione alle spese, oltre al pagamento di quanto dovuto all'occorrenza del godimento dell'assistenza sanitaria, è rinnovabile a fronte del mantenimento delle condizioni di accesso ed è commisurato sulla base del reddito.

Non sono iscrivibili al SSN gli stranieri che pur regolarmente presenti sul territorio nazionale vi permangano per un periodo inferiore ai tre mesi, come nel caso dei turisti, i quali possono accedere ai servizi sanitari offerti previo pagamento della prestazione, tranne nel caso in cui l'Italia abbia sottoscritto trattati o accordi di reciprocità in materia sanitaria con il Paese di origine dell'interessato. In ogni caso sono sempre garantite anche in tali casi le cure indifferibili e urgenti, a titolo gratuito.

Con la Direttiva 2011/24/UE concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera, recepita nel nostro ordinamento con il d.lgs. 04 marzo 2014, n. 38, sono state stati eliminati molti degli ostacoli che impedivano ai cittadini europei di recarsi presso altri Paesi Ue al fine di sottoporsi alle cure presso tali strutture sanitarie, ottenendo il rimborso delle spese sostenute. La principale finalità della Direttiva è quella di tendere alla creazione di standard comuni in tema di assistenza e di prestazioni sanitarie e di migliorare, altresì, l'accesso consapevole del paziente alle cure.

Le disposizioni sovra evidenziate non si applicano nei confronti degli stranieri irregolarmente presenti in Italia per i quali non è ammessa la possibilità di iscriversi al Servizio Sanitario nazionale. Tuttavia, attesa la portata del dettato costituzionale di cui all'art. 32 Cost., è garantito l'accesso alle cure urgenti ed indifferibili e ad alcuni servizi propri del SSN (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 35, cit. e D.P.R. n. 394 del 1999, art. 43, cit.).

Tra questi vi sono le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti ed essenziali, anche da erogarsi in forma continuativa, ove le cure urgenti sono quelle necessarie a salvaguardia della vita e dell'integrità fisica dell'interessato, mentre quelle essenziali riguardano patologie che, pur non essendo pericolose nell'immediato, potrebbero aggravarsi e cronicizzarsi, comportando nel tempo un aumento del rischio di un grave danno alla salute della persona. Tali prestazioni sanitarie vengono erogate anche se a carattere continuativo, qualora siano necessarie per la risoluzione dell'evento morboso, tra cui rientrano, ad esempio le cure per i pazienti tossicodipendenti.

Inoltre, la tutela del diritto alla salute del cittadino extraeuropeo irregolarmente presente sul territorio nazionale, si estende anche alla tutela della gravidanza e della maternità, della salute dei minori, comprese le vaccinazioni obbligatorie, la profilassi e la cura delle malattie infettive.

Per quanto attiene alla copertura economica di tali prestazioni sanitarie, in ossequio all'art. 32, co. 1 Cost., l'accesso è gratuito per gli stranieri che si trovano in stato di indigenza, circostanza che dev'essere da costoro autocertificata e la cui verifica appare estremamente disagevole, proprio in virtù della posizione di irregolarità sul territorio nazionale del richiedente (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 35, co. 4, cit.). L'assenza di regolarità sul territorio nazionale comporta altresì che l'impossibilità di ottenere il codice fiscale, necessario per la registrazione delle prestazioni: per sopperire a tale mancanza è prevista l'assegnazione, all'occorrenza, di un codice regionale STP (straniero temporaneamente presente), valido per sei mesi e rinnovabile.

Infine, per evidenti motivi di tutela dei diritti fondamentali, tra i quali rientra indubbiamente il diritto alla salute, viene espressamente previsto che l'accesso alle strutture sanitarie per l'erogazione di cure o prestazioni mediche non può dar luogo ad alcuna segnalazione alle autorità di pubblica sicurezza, salvo quanto previsto in tema di obbligo di referto ai sensi dell'art. 334 c.p.p. (d.lgs. 286 del 1998, art. 35, co. 5, cit. ).

Con riferimento alla disciplina sin qui delineata, deve farsi un cenno particolare alla posizione dei minori stranieri.

Nel caso in cui si tratti di minori stranieri non accompagnati la l. n. 47 del 2017, cit. ha modificato il d.lgs. 286 del 1998, art. 35, co. 1 , lett. b-bis), cit. introducendo l'obbligo di iscrizione al SSN dello straniero minorenne, anche prima del rilascio del permesso di soggiorno.

Per quanto attiene, invece, ai minori stranieri presenti sul territorio nazionale con i genitori o un rappresentante legale, ma privi di un valido titolo di soggiorno, l'obbligatorietà della loro iscrizione al SSN è da ricercarsi nell'Accordo del 20 dicembre 2012 tra il Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sul documento recante “Indicazioni per la corretta applicazione della normativa per l'assistenza sanitaria alla popolazione straniera da parte delle Regioni e Province autonome”, la cui esecuzione è demandata ai singoli organi di governo regionali e delle province autonome. Più recentemente l'art. 63, DPCM del 12 dicembre 2017 di aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza prevede espressamente il principio di parità di trattamento in ambito di accesso al SSN per i minori stranieri privi di permesso di soggiorno con i minori italiani, anche in ossequio a quanto stabilito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989. Da ciò discende il diritto per ogni minore ad avere un pediatra di libera scelta. 

Sul punto la regione Veneto è stata recentemente condannata per discriminazione con ordinanza del 19.10.2020 del Tribunale di Venezia poichè nelle direttive regionali di accesso alla sanità per i cittadini stranieri non regolarmente soggiornanti poichè ne prevedeva l'accesso solo per il tramite del Pronto Soccorso e non già con l'assistenza di un pediatra di libera scelta. 

In ogni caso, il d.lgs. 286 del 1998, art. 34, co. 3 lett. b) assicura la tutela della salute del minore in ottemperanza al disposto di cui alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989.

A conclusione della disamina delle diverse sfumature sulla disciplina del godimento alle prestazioni sanitarie, appare utile un breve cenno alla possibilità per i cittadini di Paesi terzi di entrare e soggiornare in Italia per motivi di cure mediche.

Il Testo Unico Immigrazione prevede diversi permessi di soggiorno denominati per cure mediche, i cui presupposti ed il contenuto è differente, pur essendo tutti previsti a tutela del diritto di salute di cui all'art. 32 Cost. 

Il permesso di soggiorno per cure mediche viene rilasciato nel caso in cui lo straniero intenda fare ingresso in Italia per sottoporsi a un intervento ovvero a una terapia presso una struttura sanitaria italiana, la quale deve rilasciare una dichiarazione di presa in carico e una descrizione dettagliata della patologia e della cura prevista. Inoltre, risulta a carico dello straniero la copertura economica dei costi sia di mantenimento sul territorio nazionale, per sé e per un eventuale accompagnatore, sia della prestazione sanitaria di cui usufruisce (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 36, co. 1, cit. ). 

A seguito dell'entrata in vigore del d.l. 130 del 2020, cit., come convertito in l. n. 173 del 2020, cit.  tale permesso di soggiorno permette lo svolgimento di attività lavorativa ed è ammessa la sua conversione in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. 

Come può rilevarsi facilmente tale permesso nulla ha a che fare con il permesso per condizioni di salute introdotto dal dl n. 113 del 2018, cit., come convertito in l. n. 132 del 2018, cit. che è legato al divieto di espulsione di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 19 co. 2 d-bis), cit. Tale titolo di soggiorno sarà rilasciato allo straniero in condizioni di irregolarità sul territorio nazionale le cui condizioni di salute psicofisica o derivante da serie patologie siano tanto gravi da esporlo ad rilevante pregiudizio per la sua salute in caso di allontanamento. Al contrario, nel caso di permesso di soggiorno per cure mediche di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 36, co. 1, cit., l'ingresso e la permanenza dello straniero sono regolari sin dall'inizio e finalizzati esclusivamente ad usufruire di specifiche prestazioni mediche.

Da ciò discende l'obbligo di iscrizione al SSN solo per la prima di queste due categorie - lo straniero affetto da patologia di rilevante gravità e per ciò inespellibile - mentre nella seconda lo straniero è tenuto a coprire personalmente tutti i costi relativi alle cure mediche di cui vuole usufruire in Italia. 

Differente è il caso di trasferimento dello straniero in Italia nell'ambito di interventi umanitari, ove le spese relative alle cure erogate sono a carico del Ministero della Sanità (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 36, co. 2, cit.).

Infine, il permesso per cure mediche è rilasciato alla donna in stato di gravidanza e per i sei mesi successivi alla nascita – a cui è equiparato l'aborto - la quale, per evidenti ragioni umanitarie, versano in una situazione di inespellibilità (d.lgs. n. n. 286 del 1998, art. 19, co. 2 lett. d), cit. e D.P.R. 394 del 1999, art. 28, cit.). A seguito dell'intervento della Corte Costituzionale, la medesima disciplina trova applicazione nei confronti del marito convivente della donna in stato di gravidanza, che per presunzione legale si presume padre del nascituro (Corte Cost., 27 luglio 2000, n. 376), mentre ne rimane escluso il padre convivente poiché non può esservi certezza, quantomeno da un punto di vista legale, della paternità.


XI.2. L'accesso ai diritti sociali e il godimento di altri diritti sociali da parte dello straniero

L'accesso ai servizi sociali, più in generale, il godimento dei diritti sociali da parte dello straniero assume rilievo non solo per la tipologia di prestazioni di cui può usufruire, ma anche perché è indice della sua integrazione nel tessuto sociale italiano. A fronte di un rilevante contributo apportato dalla popolazione migrante sia in termini di risorse umane sia da un punto di vista contributivo, l'accesso ai servizi erogati dallo Stato altro non è che una forma di inclusione sociale e piena partecipazione non solo agli oneri ma anche ai benefici previsti dal sistema sociale italiano.

A differenza dei servizi sanitari, il requisito fondamentale per godere delle prestazioni di assistenza sociale non è la sola titolarità di un permesso di soggiorno, ma altresì la regolarità della residenza anagrafica dello straniero. Nonostante ogni straniero titolare di un valido titolo di soggiorno abbia il diritto di iscrivere la propria residenza presso gli uffici anagrafici del proprio Comune di residenza, spesso si riscontrano impedimenti e difficoltà nell'adempimento. Si pensi, per esempio, al caso dei titolari di protezione internazionale o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari i quali, pure essendo titolari di un valido titolo di soggiorno, sono privi di una dimora stabile.

La regolarità della residenza anagrafica risulta di fondamentale importanza per l'accesso ai servizi sociali, per la presentazione dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana (v. UD XIV), per la richiesta di accesso all'edilizia popolare e anche per il conseguimento della patente.

Le disposizioni che regolano la materia prevedono una piena parificazione tra i cittadini italiani e gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno sia per quanto attiene alla fruizione delle prestazioni di assistenza sociale, anche di carattere economico (d.lgs. n. 286 del. 1998, art. 41, cit.). Tuttavia, la portata di tale disposizione è stata fortemente limitata dall'intervento della l. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, c.d. Legge Finanziaria 2001 con la quale, per ragioni di carattere economico si è registrata una limitazione dell'ambito di applicazione di tale principio di parità, previsto ora solo in favore degli stranieri titolari di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.

Tale previsione normativa è stata oggetto di un considerevole contenzioso giudiziario attesa la sua portata discriminatoria con riferimento alla posizione degli stranieri regolarmente residenti, ma privi del ricordato permesso di soggiorno.

In particolare, la Corte Costituzionale ha più volte affrontato la questione secondo i profili della violazione del principio di uguaglianza riconoscendo la portata discriminatoria della limitazione dell'accesso alle prestazioni sociali in condizioni di parità con i cittadini italiani ai soli titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, così dichiarando l'illegittimità costituzionale della l. n. 388 del 2000, art. 80, cit., con riferimento agli artt. 2 3 Cost. e, in ragione della prestazione volta a volta in esame, dell'art. 32 Cost., a tutela del diritto alla salute, dell'art. 38 Cost., recante il diritto al mantenimento e alla assistenza sociale in favore degli inabili al lavoro, e dell'art. 117, co. 1 Cost. in combinato disposto con la disciplina di tutela dei diritti fondamentali di cui alla CEDU ovvero ad altri trattati internazionali. Sebbene le pronunce abbiano a oggetto prestazioni sociali differenti, la ratio sottesa alle decisioni della Corte può essere ricondotta a un denominatore comune: l'illegittimità della subordinazione dell'accesso a prestazioni sociali che coinvolgono beni e valori di primaria importanza, poste a tutela dei diritti fondamentali della persona, a distinzioni basate sulla nazionalità e sulla detenzione di un titolo di soggiorno (nel caso di specie il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo) il cui rilascio è basato su requisiti legati al mero decorso del tempo e al censo (Corte Cost., 29 luglio 2008, n. 306indennità di accompagnamento; Corte Cost., 12 dicembre 2011, n. 329 – indennità di frequenza; Corte Cost., 11 marzo 2013, n. 40 – pensione di inabilità e assegno mensile di invalidità).

Peraltro, deve segnalarsi che, a fronte delle numerose censure della Corte Costituzionale, nonché la copiosa giurisprudenza di merito, l'INPS ha statuito, con il messaggio n. 13983 del 04 settembre 2013, che l'unico requisito richiesto ai fini dell'accesso alle prestazioni sociali erogate in favore delle persone con disabilità da parte dei cittadini extracomunitari è la titolarità di un permesso di soggiorno della durata di almeno un anno.

Lo straniero titolare di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di un permesso di soggiorno di durata biennale per motivi di lavoro possono accedere, in condizioni di parità con i cittadini italiani, all'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica (d.lgs. n. 286 del. 1998, art. 40, cit.). Come recentemente riaffermato dalla Corte Costituzione nella sentenza n. 44 del 09  marzo 2020 il diritto all’abitazione "«rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» ed è compito dello Stato garantirlo, contribuendo così «a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (sent. n. 217/1988; nello stesso senso sentenze n. 106/2018, n. 168/2014). Benché non espressamente previsto dalla Costituzione, tale diritto deve dunque ritenersi incluso nel catalogo dei diritti inviolabili (fra le altre, sentenze n. 161/2013) e il suo oggetto, l’abitazione, deve considerarsi bene di primaria importanza"

Anche in questo ambito l'effettività del diritto è fortemente limitata dalle prassi poste in essere dai comuni, la cui portata, in alcuni casi, è stata riconosciuta come discriminatoria. In relazione al principio di parità di trattamento nell'accesso alla assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica si segnala la sentenza del Tribunale di Milano che ha ritenuto discriminatorio il contenuto di un bando del Comune di Milano ove si prevedeva un punteggio aggiuntivo esclusivamente in ragione della cittadinanza italiana del richiedente, poiché non risultava sorretto da adeguata motivazione, dando origine, con ogni evidenza, a un trattamento deteriore per gli stranieri, anche se regolarmente residenti (Tribunale di Milano, sentenza 20 marzo 2002, n. 3614).

Si noti che l'accesso all'edilizia pubblica non può essere subordinato alla condizione di reciprocità di cui all'art. 16 delle Preleggi poiché ciò comporterebbe una violazione del principio di parità di trattamento con i cittadini italiani nel godimento dei diritti sociali, di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, art. 2, co. 2, cit. (TAR Lombardia, ordinanza 25.02.2005, n. 264).

Di particolare rilevanza appare la recente sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea in merito alla legittimità dell'esclusione di una cittadina equadoregna dall'assegno per le famiglie numerose. L'organo di giustizia europea ha rilevato come tale prestazione sociali rientri tra quelle per cui è prevista parità di trattamento tra i cittadini europei ed i cittadini stranieri titolari di un permesso di soggiorno unico per lavoro di cui all'art. 12 della Direttiva 2011/98/CE (CGUE Kerly Del Rosario Maritnez Silva/INPS e Comune di Genova, C-449/16 del 21 giugno 2017).

Tra i diritti sociali garantiti allo straniero assume altresì rilievo il diritto allo studio.

In minori stranieri presenti sul territorio nazionale sono soggetti all'obbligo scolastico, indipendentemente dalla regolarità del loro soggiorno e di quello dei loro genitori (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 38, cit.). La ratio di tale scelta può agevolmente comprendersi ove si tenga a mente che l'accesso all'istruzione e alla scuola dell'obbligo è un diritto fondamentale del minore e un interesse preminente della società, tutelato dalla Costituzione agli artt. 33 e 34 Cost., nonché dai trattati internazionali in materia di diritti umani. In particolare la Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20.11.1989 e ratificata con l. 27 maggio 1991, n. 176, prevede che tutti i diritti ivi previsti, tra cui l'adempimento dell'obbligo scolastico, devono essere assicurati senza alcuna distinzione e a prescindere da qualsiasi condizione che riguardi il minore o i suoi genitori, indipendentemente dalle loro origini o nazionalità e dalle condizioni familiari o economiche. Al fine di dare piena attuazione a tale diritto le autorità scolastiche non possono in alcuna circostanza segnalare alle autorità la posizione di irregolarità del nucleo familiare: pertanto, al momento dell'iscrizione non potrà essere richiesta l'esibizione del permesso di soggiorno.

Se l'applicazione di tale principio di parità di trattamento pare agevole per quanto attiene all'iscrizione presso le scuole dell'obbligo, lo stesso non può dirsi con riferimento alla scuola dell'infanzia, che vanta un numero ridotto di posti. Seppur non rientri nell'ordine di scuole che devono essere frequentate obbligatoriamente da parte di minori, pare potersi ritenere esteso il parametro di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 38, cit., anche alla scuola dell'infanzia poiché rientra a pieno titolo nel sistema educativo di istruzione e formazione.

Al fine di dare piena attuazione a tale diritto le autorità scolastiche non possono in alcuna circostanza segnalare alle autorità la posizione di irregolarità del nucleo familiare: il d.lgs. 286 del 1998, art. 6, co. 2, cit. esclude che possa essere richiesta l'esibizione del permesso di soggiorno per le iscrizioni ed altri provvedimenti inerenti a “prestazioni scolastiche obbligatorie”. Secondo l'orientamento del Ministero dell'Interno tale esenzione deve trovare applicazione nelle scuole di ogni stato e grado, compreso l'asilo nido.

Tale interpretazione della normativa vigente è l'unica compatibile con il principio del superiore interesse del minore e, pertanto, deve intendersi estesa anche nei confronti dei minori europei presenti sul Territorio Nazionale: la loro iscrizione alle scuole di ogni ordine e grado non può essere subordinata all'avvenuta registrazione anagrafica.

Infine, si evidenzia che la mancata presentazione dei documenti non preclude la possibilità per lo straniero di continuare gli studi e di conseguire il titolo finale, D.P.R. 394 del 1999, art. 45, cit. In tal senso si era pronunciata la Corte europea dei diritti dell'uomo, nella sentenza Affaire linguistique belge, del 23.07.1968, affermando che il diritto all'istruzione non si esaurisce nella sola possibilità di accesso agli stabilimenti scolastici, ma deve necessariamente concretizzarsi anche nella possibilità di trarre vantaggio dall'istruzione ricevuta, vedendosi riconoscere ufficialmente gli studi compiuti.

Tale diritto si estende anche allo studente straniero privo di permesso di soggiorno divenuto maggiorenne durante il corso di studi, circostanza che si verifica nella normalità dei casi prima della conclusione della scuola superiore. Secondo il Consiglio di Stato “apparirebbe manifestamente irrazionale, oltre che di dubbia costituzionalità, una noma che precludesse agli stranieri di completare il corso di studi superiore semplicemente a fronte del compimento dei diciotto anni” (Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 1734/2007).

CURIOSITA' -

 Scarica - 19. Avv. Alberto Guariso del Foro di Milano ASGI
 

X.3. Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale

Il permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale costituisce un'eccezione alla disciplina sull'ingresso e il soggiorno degli stranieri in Italia (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 18, cit.).

La ratio sottesa al rilascio di tale titolo di soggiorno è quella di fornire protezione a soggetti vulnerabili, vittime di gravi forme di sfruttamento o di violenza.

I requisiti che devono, quindi, essere accertati a tali fini sono:

  • una situazione di violenza o di grave sfruttamento nei confronti dello straniero

  • un reale rischio per l'incolumità e la vita dello straniero nel caso in cui tenti di sottrarsi alla situazioni di violenza e sfruttamento

Appare evidente la portata umanitaria di tale permesso di soggiorno che ha lo scopo di aiutare lo straniero ad affrancarsi da una situazione di pericolo e violenza attraverso un percorso di inserimento sociale.

Due sono le vie per l'accertamento dei presupposti e il successivo rilascio del permesso di soggiorno.

La prima comporta che sia stato commesso un reato tra quelli previsti dalla l. 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione ovvero per i quali sia previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.). La concessione del titolo di soggiorno avviene nel corso delle indagini di polizia nei confronti della persona offesa dal reato o informata sui fatti, le cui dichiarazioni potrebbero esporla a un pericolo per la propria incolumità (c.d. percorso giudiziale). In merito giova, tuttavia, precisare che tale permesso di soggiorno non ha carattere premiale, atteso che viene rilasciato anche nel caso in cui l'esito del procedimento penale non sia di condanna ovvero il contributo alle indagini non conduca all'identificazione degli autori della violenza e dello sfruttamento.

Il permesso di soggiorno è rilasciato dalla Questura, sentito il parere non vincolante del Pubblico Ministero.

La seconda delle vie previste per l'accertamento di tale permesso presuppone che la situazione di sfruttamento o di violenza si palesi nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali (c.d. percorso sociale).

Ai fini del rilascio del titolo di soggiorno in esame, indipendentemente dalle modalità di accertamento della violenza e dello sfruttamento è l'accettazione e la effettiva partecipazione da parte dello straniero di un programma di assistenza e integrazione sociale predisposto da enti locali o soggetti privati convenzionati, la cui idoneità è valutata preliminarmente dalla Questura.

La durata iniziale del permesso per motivi di protezione sociale è di sei mesi, rinnovabile per un periodo di un anno o maggiore a seconda della durata del percorso di integrazione, all'esito positivo del quale può essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di studio. L'interruzione del programma comporta la revoca del permesso di soggiorno.

Con il d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito nella l. 15 ottobre 2013, n. 119 , è stata introdotta una nuova tipologia di permesso di soggiorno per ragioni di protezione sociale in favore delle vittime di violenza domestica (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 18 bis, cit.). In tal caso l'accertamento della violenza o di abusi nei confronti dello straniero avviene nel corso delle investigazioni o di operazioni di polizia per i reati di maltrattamenti in famiglia, lesioni, mutilazioni genitali femminili, violenza sessuale, sequestro di persona e stalking (artt. 572582, 583 bis, 605, 609 bis, 612 bis c.p.) ovvero per un reato per il quale è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.), se commessi in ambito familiare. Inoltre, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno il Questore deve valutare la concretezza e l'attualità del pericolo per l'incolumità della persona, quale conseguenza della volontà di sottrarsi alla situazione di abusi e violenza.

Come esposto nell'UD VII, le novità introdotte con il dl 113 del 2018, cit., come convertito in l. n.  132 del 2018, cit.,  in relazione a tali tipologie di permessi non ne modificano il contenuto sostanziale, ma solo la loro denominazioni da "permesso per motivi umanitari" a "casi speciali".

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XI.4. I doveri del cittadino straniero

In capo a tutti gli stranieri presenti sul territorio nazionale vige l'obbligo di rispettare le norme previste dall'ordinamento e i principi fondanti (d.lsg. n. 286 del 1998, art. 2, co. 9, cit. ).

Inoltre, chiunque risieda in Italia è soggetto agli obblighi contributivi, previdenziali e fiscali, al pari dei cittadini italiani, partecipando in tal modo alla spese pubblica e al sistema nazionale di assistenza sanitaria, sociale e previdenziale.

Per quanto attiene all'integrazione e all'inclusione nel tessuto sociale italiano dei cittadini extraeuropei questo si connota sia come diritto che come dovere. Se, da un lato, infatti, grava sulle istituzioni pubbliche l'onere di favorire il pieno inserimento degli stranieri, sopratutto delle c.d. seconde generazioni, nella società italiana, in capo a quanti risiedano sul territorio nazionale è richiesto uno sforzo di integrazione e di apertura al contesto culturale italiano. In particolare, ciò vale per coloro i quali, a causa della durata del soggiorno e/o della presenza in Italia di tutto il nucleo familiare, hanno creato con il territorio italiano dei legami particolarmente forti e duraturi. In merito si evidenzia la richiesta, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, del superamento di un test finalizzato all'accertamento della conoscenza delle lingua italiana. Tale previsione trova fondamento nell'intenzione del legislatore di verificare l'integrazione del richiedente nel tessuto sociale italiano, attraverso il livello di conoscenza della lingua italiana.

Da ultimo deve segnalarsi che a seguito di una modifica della disciplina intervenuta nell'anno 2012, lo straniero che entra per la prima volta in Italia è tenuto a sottoscrivere al momento della presentazione della domanda di rilascio del permesso di soggiorno un accordo di integrazione (d.lgs. n. 286 del 1998, art. 4 bis, cit.). Il fine è quello di favorire e promuovere la convivenza tra italiani e stranieri, nel rispetto dei valori costituzionali, attraverso il reciproco impegno alla partecipazione alla vita economica, sociale e culturale del Paese. Nella sua applicazione concreta l'accordo, alla cui sottoscrizione è subordinato il rilascio del permesso di soggiorno, consta nell'onere per lo straniero di acquisite una numero determinato di crediti, tramite la frequentazione di corsi di educazione civica o di italiano , ad esempio, per il raggiungimento di specifici obiettivi di integrazione. Al momento della sottoscrizione dell'accordo sono forniti 16 crediti di partenza che lo straniero si impegna a incrementare, ma che possono essere decurtati in caso di illeciti amministrativi, penali o fiscali e la cui perdita può comportare l'espulsione dello straniero.

Attualmente, l'incidenza pratica del “permesso a punti” è stata particolarmente limitata, attesa la mancanza di regolamentazione di attuazione che, ai sensi della legge, dovrebbe essere prevista con regolamenti ministeriali e per le limitate risorse umane ed economiche necessarie a tal fine.

Al di là delle critiche che possono essere mosse a un tale sistema, è stato da taluno sollevato il dubbio circa la legittimità costituzionale del ricorso allo strumento regolamentare in assenza di un quadro legislativo chiaro e vincolante, a causa della riserva di legge prevista dall'art. 10. co. 2 Cost. in tema di condizione giuridica dello straniero (v. UD I).