Unità didattica XIV - La cittadinanza italiana

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Corso: Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23
Libro: Unità didattica XIV - La cittadinanza italiana
Stampato da: Utente ospite
Data: domenica, 5 gennaio 2025, 22:34

Descrizione

Unità didattica XIV - La cittadinanza italiana

XIV.1. L'acquisto della cittadinanza italiana per nascita

Con il concetto di cittadinanza si indica sia uno status personale e soggettivo sia una forma di relazione giuridica tra l'individuo e lo Stato, in virtù della quale si crea una condizione di appartenenza e dalla quale discende un nucleo di diritti e di doveri, in parte, esclusivo appannaggio dei titolari dello status civitatis.

La disciplina dell'acquisto e della perdita della cittadinanza italiana è attualmente prevista dalla l. 5 febbraio 1992, n. 91, a cui si affianca il regolamento di esecuzione delle norme sulla cittadinanza, D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572 ed il regolamento recante la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana, D.P.R. 18 aprile 1994, n. 362.

Precedentemente la materia era regolata dalla l. 13 giugno 1912, n. 555, il cui impianto originario rifletteva l'assetto culturale e tradizionale dell'epoca, fondato sulla unicità della cittadinanza, intesa come forma di sudditanza nei confronti dello Stato, e sulla preminenza della figura maschile, con la previsione della trasmissione automatica nei confronti della moglie e dei figli. Appare evidente l'immediato contrasto di tali previsioni normative con le disposizioni costituzionali entrate in vigore in seguito: le numerose pronunce della Corte Costituzionale, recepite, con notevole ritardo nella l. 21 aprile 1983, n. 123, hanno reso inevitabile l'adozione di un nuovo atto legislativo in materia.


APPROFONDIMENTO 1 - Il principio di uguaglianza tra uomo e donna nella disciplina sulla cittadinanza


Ciò che non è mutato con l'intervento normativo del 1992 è la centralità della trasmissione della cittadinanza secondo il principio dello ius sanguinis, ovvero per nascita da genitore italiano, indipendentemente dal luogo ove essa avviene.

Il vincolo di filiazione che rileva a tali fini è quello giuridico e non quello naturale, che si perfeziona con il riconoscimento da parte dei genitori al momento della formazione dell'atto di nascita ed opera per legge. In caso di riconoscimento della filiazione in epoca successiva alla nascita o per dichiarazione giudiziale, la l. n. 91 del 1992, cit., art. 2, opera un distinguo nel caso in cui il soggetto beneficiario sia minore d'età oppure maggiorenne. Nel primo caso, l'acquisto della cittadinanza avviene in modo automatico, mentre nel secondo viene subordinato ad una dichiarazione di volontà dell'interessato, che deve intervenire entro un anno dal riconoscimento o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione. In entrambi i casi gli effetti dell'acquisto della cittadinanza hanno efficacia dalla nascita, in quanto trattasi di atti di mero accertamento di un fatto giuridico già verificatosi, quale la nascita da cittadino italiano.

Parzialmente diversa è, invero, la disciplina relativa all'adozione. Se, da un lato, infatti, la filiazione adottiva di un minore è pienamente equiparata a quella biologica, anche ai fini della trasmissione della cittadinanza italiana (l. n. 91 del 1992, cit., art. 3, co. 1), l'adozione del maggiorenne non comporta alcuna possibilità di trasmissione o acquisto della cittadinanza. L'unica conseguenza risulta essere una abbreviazione dei termini di residenza legale ininterrotta necessari per presentare la domanda di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione (l. n. 91 del 1992, cit., art. 9, co. 1 lett. b)).

Alla luce di quanto esposto, quindi, la trasmissione dello status civitatis avviene in modo automatico dagli ascendenti in favore dei discendenti, anche nel caso in cui per generazioni non siano stati esercitati i diritti specifici che ad essa conseguono, quale, ad esempio, il diritto di voto. Pertanto tale status può rimanere quiescente nel tempo ed essere fatto rivivere dall'interessato attraverso il mero espletamento di un procedimento amministrativo, finalizzato all'accertamento che, nel corso del tempo non vi sia stata perdita o rinuncia della stessa.

Posta quale regola generale la trasmissione della cittadina per ius sanguinis, sono altresì previste delle specifiche, quanto residuali, fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita sul Territorio Nazionale. Lungi dal voler aprire spirargli alla acquisizione della cittadinanza secondo la regola dello ius soli, tali fattispecie sono previste al fine di prevenire situazioni di apolidia (l. n. 91 del 1992, cit., art. 1, lett. b)). Pertanto, sono cittadini italiani per effetto della loro nascita sul Territorio della Repubblica, i figli di genitori ignoti o apolidi, nonchè i figli di cittadini stranieri che non possono, a causa della legislazione del loro Stato di origine, acquisirne la cittadinanza.

Di tutt'altra portata, nonché di maggiore incidenza pratica, è il caso dello straniero nato in Italia, che ha risieduto regolarmente sul Territorio Nazionale fino al compimento della maggiore età: entro un anno dal compimento del diciottesimo anno di età, egli può dichiarare presso il Comune di residenza di voler acquisire la cittadinanza italiana (l. 91 del 1992, cit., art. 4, co. 2).

Appare evidente che in tal caso, a differenza delle ipotesi esposte in precedenza, l'acquisto della cittadinanza non opera per legge, ma avviene a fronte di una espressione di volontà dell'interessato.

Difficoltà interpretative si sono riscontrate con riferimento al concetto di “residenza legale”, poiché tale espressione poteva, da un lato, riferirsi alla solo regolarità del soggiorno rispetto alle norme in materia di immigrazione, dall'altro, ritenere necessario non solo il possesso ininterrotto di un permesso di soggiorno, ma altresì l'adempimento delle formalità burocratiche utili ai fini dell'iscrizione anagrafica. Ogni dubbio in merito è stato fugato dall'entrata in vigore del D.P.R. n. 572 del 1993, cit., art. 1, co. 2) lett. a) che ha codificato esplicitamente questa seconda opzione.

Inoltre, il Consiglio di Stato ha affermato che ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana, il minore si considera regolarmente residente in Italia, se la nascita è stata tempestivamente denunciata all'Ufficio di stato civile del comune di residenza e se in tale momento i genitori erano in possesso di regolare permesso di soggiorno, condizione che deve perdurare sino all'acquisizione di un autonomo titolo da parte del minore (Cons. di Stato, parere del 06 novembre 1996, n. 940).

Sulla scorta di tali posizioni, la regolare residenza ininterrotta poteva essere provata solo a fronte della continuità della iscrizione anagrafica dalla nascita sino al raggiungimento della maggiore età, onere particolarmente gravoso, soprattutto se si tiene a mente che non è infrequente che l'iscrizione anagrafica non avvenga in modo tempestivo ovvero che si verifichino interruzioni nella continuità della residenza, pur non venendo meno i requisiti della regolarità del soggiorno. Pertanto, si è resa necessaria, ai fini della tutela dell'interesse superiore del minore, identificato nella valorizzazione del significativo percorso di integrazione da questo posto in essere, un alleggerimento delle regole probatorie sopra evidenziate.

Sulla scorta di tali considerazioni si è mosso sia il Ministero dell'Interno, attraverso l'adozione di specifiche circolari (Circolare del Ministero dell'Interno, 07 novembre 2007, n. 22/07), sia la giurisprudenza, ammettendo l'interessato a provare la continuità della propria residenza attraverso il ricorso a mezzi diversi rispetto alle sole certificazioni anagrafiche (Tribunale di Imperia, 10 settembre 2012, rg. n. 1295/2011).

Il legislatore ha recepito tale iter interpretativo con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69, art. 33, convertito con modificazioni nella l. 09 agosto 2013, n. 98.

La rilevanza di tale forma di acquisto della cittadinanza italiana, con ogni probabilità non era stata pienamente apprezzata dal legislatore del 1992, atteso che, in allora, il fenomeno migratorio in Italia era appena iniziato. Ad oggi, la sua effettiva incidenza assume un nuovo e più pregnante significato a fronte del fisiologico aumento di cittadini stranieri di cd. seconda generazione già nati sul territorio nazionale.

Si vedano sul punto i dati sulle acquisizioni e concessioni della cittadinanza italiana.


APPROFONDIMENTO 2 - Ius soli e ius culturae. Le recenti proposte di modifica della legge sulla cittadinanza 

XIV.2. L'acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio

Il coniuge straniero del cittadino italiano può acquisire la cittadinanza italiana dopo due anni di legale residenza sul Territorio Nazionale ovvero tre anni dopo la celebrazione del matrimonio, qualora la coppia risieda all'estero, termine che si dimezza con la nascita di figli (l. n. 91 del 1992, cit., art. 5).

La determinazione del dies a quo per il calcolo del termine per la presentazione della domanda, individuato nel giorno della celebrazione del matrimonio se contratto con cittadino italiano per nascita, varia nel caso in cui il coniuge sia divenuto italiano per naturalizzazione. Secondo l'orientamento del Ministero dell'Interno (Circolare del Ministero dell'Interno, 02 novembre 2009, n. 14423), detto termine, decorre dal giorno della concessione della cittadinanza italiana del coniuge, senza che rilevi il fatto che il rapporto di coniugio sia sorto in precedenza.

Le cause di preclusione dell'acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio sono tassative ( l. 91 del 1992, cit., art. 6):

L'intervento della riabilitazione, di cui agli artt. 683 c.p.p. e 178 e 179 c.p., la cui dichiarazione comporta l'estinzione del reato e di tutti i suoi effetti penali, permette il buon fine della procedura.

Inoltre, a seguito delle modifiche introdotte dalla l. 15 luglio del 2009, n. 94, è altresì richiesto che al momento dell'acquisto della cittadinanza italiana non sia intervenuta la separazione personale dei coniugi ovvero non si sia verificata una causa di scioglimento del matrimonio – decesso del cittadino italiano o divorzio. La ratio di tale previsione è da ricercarsi nella volontà del legislatore di scongiurare la prassi dei matrimoni fittizi, contratti al solo fine di ottenere lo status civitatis, atteso che, prima della novella legislativa, era possibile presentare l'istanza di acquisto della cittadinanza italiana dopo solo sei mesi di matrimonio e non era richiesto il perdurare del rapporto di coniugio sino alla conclusione del procedimento amministrativo.

L'autorità amministrativa competente per l'emanazione dei provvedimenti di acquisto e di rigetto della cittadinanza italiana per matrimonio è la Prefettura territorialmente competente rispetto al luogo di residenza dell'interessato, fatta eccezione delle ipotesi di diniego per motivi inerenti alla sicurezza dello Stato, ove rivive la competenza generale del Ministero dell'Interno (Ministero dell'interno, Direttiva 07 marzo 2012).

Il termine per la conclusione del procedimento di riconoscimento della cittadinanza per matrimonio è di 3 anni. Per il riconoscimento della cittadinanza è altresì necessario conseguire la certificazione della conoscenza della lingua italiana di un livello non inferiore al B1. Sono esonerati coloro i quali hanno conseguito in Italia un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione superiore, pubblico o paritario, coloro i quali hanno sottoscritto il contratto di soggiorno ed i titolari del permesso di soggiorno UE per cittadini di lungo periodo.



XIV.3. La concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione e le altre forme di acquisto della cittadinanza

Lo straniero regolarmente residente sul territorio nazionale può presentare istanza di concessione della cittadinanza italiana decorso un termine prestabilito, indice di una forma di “naturalizzazione”, in virtù del quale si suppone che il richiedente abbia maturato un livello di integrazione nel tessuto sociale italiano e di attaccamento al territorio nazionale tale da rendere opportuna la concessione dello status civitatis (l. n. 91 del 1992, cit., art. 9).


Tale termine varia a seconda della posizione soggettiva dell'interessato:

Cittadino extracomunitario

10 anni di residenza legale

Apolide

5 anni di residenza legale

Cittadino extracomunitario avente lo status di rifugiato

5 anni di residenza legale

Cittadino extracomunitario adottato da maggiorenne da cittadino italiano

5 anni di residenza legale

Cittadino comunitario

4 anni di residenza legale

Cittadino extracomunitario nato sul territorio nazionale (al di fuori delle ipotesi l. n. 91 del 1992, cit., art. 4, co. 2)

3 anni di residenza legale

Cittadino extracomunitario con ascendenti italiani per nascita (al di fuori delle ipotesi di cui alla l. n. 91 del 1992, cit., art. 4)

3 anni di residenza legale


Come per l'acquisto della cittadinanza italiana ai sensi della l. n. 91 del 1992, cit., art. 4, co. 2, anche nel caso della naturalizzazione del cittadino straniero, per residenza legale si intende la residenza anagrafica: tuttavia, con riferimento alla fattispecie in esame tale regolarità può essere provata solo attraverso la presentazione della documentazione anagrafica comprovante la continuità della residenza per tutto il periodo richiesto dalla norma, senza che si possa ricorrere ai temperamenti previsti dalle ultime modifiche legislative.

Inoltre, la concessione della cittadinanza per naturalizzazione è subordinata non solo all'accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla legge, ma altresì alla presenza di elementi tali da far ritenere che lo straniero abbia raggiunto un livello sufficiente di integrazione nel tessuto sociale e culturale italiano (T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 18 aprile 2012, n. 3547; Cons. Stato, Sez. VI, 09 novembre 2011, n. 5913). Pertanto in capo al Ministero dell'Interno, competente per l'espletamento dell'istruttoria, permane un ampio potere discrezionale nell'identificazione di tali elementi ed i motivi di rigetto dell'istanza possono essete i più svariati: il possesso da parte dell'interessato di redditi troppo bassi e ritenuti insufficienti per il proprio sostentamento (T.A.R. Lazio, Sez. II, 9 maggio 2012, n. 4189; T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 09 luglio 2013, n. 6761),

la commissione di reati, anche se risalenti nel tempo e di natura colposa, ovvero per la vicinanza - senza alcuna rilevanza penale - a partiti o organizzazioni ritenute pericolose per la sicurezza dello Stato (Cons. Stato, Sez. III, 16 novembre 2011, n. 6046).

Anche per la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione la procedura si deve concludere entro 3 anni ed è richiesta la conoscenza della lingua italiana con livello non inferiore al B1 - riferimento certificazione linguistica europea. Valgono le medesime esenzioni previste per il riconoscimento per matrimonio.

Il decreto di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione è adottato dal Presidente della Repubblica su proposta del Ministro dell'Interno, sentito il Consiglio di Stato, e perde efficacia se non è seguito, entro sei mesi dalla notificazione all'interessato, dal giuramento di fedeltà alla Repubblica e di rispetto della Costituzione e delle leggi dello Stato (l. n. 91 del 1992, cit. art. 10). Il provvedimento di diniego è, invece, emesso direttamente dal Ministero dell'Interno.


Infine, residuano alcune fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per beneficio di legge.

Tali casi, eterogenei tra di loro, si verificano qualora lo straniero o l'apolide, discendente in linea retta da un cittadino italiano per nascita, indipendentemente dalle cause per cui ha perso la cittadinanza italiana, può riacquistarla, previa dichiarazione di volontà, nel caso in cui:

In tutti questi casi, al verificarsi delle condizioni sopra esposte, l'acquisto della cittadinanza è automatico, senza che l'Amministrazione statale possa imporre il proprio potere discrezionale.

Alle ipotesi di acquisto della cittadinanza per legge deve aggiungersi quanto previsto dalla l. n. 91 del 1992, cit., art. 14, ove si prevede che diventino automaticamente italiani i figli minori conviventi con chi acquista, in qualsiasi modo, la cittadinanza italiana.


L'impugnazione dei provvedimenti di rigetto della richiesta di attribuzione, acquisto o concessione della cittadinanza italiana era suddivisa tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa.

I Tribunali Amministrativi Regionali sono competenti in relazione alle controversie relative alla concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, ove il potere della Amministrazione è ampiamente discrezionale ed in capo all'interessato è riscontrabile un mero interesse legittimo (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Trento, Sez. Unica, 28 luglio 2012, n. 263T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 19 aprile 2011, n. 3441). Dopo diversi anni di giurisprudenza contrastante, attualmente la competenza per territorio è pacificamente radicata nel TAR Lazio.

Le controversie di acquisto della cittadinanza italiana a seguito di matrimonio,di attribuzione, così come di perdita, dello status civitatis per nascita, per legge ovvero conseguenti alla dichiarazione di volontà dell'interessato sono di competenza del giudice ordinario, vertendo in tema di diritti soggettivi. 

A seguito della emanazione del d.l.n. 13 del 2017, cit. e della sua conversione in l. n. 46 del 2017, cit., la competenza è attribuita alle Sezione specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea presente presso il circondario di Corte d'Appello in relazione alla dimora del ricorrente. 


APPROFONDIMENTO 3 - La perdita e la revoca della cittadinanza italiana


CURIOSITA' - Come funziona negli altri Paesi UE? L'acquisizione della cittadinanza in Francia, Germania, Regno Unito e Spagna


XIV.4. Lo status di apolide

Con il concetto di apolidia si indica lo status di chi non può essere riconosciuto come cittadino secondo l'ordinamento giuridico di nessuno Stato.

L'apolidia può essere originaria o successiva: nel primo caso, la persona è apolide sin dalla nascita, mentre nel secondo viene, in seguito, privato della cittadinanza.

Le cause che possono portare alla condizione di apolidia sono le più diverse: la modifica dei confini territoriali ovvero della sovranità dello Stato; atti di privazioni arbitraria della cittadinanza nei confronti di gruppi o singoli individui; conflitti di legge statali (nei confronti dei figli di stranieri nati all'estero ovvero in caso di perdita della propria cittadinanza e mancata acquisizione di quella del coniuge a seguito di matrimonio); rinuncia individuale; la filiazione di apolidi.

La principale fonte della disciplina dell'apolidia è la Convenzione di New York sullo status degli apolidi del 28 settembre 1954, ratificata in Italia con la l. 1 febbraio 1962, n. 306, alla quale si affianca la Convenzione di New York sulla riduzione della apolidia del 30 agosto 1961, ratificata dall'Italia con la l. n. 162 del 29 settembre 2015.

Lo strumento normativo internazionale del 1954 è di particolare rilevanza, se si considera che non esiste, né nell'ordinamento italiano né in quello europeo, una normativa organica in materia. Pertanto, le disposizioni che disciplinano le procedure di riconoscimento di tale status così come la condizione giuridica dell'apolide devono essere ricercate in vari testi normativi che prevedono specifiche norma in materia.

L'art. 22 Cost. prevede che nessuno possa essere privato della propria cittadinanza per motivi politici, divieto che nasce nel ricordo dei costituenti delle odiose normative fasciste in tema di confino ed esilio.

Inoltre, la normativa in materia di cittadinanza italiana prevede specifiche disposizioni volte, da un lato, ad evitare il sorgere di forme di apolidia originaria, attraverso il conferimento della cittadinanza per nascita in favore del figlio di genitori apolidi (l. n. 91 del 1992, cit., art. 1), dall'altro, a limitare il perdurare di tale condizione, prevedendo in favore dell'apolide un termine abbreviato per la presentazione della domanda di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione (l. n. 91 del 1992, cit., art. 9, co. 1 lett. e)).

L'apolide, al pari del cittadino extracomunitario può, al ricorrere delle condizioni richieste, godere della protezione internazionale: in tal caso, tuttavia, la sua condizione giuridica sarà quella prevista in favore del rifugiato ovvero del soggetto ammesso al godimento della protezione sussidiaria e non potrà accedere alle procedure di riconoscimento dello status di apolide. In tal caso, essendo sconosciuto il Paese di origine dovrà farsi riferimento al paese di dimora abituale (v. UD VII e IX).

Il riconoscimento della apolidia può avvenire in via amministrativa ed in via giudiziale. Le due procedure sono sia alternative che consequenziali. Da un alto, infatti, l'interessato può decidere di intraprendere sin dall'inizio la procedura giudiziale di riconoscimento del proprio status di apolide, senza che sia necessaria il previo esperimento della via amministrativa, dall'altro, il provvedimento di diniego del riconoscimento amministrativo della apolidia può essere impugnato avanti alla autorità giudiziaria ordinaria, che annullato il decreto negativo, può riconoscere in via giudiziale lo status invocato (Cass. Civ., S.U., 9 dicembre 2008, n. 28873).

L'accertamento in via amministrativa della condizione di apolidia avviene su istanza di parte presentata al Ministero dell'Interno, corredata dall'atto di nascita, dalla copia della certificato di residenza e del titolo di soggiorno posseduto nonché di tutta la documentazione in possesso dell'interessato utile al fine di dimostrare la sua condizione di apolidia (D.P.R. n. 572 del 1993, cit., art. 17). Appare evidente il limite principale di tale procedimento: soltanto chi è già in possesso di un titolo di soggiorno e, conseguentemente, ha potuto richiedere l'iscrizione anagrafica presso il Comune di residenza può accedere a tale procedura, circostanza che non sempre può essere agevolmente adempiuta da parte di chi si trova privo del riconoscimento della cittadinanza da parte del proprio Paese di origine, soprattutto perchè spesso è privo di un valido documento di identità. Pertanto, deve ritenersi quasi certamente preclusa la via di riconoscimento dello status di apolide nei casi di apolidia originaria, mentre potrà accedervi più facilmente lo straniero che, già regolarmente residente sul Territorio Nazionale, venga privato della propria cittadinanza per cause sopravvenute.

Per quanto, attiene, invero alla procedura di riconoscimento dell'apolidia in via giudiziale con l'emanazione del d.l.n. 13 del 2017, cit. e della sua conversione in l. n. 46 del 2017, cit., le controversie in materia di accertamento dello status di apolidia - come quelle in materia di cittadinanza - sono regolate  dal rito sommario di cognizione ai sensi dell'art. 702 bis. ed  è competente la Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea presso il Tribunale ordinario nel capoluogo del  circondario di Corte d'Appello di dimora il ricorrente.

Tali disposizioni sono in vigore dal 18 febbraio 2017.


In entrambe le ipotesi di riconoscimento dello status di apolide l'onere di provare il mancato possesso di una cittadinanza grava in capo al richiedente. Ovviamente, l'ambito di prova non riguarda tutti Paesi del mondo, ma soltanto quelli con i quali l'interessato ha intrattenuto relazioni significative, quale quello di nascita, di origine dei proprio genitori ovvero di stabile residenza o dimora.

In merito la giurisprudenza è concorde nel ritenere che il livello di prova richiesto è attenuato, ritenendo che possa considerarsi sufficiente una mera prova indiziaria circa l'impossibilità del richiedente di ottenere il riconoscimento della cittadinanza da parte dello Stato ovvero dei Paesi con cui ha intrattenuto rapporti significativi (Cass. Civ., Sez. I, 08 novembre 2013, n. 25212Cass. Civ., Sez. I, 21 giugno 2013, n. 15679Tribunale di Roma, Sez. I Civ., 23 dicembre 2011, n. 375Corte d'Appello di Firenze, Sez. I Civ., 17 novembre 2009, n. 1654).

Nelle more dell'accertamento della condizione di apolide, al richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per attesa riconoscimento della apolidia solo qualora egli sia già in possesso di un valido titolo di soggiorno (D.P.R. n. 394 del 1999, cit., art. 11, co. 1 lett. c)).

A seguito, invece, del riconoscimento dell'apolidia è rilasciato un permesso di soggiorno che permette l'attività lavorativa del titolare, oltre che ad un titolo di viaggio per apolidi, documento equipollente al passaporto.

La condizione giuridica dell'apolide riconosciuto è, in parte, regolata dalla normativa in materia di immigrazione, in parte, equiparata a quella dei cittadini.

Il d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 1, prevede espressamente che le disposizioni ivi contenute si applichino anche agli apolidi, i quali, come già esposto, hanno diritto al rilascio di un permesso di soggiorno e possono accedere, alle medesime condizioni dei cittadini extracomunitari, alla procedura di ricongiungimento familiare. Inoltre, in ossequio alle disposizioni della Convenzione del 1954, cit., l'apolide sottostà alle medesime regole previste per i cittadini extracomunitari in tema di lavoro autonomo e subordinato, libertà di circolazione all'interno del territorio dello Stato, accesso all'edilizia popolare ed all'istruzione superiore ed universitaria.

Per quanto attiene alla possibilità di espulsione dell'apolide, ferme restando le difficoltà pratiche ad essa connesse, questa può avvenire solo per motivi di ordine pubblico o sicurezza nazionale.

A tutela della posizione dell'apolide, la Convenzione del 1954, cit., prevedeva che l'interessato fosse equiparato al cittadino n materie quali il trattamento dei lavoratori, la libertà religiosa, l'istruzione scolastica obbligatoria, l'accesso alla giustizia e la previdenza sociale, ambiti dell'ordinamento che ad oggi prevedono un trattamento di parità anche in favore dei cittadini stranieri.

Peculiarità della condizione giuridica dell'apolide era prevista nell'obbligatorietà, al pari dei cittadini italiani, dell'assolvimento del servizio militare.



APPROFONDIMENTO 1 - Il principio di uguaglianza tra uomo e donna nella disciplina della cittadinanza

La l. n. 555 del 1912, cit., in tema di cittadinanza rispecchiava i principi fondanti della società dell'epoca e poneva in una posizione di preminenza la figura del marito e del padre che era l'unico a trasmettere ius sanguinis la cittadinanza italiana al coniuge a seguito del matrimonio ed ai figli al momento della nascita.

Tale distinzione rimase in vigore per diversi anni dopo l'adozione della Costituzione, nonostante la previsione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

Solo con la piena revisione del diritto di famiglia, a cui si è accompagnato un cambiamento della posizione della donna nella società, interviene in merito la Corte Costituzionale.

Tra le varie pronunce demolitrici della normativa allora in vigore in tema di cittadinanza, si richiamano:

  • sentenza del 09 aprile 1975, n. 87: dichiarata l'illegittimità della norma che prevedeva l'automatica perdita della cittadinanza della donna che acquisiva la cittadinanza del marito straniero dopo il matrimonio;

  • sentenza del 29 gennaio 1983 n. 30: dichiarata incostituzionale la l. n. 555 del 1912, cit., nella parte in cui si prevedeva che la trasmissione della cittadinanza in linea materna avvenisse solo nel caso in condizioni residuale, quando non fosse possibile la trasmissione della cittadinanza del padre – perchè ignoto o apolide.

La portata pratica di tale sentenza, atteso l'effetto ex tunc delle pronunce dichiarative della illegittimità costituzionale di una norma, non è stato di agevole portata. Occorreva, infatti, definire lo status civitatis di tutti i figli di madre italiana già nati al momento della pubblicazione della sentenza, tenuto conto che la norma in questione era entrata in vigore ben prima della Costituzione e del principio di uguaglianza e non discriminazione in base al sesso, ivi previsto,

In merito prevalse l'opinione che l'effetto retroattivo della sentenza n. 30 del 1983 non potesse spingersi oltre la data di entrata in vigore della Costituzione, avvallando un orientamento costituzionale della Corte di Cassazione consolidato anche in altri ambiti del diritto (Tra tutte si veda Cass. Civ., S.U., 27 novembre 1998, n. 12061). 

Sul punto deve, tuttavia, darsi atto di un recente mutamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo cui anche il figlio di cittadina italiana nato antecedentemente al 01 gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, deve considerarsi cittadino italiano (Cass. Civ. S.U., 03 febbraio 2009, n. 4466).

Appare evidente la rilevanza delle conseguenze di tali posizioni giurisprudenziali, soprattutto se si considera che la trasmissione della cittadinanza per nascita avviene automaticamente tra le generazioni e può essere fatta rivivere facilmente, attraverso una mera procedura amministrativa, anche a distanza di anni dalla morte del primo capostipite italiano.

Solo con la l. 21 aprile 1983, n. 123 il legislatore è intervenuto per eliminare definitivamente ogni forma di discriminazione tra uomo e donna nella trasmissione della cittadinanza ai figli o per coniugio.


APPROFONDIMENTO 2 - Ius soli e ius culturae. Le recenti proposte di modifica della legge sulla cittadinanza.

L'Italia, Paese di forte emigrazione per la gran parte del XX secolo sia interna che esterna, conosce le prime ondate migratorie alla fine degli anni '80. Grazie ad una legislazione in allora più favorevole rispetto a quella di altri Paesi europei, che già nei decenni passati avevano sperimentato l'ingresso di cittadini stranieri sul proprio territorio, l'Italia comincia ad attrarre un numero sempre maggiore di migranti economici, provenienti prevalentemente dai Balcani e dai Paesi nel Nord Africa, in particolare dal Marocco.

Sebbene inizialmente i flussi migratori erano rappresentati principalmente da uomini alla ricerca di occupazione, verso la fine degli anni '90, divennero sempre più frequenti gli ingressi di interi nuclei familiari, anche attraverso il meccanismo del ricongiungimento familiare.

Tale circostanza è un chiaro segnale di una progressiva stabilizzazione sul territorio nazionale da parte della popolazione straniera: non si cerca di trarre dalla migrazione il maggior vantaggio economico ai fini di un rientro in Patria, ma piuttosto si pongono le basi per un consolidamento dei legami con il territorio italiano ai fini di una completa integrazione anche del nucleo familiare ricostituito o creato in Italia .

La stabilizzazione della popolazione straniera è apprezzabile sotto numerosi profili, come ad esempio l'incremento del rilascio di titoli di soggiorno a durata illimitata - permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo - di cui, al primo gennaio 2022.  ne sono in possesso due terzi dei cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia. 

A fronte di una così significativa stabilizzazione sul territorio italiano della popolazione migrante, non può non evidenziarsi il conseguente aumento di minori di nazionalità straniera che nascono e crescono in Italia.

In tale contesto ben si comprende perché sia divenuto sempre più attuale il dibatto in merito alla necessità di modificare la normativa in materia di acquisizione della cittadinanza per nascita, in parte già prevista in due fattispecie dalla l. 91 del 1992, cit., artt. 4, co. 2 e 9.

Il 13 ottobre 2015 la Camera dei Deputati ha approvato il disegno di legge n. 2092 per la modifica delle disposizioni della normativa in materia di acquisto della cittadinanza italiana, che ora è al vaglio del Senato.

Il testo di legge si concentra sulla questione relativa alla acquisizione della cittadinanza italiana da parte dei minori.

In particolare vengono presi in considerazione due aspetti: la nascita sul territorio nazionale (ius soli) e la frequentazione costante e completa di uno o più cicli di istruzione in Italia (ius culturae).

Per quanto attiene al primo ambito, secondo la proposta richiamata, acquista la cittadinanza italiana lo straniero nato in Italia da genitori stranieri, di cui almeno uno titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.

La procedura di acquisizione si fonda sulla dichiarazione di volontà espressa da un genitore o di chi esercita la potestà genitoriale entro il compimento della maggiore età dell'interessato. Nel caso in cui ciò non avvenga, quest'ultimo potrà, comunque, esprimere personalmente la propria volontà di acquisire la cittadinanza italiana entro due anni dal compimento del diciottesimo anno di età.

Tale previsione normativa non potrà trovare applicazione nei confronti dei cittadini europei atteso il necessario possesso di un titolo di soggiorno a tempo indeterminato che può essere rilasciato solo nei confronti di cittadini extraeuropei.

Per quanto attiene, invece, al cd ius culturae, la proposta mira a valorizzare il percorso di integrazione scolastico e formativo del minore, nato in Italia o entrato sul territorio nazionale prima del dodicesimo anno di età. Ai fini, infatti, della acquisizione della cittadinanza italiana il disegno di legge richiede la frequentazione regolare di uno o più cicli di istruzione ovvero la frequentazione di corsi di formazione professionali di durata triennale o quadriennale.

La procedura di acquisto della cittadinanza è analoga al caso precedente e, a tali fini, è richiesta la regolarità del soggiorno del genitore del minore titolare dei requisiti richiesti che esprime in sua vece la dichiarazione di volontà.

A fronte della dichiarazione di volontà dell'interessato, o di chi ne esercita la patria potestà, e della sussistenza dei requisiti richiesti, l'acquisto della cittadinanza italiana è automatico e non residuano profili di discrezionalità per l'autorità chiamata a decidere, che in entrambi i casi è il Comune di residenza dell'interessato.


Oltre a tali fattispecie è prevista l'introduzione di una nuova ipotesi di concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione, rivolta ai minori stranieri che hanno fatto ingresso in Italia prima del diciottesimo anno di età e vi hanno risieduto regolarmente per almeno sei anni. Anche in questo caso viene valorizzato il percorso di integrazione attraverso l'istruzione e la formazione, ma oltre alla frequentazione del ciclo di studi o del corso di formazione è richiesta il conseguimento del titolo conclusivo del corso di istruzione ovvero della qualifica professionale.

A differenza delle ipotesi precedenti, residua in capo al Ministero dell'Interno un potere decisionale di carattere discrezionale.

Più recentemente è passato al vaglio del Parlamento una nuova proposta di modifica della normativa in materia di cittadinanza che unifica le varie proposte susseguitesi negli anni e si concentra sull'inserimento della sola nuova fattispecie dello ius scholae come sopra descritto. 

Ad oggi non è stato approvata alcun modifica alla l. 91 del 1992, cit. 

CURIOSITA' - Rapporto esplicativo della proposta di legge e analisi comparativa Spagna, Germania, Francia e Regno Unito

APPROFONDIMENTO 3 - La perdita ed il riacquisto della cittadinanza italiana

La l. n. 91 del 1992, cit., non si limita a disciplinare le modalità di acquisto, trasmissione e concessione della cittadinanza italiana, ma individua anche i casi in cui la stessa può venire meno.

La perdita della cittadinanza avviene, nella quasi totalità dei casi, per volontà dell'interessato, che, a fronte dell'acquisto della cittadinanza di un altro Stato e dello stabilimento della residenza all'estero può decidere di di rinunciare a quella italiana (l. n. 91 del 1992, cit., art. 11). Tuttavia, è altresì prevista la perdita della cittadinanza quale sanzione nei confronti del cittadino che manifesti palesi sentimenti contrari alla lealtà ed alla fedeltà alla patria. Ad esempio, perde la cittadinanza italiana, colui il quale, in tempo di pace, non abbandoni un impiego o una carica pubblica assunta in uno Stato straniero, nonostante l'intimazione del Governo italiano, ovvero, in tempo di guerra, assolva volontariamente il servizio di leva in favore di un Paese nemico (l. n. 91 del 1992, cit., art. 12). In tale ultimo caso la cittadinanza non può più essere riacquistata, mentre negli altri casi la stessa viene nuovamente acquisita dopo un anno dalla data in cui viene stabilita nuovamente la residenza in Italia ovvero attraverso dichiarazioni di rettifica del proprio comportamento inottemperante (l. n. 91 del 1992, cit., art. 13).

Il d.l. n. 113 del 2018, cit.,, come convertito nella l. n. 132 del 2018, cit., ha introdotto una nuova fattispecie di revoca della cittadinanza nei conforti di chi, acquisita la nazionalità italiana per elezione, matrimonio o naturalizzazione ai sensi della l. 91 del 1992, artt. 4 co. 2, 5 e 9, cit., sia stato condannato in via definitiva per determinati reati particolarmente gravi, tra i quali alcuni delitti contro la personalità dello Stato, il reato di associazione a delinquere anche di tipo mafioso e per il traffico di stupefacenti, il reato di strage e e di sequestro a scopo di rapina o estorsione.