Unità Didattica XVII - La detenzione amministrativa
Sito: | Insegnamenti On-Line |
Corso: | Diritto dell'immigrazione - 6/9 CFU - TORINO - 22/23 |
Libro: | Unità Didattica XVII - La detenzione amministrativa |
Stampato da: | Utente ospite |
Data: | domenica, 5 gennaio 2025, 23:58 |
Sommario
- XVII.1 Il trattenimento o detenzione amministrativa
- XVII.2 Il trattenimento a fini di identificazione e i centri hotspot
- XVII.3 Il trattenimento del richiedente asilo
- XVII.4 L'allontanamento e il trattenimento del cittadino comunitario
- APPROFONDIMENTO I - L’origine dell’istituto della detenzione amministrativa per gli stranieri
XVII.1 Il trattenimento o detenzione amministrativa
Come già detto, lo straniero la cui espulsione non possa essere immediatamente eseguita viene trattenuto su disposizione del Questore presso un Centro di permanenza per i rimpatri (CPR). Il d.l. n. 13 del 2107, cit., così come modificato in sede di conversione, aveva stabilito anche un piano di ampliamenti del numero o dei centri, su cui vedi questa sintesi.
Il d.l. n. 113 del 2018, cit., convertito in l. n. 132 del 2018, cit. ha invece previsto per 3 anni la possibilità di ricorrere alla procedura negoziata senza pubblicazione del bando di gara per lavori di costruzione, completamento, adeguamento e/o ristrutturazione dei CPR. Deve trattarsi di lavori di importo inferiore a 5.548.000 euro (la cd, soglia di rilevanza comunitaria). L'obiettivo, come per le modifiche de 2017, è quello di aumentare il numero dei centri.
APPROFONDIMENTO I - L'origine dell'istituto della detenzione amministrativa degli stranieri
Il trattenimento può essere disposto dal Questore (con decreto scritto, motivato e tradotto) per 30 giorni in presenza di “situazioni transitorie che ostacolano la preparazione del rimpatrio o l’effettuazione dell’allontanamento” ( d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 14), e in particolare in caso di:
- pericolo di fuga;
- necessità di procedere al soccorso dello straniero;
- necessità di espletare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità;
- necessità di acquisire i documenti per il viaggio;
- indisponibilità del vettore aereo o di un altro mezzo di trasporto idoneo.
Il trattenimento è disposto dal questore "per il tempo strettamente necessario” ( d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 14, co. 1) al superamento della difficoltà transitoria.
Con il recente d.l. 130 del 2020, cit., è stato altresì introdotto il d.lgs. 286 del 1998, art. 14, co. 1.1., cit., che introduce una sorta di "priorità" nel trattenimento in tutti i casi in cui lo straniero sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico o per la sicurezza pubblica ovvero sia stato condannato per reati di particolare gravità. La medesima posizione di priorità è assunta dallo straniero avente nazionalità di uno Stato con cui l'Italia ha sottoscritto accordi che facilitano il rimpatrio.
Sempre con il recente decreto legge è stata "centralizzata" la procedura di assegnazione di un posto all'interno dei CPR.
Poiché il trattenimento è una misura che incide sulla libertà personale, è necessaria la convalida giurisdizionale.
Il Giudice di Pace fissa un’udienza in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore e decide sulla richiesta di convalida con decreto motivato entro le 48 ore successive al ricevimento degli atti inviati da parte del Questore, secondo quanto stabilito dall'art. 13 Cost.
Nella decisione sulla convalida il giudice deve verificare:
1) l'osservanza dei termini : non devono essere trascorse più di 48 ore dall'inizio del trattenimento;
2) l'osservanza delle procedure: il giudice deve avere ricevuto dal questore copia del provvedimento di trattenimento e degli altri atti;
3) la sussistenza dei requisiti previsti dalle disposizioni in tema di espulsioni (la legittimità del decreto di espulsione);
4) la sussistenza dei presupposti che consentono il trattenimento (cioè la legittimità delle motivazioni del trattenimento, su cui vedi supra).
Il decreto questorile di trattenimento cessa di avere effetto qualora non sia osservato il termine di 48 ore per la decisione del giudice e quando il giudice non lo convalida, in tal caso però resta valido ed efficace il decreto di espulsione.
Il trattenimento può essere prorogato (d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 14, co. 5) dal Giudice di Pace, su richiesta del Questore per trenta giorni in presenza di gravi difficoltà per l’identificazione dello straniero e/o per l’acquisizione dei documenti per il viaggio (quindi per presupposti più stringenti rispetto a quelli che permettono il primo trattenimento). Allo scadere dei 60 giorni, se sono emersi "elementi concreti che consentono di ritenere probabile l'identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio" il Questore potrà chiedere una o più estensioni. Ciò significa che i Questore deve motivare tale esigenza e la proroga può anche essere disposta per pochi giorni. In ogni caso il termine massimo non può superare i 90 giorni - termine ridotto con il d.l. 130 del 2020, cit., poichè in precedenza era di 180 giorni, risultato della precedente modifica introdotta dal d.l. n. 113 del 2018, cit., convertito in l. n. 132 del 2018, cit.
Il recente decreto legge ha, però, previsto una specifica possibilità di proroga di ulteriori 30 giorni, oltre i 90 giorni massimi, nel caso in cui lo straniero abbia la nazionalità di uno Stato con cui l'Italia ha sottoscritto accordi che facilitano il rimpatrio.
Il d.l. n. 113 del 2018, cit., convertito in l. n. 132 del 2018, cit. ha mantenuto il termine breve di 30 giorni per il trattenimento dello straniero già detenuto, nel caso in cui lo straniero sia destinatario di una espulsione al momento della scarcerazione ed accompagnato in un CPR al fine di eseguirla. Ha però stabilito che tale termine breve vale per chi sia stato precedentemente detenuto per un periodo superiore a 180 giorni. (erano 90 giorni secondo la legge europea del 2013). La ratio di questa disposizione è che durante il periodo di detenzione lo straniero può essere identificato e di conseguenza non può essere che per l'inerzia dell'amministrazione lo straniero debba essere trattenuto per 3 mesi.
È comunque possibile una breve proroga del trattenimento dell'ex detenuto di 15 giorni, dietro convalida del Giudice di Pace, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio, con l'aggiunta di una ulteriore proroga di 30 giorni, nel caso in cui lo straniero abbia la nazionalità di uno Stato con cui l'Italia ha sottoscritto accordi che facilitano il rimpatrio.
Con il d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit., si prevede espressamente che all’interno dei centri
devono essere assicurati adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, e che lo
straniero deve essere trattenuto con modalità tali da assicurare la necessaria
informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità. Si
stabilisce inoltre che deve essere assicurata in ogni caso la libertà di corrispondenza
anche telefonica con l’esterno.
Nonostante tale disposizioni di legge, recentemente rafforzate, le condizioni materiali in cui sono vivono i cittadini stranieri trattenuti presso il CPR sono estremamente precarie e negli anni non sono mancati i decessi, anche quale conseguenza di atti anticonservativi.
Sul punto, con specifico riferimento al suicidio di un giovane migrante avvenuto nei mesi scorsi presso il CPR di Torino, si invita alla lettura di un articolo di approfondimento ed una raccolta di gravi episodi che evidenziano le gravi carenze della struttura e della accoglienza presso il Centro di Permanenza e Rimpatri piemontese.
Mamadou Moussa Balde: una storia che ci interroga su che cosa sia la detenzione amministrativa
XVII.2 Il trattenimento a fini di identificazione e i centri hotspot
Del tutto diverso è il trattenimento de facto che si determina principalmente nelle zone di frontiera successivamente ai soccorsi in mare o comunque all'arrivo sul territorio italiano.
Questo momento è molto delicato in quanto è necessario non solo procedere alla identificazione dello straniero ma anche individuare lo stesso come richiedente asilo o come persona che ha attraversato la frontiera in violazione della normativa che disciplina l’ingresso e quindi destinata all'espulsione.
Si tratta inoltre di una fase che solo di recente, nel 2015 e nel 2017, è stato oggetto di disciplina giuridica, peraltro molto scarna. Precedentemente il DPR n. 394 del 1998, cit., art. 23 si limitava a stabilire che le attività di prima accoglienza, assistenza e di carattere igienico-sanitario connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei CPTA (ora CPR) “per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. Per le modalità di gestione di tali Centri si rinviava al d.l. n. 451 del 1995 cit. come convertito in l. n. 563 del 1995, cit., la cosiddetta “legge Puglia” (si veda UD IX). Tale legge era stata emanata a seguito dell’afflusso di cittadini albanesi sulle coste pugliesi e prevedeva l’istituzione di tre centri lungo la costa pugliese per le esigenze di prima assistenza, con relativa copertura finanziaria, nonché la possibilità di impiegare personale militare. Non veniva in alcun modo definita la natura giuridica di tali centri. Tali strutture erano denominate Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA).
La scarna disciplina normativa non aveva mai rappresentato un problema, in quanto successivamente agli arrivi dall’Albania non si erano registrati arrivi numericamente rilevanti.
A partire dal 2011, invece, il significativo afflusso di persone provenienti prima dalla Tunisia e poi dalla Libia ha reso urgente definire giuridicamente le strutture in cui si effettuano le operazioni di primo soccorso e assistenza. Infatti è nel centro di Lampedusa e successivamente negli altri centri dislocati principalmente sul territorio siciliano che le persone arrivate in Italia si fermano per periodi più o meno lunghi in attesa che la loro situazione sia chiarita. La complessità del momento discende dal fatto che se le persone presentano domanda di asilo sono richiedenti asilo, diversamente, salvo regioni eccezionali che ne giustifichino la presenza, sono sul territorio italiano in modo non legittimo e sono passibili di espulsione.
In pratica nel 2011 le persone sono rimaste nel centro di Lampedusa anche molto a lungo, ben oltre il tempo strettamente necessario per prestare assistenza, senza possibilità di lasciare la struttura e quindi in una situazione di detenzione di fatto. Tale situazione, come già accennato, è stata posta all’attenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sezione II, 1 settembre 2015 e successivamente Grande Camera, Khlaifia and others v Italy, ricorso n. 16483/12, 15 dicembre 2016) che ha affermato come ogni forma di privazione della libertà richiede una base normativa e un controllo giurisdizionale a prescindere dalla qualificazione della struttura come centro di accoglienza o dalla supposta presenza di una situazione di emergenza.
Stante il permanere di un afflusso consistente di stranieri è sembrato necessario al legislatore disciplinare le strutture dove le persone vengono accolte nella fase di primo arrivo. A oggi una normativa nazionale esaustiva non è presente. Infatti il d.lgs. n. 142 del 2015, cit. si è limitato a stabilire che “le funzioni di soccorso e prima accoglienza, nonché di identificazione continuano ad essere svolte nelle strutture allestite ai sensi del decreto legge n. 451/95, convertito dalla legge 563/95” (art. 8, c.2) e che “per le esigenze di prima accoglienza e per l'espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri governativi di prima accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell'interno (…) per il tempo necessario, all'espletamento delle operazioni di identificazione, ove non completate precedentemente, alla verbalizzazione della domanda ed all'avvio della procedura di esame della medesima domanda, nonché all'accertamento delle condizioni di salute diretto anche a verificare, fin dal momento dell'ingresso nelle strutture di accoglienza, la sussistenza di situazioni di vulnerabilità” (art. 9).
Su questa disciplina si sono inserite, sempre nel 2015, delle disposizioni europee e la loro attuazione italiana.
Nello specifico a maggio 2015 la Commissione Europea aveva emanato una comunicazione denominata “Agenda Europea sulla migrazione” in cui aveva dato avvio a un nuovo approccio denominato hotspot, volto a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo”.
L’Italia aveva dato attuazione a questa comunicazione attraverso un documento, privo di valore giuridico, denominato RoadMap in cui aveva precisato che l’approccio hotspot si concretizza in un “piano volto a canalizzare gli arrivi via mare in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri” (p 6). Tali luoghi venivano definiti in questo documento come centri chiusi. Successivamente, mediante la circolare 6.10.2015 del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.(si veda UD IX).
Una volta effettuato il rilevamento delle impronte digitali e l’inserimento nel sistema informativo Eurodac, avviene la differenziazione tra richiedenti asilo e migranti irregolari. I primi saranno collocati nelle strutture di accoglienza sul territorio mentre i secondi saranno destinati al respingimento o all'espulsione, come indicato nei paragrafi precedenti.
Successivamente nel 2017, il legislatore ha introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 10 ter che prevede disposizioni relative alla “identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare”.
Tale normativa prevede che la persona rintracciata nel corso dell’attraversamento irregolare della frontiera o condotta in Italia a seguito di salvataggio deve essere collocata negli hotspot istituiti nelle strutture di cui alla legge Puglia o nelle strutture di cui al d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9. In queste strutture devono essere effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e le conseguenti segnalazioni ai sensi del regolamento Eurodac e deve essere assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale e sul programma di ricollocazione in altri Stati membri. Si prevede inoltre che il rilevamento delle impronte digitali possa essere effettuato nei confronti di qualunque straniero rintracciato in posizione di irregolarità sul territorio nazionale. L’eventuale rifiuto reiterato di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici configura rischio di fuga ai fini del trattenimento in un CPR che viene disposto dal questore per 30 giorni, salvo che la persona acconsenta al rilevamento delle impronte.
In concreto quindi le persone venivano prima trattenute nei luoghi di sbarco e successivamente collocate nelle altre strutture sul territorio nazionale. Non erano previsti dalla legge termini entro cui le persone devono essere collocate nelle strutture di accoglienza sul territorio. Ciò determinava che in situazioni di particolare affluenza o di deficit organizzativo le persone sbarcate sul territorio nazionale potevano essere di fatto trattenute e private della libertà personale anche per diversi giorni, senza alcuna verifica delle loro condizioni da parte di un giudice. Di conseguenza il trattenimento nei luoghi di sbarco sfuggiva alle regole previste per il trattenimento a fini espulsivi.
XVII.3 Il trattenimento del richiedente asilo
Il d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 6 disciplina il trattenimento dei richiedenti asilo.
Innanzitutto il principio generale è che il richiedente asilo non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda.
Vi sono alcuni casi in cui il richiedente asilo è posto in una struttura di trattenimento ed altri casi invece in cui essendo già trattenuto si dispone che vi rimanga.
La prima ipotesi fa riferimento alla Convenzione Ginevra e riguarda il richiedente asilo sospettato di avere commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o contro l’umanità, ovvero un reato grave prima di essere riconosciuto come rifugiato. Con il d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit., è stata ampliata tale possibilità di trattenimento anche per i richiedenti asilo che rappresentano un pericolo per la sicurezza dello Stato, o per l’ordine e la sicurezza pubbliche, essendo stati condannati con sentenza definitiva per i reati previsti dagli artt. 407, co 2 lett. a) c.p.p., o per altri reati meno gravi quali violenza o minaccia a pubblico ufficiale, lesioni personali aggravate e alcuni casi di furto aggravato (si rimanda al d.lgs. 251 del 2007, cit., artt. 12 e 16).
Una seconda ipotesi di trattenimento del richiedente asilo è stata recentemente introdotta ed attiene ai casi in cui lo straniero abbia presentato, in fase di esecuzione del provvedimento di espulsione, domanda di asilo reiterata (una seconda domanda di asilo dopo che la prima è stata rigettata) - d.lgs. 25 del 2008, cit., art. 29.
Il terzo ventaglio di ipotesi attiene alla pericolosità del richiedente protezione internazionale. Si fa riferimento ai casi in cui la persona si trova nelle condizioni in cui sono previste le cd. espulsioni ministeriali, l’espulsione per motivi di pericolosità sociale ( d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 13, co.2) o il richiedente costituisce un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica. In questo ultimo caso la norma si limita a precisare che nella valutazione si tiene conto di eventuali condanne penali per i reati ostativi all'ingresso e al soggiorno di stranieri. Si tratta quindi di una formulazione molto ampia, che si presta a valutazioni discrezionali.
La quarta ipotesi è quella in cui sussiste il rischio di fuga del richiedente. Il legislatore ritiene sussistere tale rischio quando il richiedente ha in precedenza fatto ricorso sistematicamente a dichiarazioni o attestazioni false sulle proprie generalità al solo fine di evitare l'adozione o l'esecuzione di un provvedimento di espulsione ovvero non ha ottemperato alle misure imposte dal prefetto per la partenza volontaria, ha violato il divieto di reingresso o non ha ottemperato all'ordine di allontanamento del questore o alle misure da quest’ultimo imposte per evitare il trattenimento.
Nel caso in cui la persona sia già trattenuta in un Centro di permanenza per i rimpatri e presenti domanda di protezione internazionale, la normativa stabilisce che vi rimanga se vi sono fondati motivi per ritenere che la domanda di protezione è stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione dell’espulsione. Questa previsione trova la ragione della sua esistenza nella strumentalità della domanda di protezione. Tuttavia risulta molto difficile valutare tale strumentalità, in particolare in considerazione del fatto che tale valutazione deve avvenire prima che si istruisca e venga decisa la domanda di protezione. Ne consegue il rischio che ogni domanda presentata da un soggetto trattenuto venga considerata di per sé strumentale. Con le modifiche del 2017 tale ipotesi è stata estesa anche ai casi in cui la persona è in attesa dell'esecuzione di un provvedimento di respingimento.
Ciò significa che anche i richiedenti asilo destinatari di un provvedimento di respingimento possono essere trattenuti nel Centro di permanenza per i rimpatri.
La convalida del trattenimento del richiedente asilo (così come le successive proroghe sino a quando mantiene questa qualifica) è demanda alla Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini europei presso il Tribunale nel cui circondario di Corte d'Appello si trova il CPR.
Il trattenimento del richiedente asilo può protrarsi per tutto il tempo necessario all’esame della domanda di protezione internazionale, che può durare anche più di 6 mesi con il risultato che il richiedente asilo può essere trattenuto per un tempo molto più lungo degli altri stranieri.
XVII.4 L'allontanamento e il trattenimento del cittadino comunitario
Un cittadino comunitario può liberamente entrare e soggiornare all’interno del territorio dell’Unione e questo suo diritto può essere limitato soltanto in ipotesi tassative.
Il d.lgs. n. 30 del 2007, cit., artt. 20 e 21 individua le ipotesi di allontanamento del cittadino comunitario.
L'art. 20 prevede che tutti i cittadini comunitari, anche se residenti da oltre 10 anni o titolari del diritto di soggiorno permanente (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 14) o minorenni possano essere espulsi su provvedimento del Ministro dell’Interno per:
1) motivi di sicurezza dello Stato;
2) motivi imperativi di pubblica sicurezza;
3) altri motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza
I motivi di sicurezza dello Stato sussistono in due casi:
1) quando la persona da allontanare appartiene ad una delle categorie di cui al d.l. n. 159 del 06 settembre 2011 cd Codice Antimafia
2) quando vi sono fondati motivi di ritenere che la sua permanenza nel territorio dello Stato possa, in qualsiasi modo, agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 20, co. 2).
I motivi imperativi di pubblica sicurezza sussistono invece quando la persona da allontanare abbia tenuto comportamenti che costituiscono una minaccia concreta, effettiva e sufficientemente grave ai diritti fondamentali della persona ovvero all’incolumità pubblica (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 20, co. 3).
In entrambi i casi il legislatore ha previsto di tenere conto di alcuni elementi (come le precedenti sentenze di condanna) al fine di adottare questi provvedimenti. Non si tratta però di ipotesi di automatismo espulsivo ma di elementi da considerare nel decidere l’adozione dei provvedimenti di espulsione.
A queste ipotesi si aggiunge la sussistenza di “altri motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza”, formula generica e di chiusura che suscita più di un dubbio in merito alla sua legittimità.
Anche il titolare di diritto di soggiorno permanente può essere espulso per “altri motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza” ma si richiede che questi siano gravi.
In questo caso il provvedimento è disposto dal Prefetto del luogo di residenza o dimora dell’interessato.
In ogni caso nell'adottare un provvedimento di allontanamento si tiene conto dell’età, della situazione familiare e economica, dello stato di salute, della durata del soggiorno in Italia e della integrazione sociale e culturale nel territorio nazionale del cittadino comunitario nonché dell'importanza dei legami con il Paese di origine.
Si devono altresì valutare le segnalazioni motivate del sindaco del luogo di residenza o dimora del destinatario del provvedimento.
I provvedimenti di allontanamento sono motivati, salva la sussistenza di motivi attinenti alla sicurezza dello Stato. Se il destinatario non comprende la lingua italiana, il provvedimento è accompagnato da una traduzione.
Il cittadino comunitario è tenuto a lasciare il territorio entro il termine indicato nel provvedimento che comunque non può essere inferiore ad un mese dalla data della notifica e, nei casi di comprovata urgenza, può essere ridotto a dieci giorni. In casi di urgenza motivati dalla incompatibilità della permanenza del cittadino comunitario con la civile e sicura convivenza per la collettività o qualora il cittadino comunitario non si allontani entro il termine, l’allontanamento è eseguito mediante accompagnamento in frontiera. L’accompagnamento immediato in frontiera necessita di convalida giurisdizionale, come nel caso del cittadino straniero, da parte del Tribunale Ordinario, Sezione specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini europei nel cui circondario di Corte d'Appello si trova il CPR. . Nelle more della definizione del provvedimento di convalida il cittadino comunitario può essere trattenuto in un centro di permanenza per i rimpatri al massimo per 96 ore.
Il provvedimento deve anche indicare la durata del divieto di reingresso che comunque non può essere superiore a dieci anni nei casi di allontanamento per motivi di sicurezza dello Stato e a cinque anni negli altri casi. Decorsa almeno la metà della durata del divieto e in ogni caso almeno tre anni, il cittadino comunitario può presentare domanda di revoca del divieto di reingresso.
L’ultima ipotesi di allontanamento (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 21) riguarda il venir meno delle condizioni che determinano il soggiorno di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, cit., artt. 6, 7, 13 relative ai soggiorno di durata inferiore e superiore ai 30 giorni e alle norme relative al mantenimento del soggiorno.
La perdita del diritto al soggiorno del cittadino comunitario non incide sul soggiorno dei familiari in caso di divorzio e di annullamento del matrimonio. Il provvedimento è adottato dal Prefetto competente per territorio in base al luogo di residenza o di dimora del cittadino comunitario e deve prendere in considerazione l’età, le condizioni di salute e di integrazione sociale e culturale dell’interessato nonché i suoi legami con il Paese di origine. Il provvedimento deve indicare le modalità di impugnazione e il termine entro il quale il cittadino comunitario deve lasciare il territorio nazionale, termine che non può essere inferiore a un mese. Non è previsto alcun divieto di reingresso.
APPROFONDIMENTO I - L’origine dell’istituto della detenzione amministrativa per gli stranieri
Introdotta con la l.n. 40 del 06 marzo 1998, la detenzione amministrativa aveva la funzione di trattenere gli stranieri destinatari di decreti espulsivi da eseguirsi coattivamente, al fine di evitare che, nelle more dell’esecuzione, costoro si dileguassero. Era una sorta di area di parcheggio ove trattenere forzatamente gli stranieri da espellere, in forza di un decreto di trattenimento disposto dal questore, fino a che non si rimuovessero le seguenti cause che impedivano l’esecuzione di provvedimenti ablativi: necessità di soccorso, necessità di procedere all’identificazione dello straniero, assenza dei documenti di viaggio, indisponibilità del vettore. I termini massimi di trattenimento erano di 20 giorni, prorogabili –una sola volta- di ulteriori 10 giorni, dopodiché, se l’amministrazione non riusciva a dare esecuzione all’espulsione, lo straniero doveva essere comunque dimesso. Va evidenziato che, nell’impianto espulsivo delineato nel 1998, le espulsioni coattive costituivano l’eccezione, mentre ordinariamente la loro esecuzione era delegata allo straniero che aveva l’obbligo di ottemperare alla relativa ingiunzione entro il termine di 15 giorni: quindi, la detenzione amministrativa nasce come circoscritta a casi eccezionali e nel tempo breve.
Tuttavia, la previsione di una detenzione senza reato disposta dall’autorità amministrativa di polizia suscitò un vivace dibattito nella cultura giuridica garantista al punto di richiedere l’intervento della Corte costituzionale, sollecitata da numerose ordinanze di rimessione del Tribunale di Milano. Va subito detto che la sentenza n. 105/2001 della Consulta salvò la costituzionalità dei CPTA, sia pure con una decisione che, tutt’ora unica sull’argomento, offriva all’interprete utili indicazioni ancora adesso valide e troppo spesso ignorate. Senza entrare nei dettagli tecnici, è utile rammentare in questa sede alcuni dei principi espressi nella sentenza citata, ai fini del discorso che qui interessa: il trattenimento è misura incidente sulla libertà personale che non può essere adottata al di fuori delle garanzie previste dall’art. 13 Cost. (riserva di legge e riserva di giurisdizione); per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di ordine pubblico connessi a flussi immigratori incontrollati, non può essere minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale che, al pari di altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Quindi la detenzione amministrativa è legittima, dice la Corte, a condizione che siano rigorosamente rispettate le garanzie previste dall’art. 13 Cost. che, al comma 3, consente che “in casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”. Orbene, la limitazione della libertà personale determinata dalla detenzione amministrativa è legittima, in quanto la prevede la legge (il testo unico immigrazione, D. Lgs. 286/98), e la Costituzione non specifica affatto che tale previsione debba risultare da una legge “penale”; il meccanismo della convalida ad opera dell’autorità giudiziaria osserva la riserva di giurisdizione, posto che – rammenta la Consulta – l’onere di trasmissione degli atti al giudice “non può avere altro significato se non quello di rendere possibile un controllo giurisdizionale pieno, e non un riscontro meramente esteriore, quale si avrebbe se il giudice della convalida potesse limitarsi ad accertare l’esistenza di un provvedimento di espulsione purchessia. Il giudice dovrà rifiutare la convalida tanto nel caso in cui un provvedimento di espulsione manchi del tutto, quanto in quello in cui tale provvedimento, ancorché esistente, sia stato adottato al di fuori delle condizioni previste dalla legge”. Nel sistema espulsivo del 1998 il trattenimento costituiva l’eccezione, i termini massimi della limitazione della libertà erano abbastanza contenuti, e il controllo ad opera del giudice della convalida del trattenimento nel termine massimo di 96 ore era idoneo a salvaguardare la tenuta dell’istituto rispetto ai parametri di cui all’art. 13 Cost.
tratto da Guido Savio (2012)“La detenzione amministrativa degli stranieri: da misura ec¬cezionale a strumento di (inefficace) controllo ordinario dell’immigrazione illegale e di mortificazione delle garanzie fondamentali,” in Antigone numero monografico La detenzione amministrativa degli stranieri. Norme e diritti in Europa, a cura di Stefano Anastasia, Valeria Ferraris, n.3, pp. 110- 123