Unità Didattica XVI - L'espulsione e la sua esecuzione
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Corso: | Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23 |
Libro: | Unità Didattica XVI - L'espulsione e la sua esecuzione |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | domenica, 5 gennaio 2025, 22:57 |
XVI.1. L'espulsione amministrativa
L’espulsione amministrativa può essere di due tipi: ministeriale o prefettizia.
L’espulsione ministeriale, così denominata perché disposta dal Ministro dell’Interno è prevista per “motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 1, cit.) o per “motivi di prevenzione del terrorismo” ( d.l. 27.07.2005, n. 144, art. 3 co. 1, come convertito in l. n. 155 del 31 luglio 2005).
Nella prima ipotesi, l’espulsione può avere come destinatario uno straniero, anche non residente in Italia o titolare di un permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Va comunicata al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri.
Nella seconda ipotesi la decisione può essere assunta non solo dal Ministro dell’Interno, ma anche dal Prefetto su sua delega.
In entrambi i casi si tratta di provvedimenti altamente discrezionali, a tutela di interessi fondamentali dello Stato, difficilmente sindacabili in sede giurisdizionale, seppur sia possibile esperire ricorso al TAR. Presentano presupposti ampi e generici (soprattutto la prima previsione), determinano l’espulsione immediata senza possibilità di sospensiva e prevedono un divieto di reingresso di almeno 5 anni e del tutto indeterminato nel massimo.
Le espulsioni prefettizie sono state oggetto di un importante intervento di riforma a seguito della approvazione d.l. n. 89 del 23 giugno 2011, come convertito nella l. n. 129 del 2 agosto 2011 in attuazione della direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri. Come sottolineato da tutti i commentatori, l’attuazione italiana della direttiva rimpatri è stata largamente insufficiente e non ha modificato i pilastri del sistema espulsivo come invece avrebbe dovuto accadere.
L’espulsione viene disposta sempre “caso per caso”. L’indicazione “caso per caso” implica che il Prefetto debba valutare le circostanze della situazione specifica e motivare di conseguenza l’adozione del provvedimento (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2, cit.).
Le tipologie di espulsione sono le seguenti:
1) Espulsione per ingresso irregolare
È prevista l’espulsione per lo straniero entrato nel territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera, senza essere stato respinto (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett.a), cit.). Vi sono quindi due presupposti, uno positivo (l’ingresso nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera) e uno negativo (la mancata adozione di un decreto di respingimento). Le regole che disciplinano l’ingresso regolare sono state già esaminate nella UD II, a cui si rinvia. Lo straniero che entra illegalmente nel territorio dello Stato, salvo che sia richiedente asilo o si trovi in altra situazione consentita dalla legge, oltre a trovarsi in condizione di soggiorno irregolare che comporta il provvedimento amministrativo di espulsione, commette anche il reato di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 10 bis, cit..
2) Espulsione per irregolarità di soggiorno
Sono diverse le ipotesi in cui lo straniero che permane sul territorio irregolarmente (anche se vi è entrato regolarmente) è passibile di espulsione.
Si tratta dei casi in cui lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett.b), cit.):
- senza avere chiesto il permesso di soggiorno entro gli 8 giorni lavorativi prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore;
- in caso di inottemperanza alla intimazione di recarsi immediatamente, o comunque entro sette giorni, nello Stato dell’Unione che gli ha rilasciato il titolo di soggiorno - in corso di validità - che gli conferiva il diritto di soggiornare in Italia. Questa situazione riguarda gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno in altro Stato UE che non hanno reso alla Questura entro 8 giorni dall’ingresso la dichiarazione di presenza e sono rimasti in Italia per oltre 3 mesi allo scadere dei quali non hanno ottemperato all'intimazione a lasciare il territorio (combinato disposto del d.lgs. 286 del 1998, art. 5, co. 7, 7 bis e 7 ter, cit.). In precedenza l'espulsione seguiva alla mancata dichiarazione di presenza. Oggi alla mancata dichiarazione consegue una sanzione amministrativa da 109 a 309 euro.
- quando il permesso di soggiorno è stato revocato dal Questore. Si tratta della situazione in cui un permesso valido viene revocato perché sono venuti meno i presupposti di legge che ne avevano permesso il rilascio o sono emersi nuovi elementi che ne richiedono la revoca (ad esempio una condanna penale cd. ostativa o la perdita di tutti i crediti previsti nell'accordo di integrazione);
- quando il permesso di soggiorno è stato annullato. Ciò accade quando il permesso di soggiorno è stato emesso ma illegittimamente, ad esempio perché lo straniero ha indicato l’esistenza di alcune situazioni che si sono rivelate non veritiere. A differenza della revoca, l’annullamento presuppone un permesso di soggiorno emesso illegittimamente;
- quando il permesso di soggiorno è stato rifiutato, sia nel caso di primo ingresso che nel caso di rinnovo. In questo caso lo straniero ha 15 giorni di tempo per lasciare il territorio dello Stato, decorsi i quali si emette il decreto di espulsione. Quindi se lo straniero si allontana non viene segnalato nel Sistema Informativo Schengen e non diventa destinato di un divieto di reingresso (su cui vedi subito oltre).
- quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. Va però tenuto presente che lo straniero in base al d.lgs. 286 del 1998, art. 30, cit. qualora abbia i requisiti per mantenere l’unità familiare e il permesso di soggiorno sia scaduto da meno di 1 anno non potrà essere espulso e il titolo di soggiorno originale potrà essere convertito in un permesso per motivi familiari.
- quando lo straniero si è trattenuto in Italia oltre il termine di novanta giorni (ovvero in quello più breve indicato nel visto) nei casi di ingresso per motivi di turismo, studio, visite o affari;
- in assenza della comunicazione prevista in caso di distacco di lavoratore straniero, dipendente da datore di lavoro avente sede all’estero, autorizzato ad entrare in Italia per il compimento di determinate prestazioni oggetto di contratto d’appalto (si tratta di una comunicazione prevista dal d.lgs. 286 del 1998, art. 27, co. 1 bis, cit. per alcuni casi particolari di ingresso per lavoro ex d.lgs. 286 del 1998, art. 27, cit.).
3) Espulsione per motivi di pericolosità sociale
Lo straniero può essere espulso (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett. c), cit.) se appartiene ad una delle categorie indicate nel d.l. n. 159 del 06 settembre 2011 cd Codice Antimafia).
Si tratta dei soggetti ritenuti pericolosi ai quali possono essere applicate le misure di prevenzione personale da parte del Questore o dell'autorità giudiziaria e le misure di prevenzione di carattere patrimoniale.
In questi casi, quindi, invece di adottare le misure di prevenzione, nei confronti dello straniero si dispone l’espulsione da parte dell’autorità amministrativa, senza alcun intervento, se non eventuale in caso di ricorso, dell’autorità giudiziaria.
L’espulsione prefettizia viene disposta con decreto motivato, immediatamente esecutivo. Come si è già detto, la motivazione dovrebbe essere particolarmente puntuale, dovendo l’autorità amministrativa giustificare l’adozione del provvedimento nel caso specifico.
Il decreto deve essere tradotto in un lingua conosciuta dall’espellendo e ove ciò non sia possibile in una delle tre lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo). Il decreto va notificato allo straniero che può proporre ricorso entro 60 giorni dalla notifica al Giudice di Pace del luogo in cui si trova l’autorità che ha disposto l’espulsione.
Il provvedimento di espulsione comporta un divieto di reingresso. Prima della riforma operata con il d.l. n. 89 del 23 giugno 2011, come convertito nella l. n. 129 del 2 agosto 2011 in attuazione della direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri, il divieto di reingresso era di 10 anni ma era data facoltà al Prefetto di ridurre il divieto a 5 anni.
Oggi la durata dei divieti di reingresso è tra 3 e 5 anni, su decisione del Prefetto in considerazione delle circostanze del caso. Il divieto vale anche nel caso di partenza volontaria (su cui vedi dopo nella parte relativa alle modalità di esecuzione), ma può essere revocato dalla stessa Prefettura qualora lo straniero ne faccia richiesta e dimostri l’avvenuta partenza entro il termine.
Il divieto di reingresso viene inserito con una segnalazione nel Sistema Informativo Schengen, attraverso la cui consultazione è possibile, quindi, per le forze di polizia sapere se la persona non può fare ingresso in forza del divieto di reingresso.
XVI.2. L'esecuzione dell'espulsione
La disciplina dell’esecuzione dell’espulsione è stata oggetto di modifica a seguito del più volte citato d.l. n. 89 del 2011, cit., come convertito nella l. n. 129 del 2011, cit. in attuazione della Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri. Come si vedrà, le modifiche avrebbero potuto essere ben più radicali ma il legislatore italiano ha optato per un recepimento minimale, volto a mantenere il più possibile ampie le ipotesi di esecuzione coattiva dell’espulsione.
Di recente d.l. n. 13 del 2107, cit., così come modificato in sede di conversione, ha cambiato la denominazione dei centri di detenzione amministrativa da centri di identificazione e espulsione (CIE) in centri di permanenza per i rimpatri (CPR). Nella prima unità della prossima settimana saranno presentati maggiori dettagli.
L’espulsione può essere eseguita mediante accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica o attraverso la partenza volontaria.
L’accompagnamento coattivo alla frontiera è disposto dal questore con decreto nei casi seguenti:
1) espulsione ministeriale (vd. sopra) o espulsione dello straniero socialmente pericoloso (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art 13, co. 2 lett. c));
2) espulsione giudiziaria (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., artt. 15 e 16);
3) in presenza di un pericolo di fuga;
APPROFONDIMENTO I - IL SIGNIFICATO DI PERICOLO DI FUGA
4) quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta;
5) quando lo straniero, senza giustificato motivo, non ha osservato il termine concesso per la partenza volontaria in base al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.5;
6) qualora lo straniero abbia violato una delle misure coercitive disposte dal questore in occasione della concessione del termine per la partenza volontaria o in alternativa al trattenimento in un centro di detenzione amministrativa, ora denominato centro di permanenza per i rimpatri - CPR (d.lgs. 286 del 1998, cit., artt. 13, co. 5. 2 e 14, co. 5);
7) lo straniero non abbia chiesto il termine per la partenza volontaria (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.5.1).
L’accompagnamento coattivo alla frontiera non prevedeva alcuna convalida giurisdizionale, fino a quando la sua mancanza venne dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale 22 marzo 2001, n. 105.
A seguito di tale pronuncia il legislatore introdusse l’obbligo del questore di comunicare al Tribunale il provvedimento di espulsione entro 48 ore dalla sua adozione, dando al tribunale le successive 48 ore per convalidare o meno. Tale convalida però non ostacolava l’esecuzione dell’espulsione, di conseguenza anche in caso di mancata convalida lo straniero poteva già essere stato espulso.
Intervenne nuovamente la Corte Costituzionale 15 luglio 2004 n. 222 a decretare l’incostituzionalità delle nuove norme per violazione del diritto di difesa e della riserva di giurisdizione.
Il legislatore a questo punto riformò l’istituto della convalida introducendo il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.5 bis che prevede:
- l’obbligo del Questore di comunicare immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al Giudice di Pace competente il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera;
- la sospensione dell’esecuzione del provvedimento di espulsione fino alla decisione sulla convalida;
- l’udienza di convalida in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore (ma non obbligatoriamente dello straniero);
- la decisione con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l'osservanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal presente articolo e sentito l'interessato, se comparso.
In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in un centro di detenzione amministrativa (oggi denomiato CPR) (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 14), salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili.
Il giudizio di convalida deve verificare la legittimità dell’espulsione, l’assenza di uno dei divieti di espulsione, il rispetto dei termini (le 48 ore dall’adozione del provvedimento), la sussistenza dei requisiti per l’accompagnamento coattivo alla frontiera.
In caso di inosservanza lo straniero commette un reato punito con sanzione pecuniaria.
Nelle ipotesi in cui non venga disposto l’accompagnamento coattivo alla frontiera, lo straniero può chiedere al Prefetto la concessione di un termine per la partenza volontaria (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.5). Lo straniero è quindi tenuto a farne richiesta, se non lo fa ricorre l’espulsione coattiva (vedi ultimo caso di accompagnamento coattivo alla frontiera). Anche questa disposizione tende a ridurre le possibilità di effettivo operare della partenza volontaria. È previsto che le questure debbano dare adeguata informazione sulla facoltà di richiedere un termine per la partenza volontaria, mediante schede informative plurilingue (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co. 5.1) tuttavia la legge nulla dice sul contenuto di tali schede (ad esempio sul fatto che debbano informare anche sugli effetti del richiedere o meno la partenza volontaria) e sulla traduzione.
Il Prefetto intima allo straniero di lasciare volontariamente il territorio nazionale entro un termine tra i sette e i trenta giorni, termine che può anche essere prorogato, in base alle circostanze del caso concreto, per il periodo di tempo necessario, tenuto conto di elementi quali la durata del soggiorno sul territorio nazionale, l’esistenza di minori che frequentano la scuola, la presenza di altri legami familiari e sociali e l’ammissione a programmi di rimpatrio volontario e assistito (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.5).
Con la concessione del termine il Prefetto chiede allo straniero di dimostrare il possesso di risorse economiche derivanti da fonti lecite sufficienti a vivere per un importo proporzionato al termine concesso.
Dispone inoltre una o più delle seguenti misure:
1) la consegna del passaporto o di altro documento equipollente in corso di validità, che sarà restituito al momento della partenza;
2) l’obbligo di dimora in un luogo determinato, in cui possa essere agevolmente rintracciato;
3) l’obbligo di presentarsi, in giorni e a orari stabiliti, presso un ufficio della forza pubblica territorialmente competente (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co. 5.2).
Tali misure sono adottate con provvedimento motivato, che ha effetto dalla notifica all’interessato, recante l’avviso che lo stesso ha la facoltà di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida. Il provvedimento incide sulla libertà personale e per questo la norma prevede che esso sia comunicato al Giudice di Pace competente entro quarantotto ore e che, nelle successive quarantotto ore, esso debba essere convalidato se ne ricorrono i presupposti.
Qualora non vi siano i requisiti per dare corso a tale misura alternativa e non sia nemmeno possibile procedere con l'allontanamento coattivo alla frontiera, il cittadino straniero può essere trattenuto in un CPR, di cui si parlerà nell'UD XVII, la prossima settimana.
In estremo subordine, l'espulsione è eseguita con un provvedimento scritto del Questore che ordina allo straniero di lasciare il territorio nazionale nel termine di 7 giorni di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 14, co. 5 bis. In caso di inottemperanza sono previste sanzioni penali pecuniarie (l'argomento sarà affrontato la prossima settimana) e l’adozione di un nuovo ordine di espulsione.
Le differenze di tale istituto con la misura della partenza volontaria sono evidenti.
In tale caso si tratta di una misura di esecuzione dell'espulsione adottata dal Questore qualora non sia possibile disporre l'allontanamento coattivo alla frontiera del cittadino straniero nè il suo trattenimento presso un CPR - si pensi ai casi in cui sia raggiunta la capienza massima - oppure, nonostante la permanenza presso tale struttura, non sia stato comunque possibile procedere al suo allontanamento - ad esempio nel caso in cui non si sia riuscito ad identificare la persona in modo compiuto. Ovviamente in tal caso non è richiesto al consenso al cittadino straniero destinatario dell'ordine di lasciare il territorio. Questo provvedimento è adottato dal Questore.
In altri termini, nel momento in cui la Pubblica amministrazione non riesce ad espellere lo straniero, gli ordina di allontanarsi autonomamente. Va ricordato che questo ordine di allontanamento entro 7 giorni disposto dal Questore è una specificità della normativa italiana, inesistente nella direttiva rimpatri e in altre normative nazionali.
L’ordine del Questore deve essere accompagnato dalla consegna allo straniero della documentazione necessaria per raggiungere gli uffici della rappresentanza diplomatica del suo paese in Italia e di quella necessaria per rientrare nel proprio paese. Allo straniero può essere altresì consegnato il titolo di viaggio, anche su sua richiesta.
La partenza volontaria, invece, è una forma di esecuzione dell'espulsione prefettizia che tiene conto delle esigenze dello straniero nell'organizzare la propria partenza volontaria - a fronte della adozione di misure di garanzia alla sua effettiva partenza - e può essere concessa su richiesta dello straniero e solo in specifici casi, ove non vi siano altri interessi dello Stato prevalenti - tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica, rischio di fuga. Tale provvedimento è adottato dal Prefetto.
XVI.3. I limiti al potere espulsione e i divieti di respingimento ed espulsione
Esistono dei divieti di espulsione e dei limiti al potere di espulsione.
Le limitazioni all'espulsione del Prefetto in considerazione di particolari situazioni sono state introdotte nel 2007 e nel 2011.
La prima ipotesi, prevista dal d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co. 2 bis, introdotta con il d.lgs. 5 del 2007, cit. (di attuazione della Direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare) stabilisce che nelle ipotesi di espulsione per ingresso o soggiorno irregolare dello straniero che ha effettuato ricongiungimento famigliare o del famigliare ricongiunto il Prefetto debba tenere conto: 1) della natura ed effettività dei vincoli familiari dell’interessato; 2) della durata del suo soggiorno; 3) dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine.
Ciò significa che non solo si devono valutare le ragioni che legittimano l’espulsione ma si deve operare un bilanciamento tra le ragioni di interesse pubblico che impongono l’espulsione dello straniero e la tutela della famiglia.
La seconda ipotesi è stata introdotta dal d.l. n. 89 del 2011, cit., come convertito nella l. n. 129 del 2011, cit. in attuazione della Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri. Il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co. 2 ter prevede di non disporre l’espulsione (e di non eseguirla coattivamente se il decreto di espulsione è già stato emanato) nei confronti dello straniero identificato in uscita dal territorio dello Stato.
I divieti, invece, erano già previsti nel testo originario della legge del 1998, ma hanno subito alcune modifiche. I casi in cui sono vietati il respingimento e l’espulsione sono previsti al d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 19. Alcuni divieti valgono per entrambi i provvedimenti di allontanamento, altri invece riguardano soltanto l’espulsione.
Innanzitutto il d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 19, co. 1 e 1.1, primo periodo. prevede i casi di divieto assoluto di espulsione (per ogni tipo di espulsione) e respingimento, cioè le situazioni in cui in nessun caso lo straniero può essere allontanato dal territorio italiano. Sono i casi in cui l’espulsione o il respingimento riguardano:
1) uno Stato in cui lo straniero può essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali o sociali;
2) uno Stato in cui lo straniero può sottoposto ad atti di tortura. Rilevano a tali fini anche le situazioni di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani;
3) uno Stato in cui lo straniero può rischiare di essere a sua volta rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dal rischio di persecuzione per i motivi indicati ai punto precedenti.
La norma si applica a qualunque straniero che si trovi in questa situazione di pericolo, non solo a chi abbia presentato istanza di protezione internazionale.
Questo divieto assoluto è la concretizzazione nel diritto italiano del principio di non refoulement previsto dalla Convenzione di Ginevra (art. 33) sullo status dei rifugiati e dei principi stabiliti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, in particolare all’art. 3 per quanto riguarda i trattamenti inumani e degradanti e l’art. 4 del Protocollo n. 4 per il divieto di procedure di allontanamento collettive.
Una interessante pronuncia della corte Europea dei diritti dell’uomo (Hirsi Jamaa e altri c. Italia, 3.2.2012, ricorso n. 27765/09) dell’uomo ha sanzionato l’Italia per alcuni respingimenti collettivi avvenuti in acque internazionali. Si trattava di casi in cui le navi italiane avevano intercettato imbarcazioni di migranti e le avevano riaccompagnate verso la Libia.
Si veda la sintesi del caso e della pronuncia della Corte in questo articolo.
Il d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 19, co. 2 prevede alcuni casi in cui è vietata l’espulsione ma tale divieto non ha carattere assoluto, in quanto rimane salva la possibilità per lo Stato (nello specifico il Ministro dell’Interno) di adottare l’espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o per motivi di prevenzione del terrorismo (d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 13, co. 1). Tale divieto vale per le espulsioni disposte dal Prefetto e per le espulsioni a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione.
Non è ammessa l'espulsione:
- degli stranieri minori di diciotto anni, salvo il diritto a seguire il genitore o l’affidatario espulsi. È una misura prevista a protezione dei minori. Qualora il minore sia espulso per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o per motivi di prevenzione del terrorismo (caso più di scuola che altro) l’espulsione del minore può essere disposta solo con provvedimento disposto dal Tribunale per i minorenni. Il questore ha un mero potere propositivo (d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 13, co. 4);
- degli stranieri in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, tranne che ex d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 13, co. 1, nel caso in cui lo straniero appartenga a una categoria di soggetti socialmente pericolosi o se vi sono fondati motivi per ritenere che la sua permanenza possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali (d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 9, co. 10). L’attività amministrativa è discrezionale e si deve tener conto anche dell’età dell'interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell'espulsione per l'interessato e i suoi familiari, dell'esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell'assenza di tali vincoli con il Paese di origine (d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 9, co. 11);
- degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana. La tutela del diritto all'unità famigliare è alla base di questo divieto. Affinché il divieto operi deve sussistere l’effettività della convivenza. Tale requisito è indispensabile e nella prassi si tratta di un elemento oggetto di accertamenti minuziosi, al fine di contrastare il fenomeno dei cd. matrimoni di comodo;
- delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio cui provvedono, tranne che per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (d.lgs. 286 del 1998, cit.art. 13, co. 1). La ratio è la tutela della maternità e dei figli nell'immediatezza della nascita. Alla donna viene rilasciato un permesso per cure mediche che non consente l’esercizio di attività lavorativa, non è rinnovabile né convertibile. Tuttavia la titolarità di questo permesso di soggiorno permette di effettuare il ricongiungimento con il coniuge regolarmente soggiornante senza dover lasciare l’Italia e farvi nuovamente ingresso (UD V.3). Vista la ratio del divieto si comprende perché la Corte costituzionale abbia esteso il divieto di espulsione anche al marito convivente della donna in gravidanza e nei sei mesi successivi alla nascita. La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui non prevede che lo stesso divieto sia vigente per il marito convivente, in virtù della norma costituzionale che stabilisce “il diritto dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, e perciò di tenerli con sé, e il diritto dei genitori e dei figli minori ad una vita comune nel segno dell’unità della famiglia” (Corte Costituzionale, 27 luglio 2000, n. 376).
- dello straniero che versa in in gravi condizioni psicofisiche o derivanti da gravi patologie, tali da determinare un rilevante pregiudizio per la sua salute in caso di rimpatrio nel Paese di origine (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 19, co. 2 lett. d - bis).
Da ultimo si evidenzia che il d.l. 130 del 2020, cit., convertito in l. 173 del 2020, cit., ha altresì previsto il divieto di espulsione e respingimento qualora questo possa causare una violazione del diritto alla vita privata e familiare dello straniero. Anche in questo caso non è un divieto assoluto atteso che lo Stato può esercitare il proprio potere ablativo qualora ciò sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica - d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 19, c1.1. secondo periodo.
Con il già citato d.l. n. 89 del 2011, cit., come convertito nella l. n. 129 del 2011, cit. in attuazione della Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri - il legislatore ha aggiunto d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 19, co. 2 bis che stabilisce che il respingimento o l'esecuzione dell'espulsione delle cd. categorie vulnerabili (persone affette da disabilità, degli anziani, dei minori, dei componenti di famiglie monoparentali con figli minori nonché dei minori, ovvero delle vittime di gravi violenze psicologiche, fisiche o sessuali) vanno effettuate con modalità compatibili con le singole situazioni personali.
APPROFONDIMENTO I - IL SIGNIFICATO DI PERICOLO DI FUGA
Il pericolo di fuga come presupposto dell’accompagnamento coattivo alla frontiera è una delle novità introdotte a seguito del recepimento della direttiva rimpatri.
La direttiva demandava al legislatore nazionale la definizione dei casi in cui si ritiene sussistere il pericolo di fuga. Il legislatore ha così introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.4 bis. Le ipotesi previste sono di ampiezza tale che tutti i commentatori hanno ritenuto che il legislatore abbia in questo modo confermato la regola generale dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, violando sul piano della sostanza il mandato del legislatore europeo.
Il rischio di fuga è riscontrabile in presenza di una di queste situazioni:
1. se lo straniero non possiede il passaporto o altro documento equipollente, in corso di validità;
2. se non vi è idonea documentazione che dimostri la disponibilità di un alloggio da parte dello straniero, nel quale questi possa essere rintracciato;
3. se lo straniero ha in precedenza dichiarato o attestato false generalità;
4. se lo straniero ha violato il divieto di reingresso;
5. se lo straniero non ha rispettato una delle misure coercitive disposte dal questore in occasione della concessione del termine per la partenza volontaria o in alternativa al trattenimento nei CPR.
È facile capire come questa lista finisca per includere la maggior parte degli stranieri da espellere.