Azzeramento sulle fonti

Materiale dedicato in particolare al rapporto tra le fonti di derivazione nazionale e le fonti di derivazione dell'ordinamento dell'Unione Europea.

La lettura è indispensabile per gli studenti che non abbiano sostenuto l'esame di diritto dell'Unione europea.

3. Le fonti del diritto dell'Unione europea

Il fondamento costituzionale dell'efficacia delle fonti UE nell'ordinamento giuridico italiano è l'art. 11 Cost., in base al quale l'Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni». La limitazione della sovranità in conseguenza della partecipazione dell'Italia all'Unione Europea concerne il potere legislativo (fonti comunitarie), esecutivo (applicazione del diritto comunitario) e giurisdizionale (attività interpretativa della Corte di Giustizia UE).

L'ordinamento giuridico UE e quello italiano sono separati e distinti ed i rapporti tra le rispettive fonti del diritto sono regolati dal principio di competenza (Corte Cost., sentenza 8 giugno 1984, n. 170): le fonti UE disciplinano le materie che i Trattati europei riservano alla competenza degli organi europei e la violazione di tale competenza comporta una violazione dell'art. 11 Cost. (limitazione di sovranità = riserva di competenza).

Nelle materie che non sono di esclusiva competenza dell'Unione europea, questa interviene rispettando il principio di sussidiarietà, cioè «soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione» (art. 5 Trattato UE).

In attuazione dei principi sanciti dai Trattati l'Unione europea può adottare atti normativi, tra cui assumono rilievo le direttive e i regolamenti europei.

I regolamenti dell'Unione sono direttamente applicabili negli ordinamenti interni degli stati membri e vincolanti in ogni loro parte (art. 288 Trattato FUE). Le direttive dell'Unione individuano il fine, lo scopo da raggiungere e lasciano allo Stato membro la scelta dei mezzi per la sua realizzazione: le direttive comunitarie devono essere recepite con fonte nazionale e, ove non recepite, divengono direttamente applicabili solo se è decorso il termine per il recepimento e se «contengono disposizioni incondizionate e sufficientemente precise» (Corte di Giustizia CE, sentenza 19 gennaio 1982, causa 8/81*). Il recepimento delle direttive comunitarie nell'ordinamento giuridico italiano avviene con l'approvazione annuale della c.d. "legge comunitaria” il cui progetto è presentato dal Governo al Parlamento entro il 31 gennaio di ogni anno: la legge comunitaria presenta tre allegati contenenti l'elenco delle direttive comunitarie da attuare con decreti legislativi con (allegato A) o senza (allegato B) il parere del Parlamento e l'elenco delle direttive comunitarie da attuare con regolamenti di delegificazione (allegato C) (l. 4 febbraio 2005, n. 11, Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari, che abroga la l. n. 86 del 1989; cfr. ad es., legge 27 aprile 2005, n. 62, c.d. legge comunitaria per il 2004).

Le fonti UE derivate, nelle materie che il Trattato riserva alla competenza dell'Unione Europea, prevalgono sulle fonti normative nazionali in applicazione del principio di competenza: il contrasto di una norma nazionale con una norma comunitaria, nelle materie riservate alla competenza di quest'ultima, obbliga i giudici e le pubbliche amministrazioni a «disapplicare» la fonte nazionale (Corte di Giustizia CE, sentenza 22 giugno 1989, causa 103/88* e Corte di Giustizia CE, sentenza 15 maggio 2008, cause riunite C-147/08 e C-148/08). Ove invece la fonte UE violasse il limite della propria competenza la relativa fonte nazionale di recepimento sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 11 Cost.

La Corte Costituzionale italiana si riserva la valutazione di compatibilità delle fonti comunitarie con i principi fondamentali della Costituzione (Corte Costituzionale, sentenza 21 aprile 1989, n. 232*), mentre la Corte di Giustizia esercita la propria attività di interpretazione del diritto comunitario in conformità ai principi costituzionali degli Stati membri: si realizza in questo modo una cooperazione tra i giudici costituzionali europei e la Corte di Giustizia, volta a rendere i principi costituzionali comuni a tutti gli Stati membri (soprattutto in materia di diritti inviolabili dell'uomo) parte integrante del diritto comunitario. La Corte di Giustizia fornisce un'interpretazione definitiva del diritto comunitario e della compatibilità del diritto nazionale con esso, contribuendo significativamente all'armonizzazione degli ordinamenti amministrativi degli Stati membri. Se la decisione della Corte ravvisa un contrasto tra  l'interpretazione di una fonte del diritto nazionale con una fonte europea, si prospettano due soluzioni: adeguare l'interpretazione della disposizione interna alla norma europea o disapplicare la norma interna ove il contrasto sia insanabile.

In tal senso le sentenze della Corte, sia essa adita da un giudice nazionale con rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, sia che decida sulla violazione di un obbligo discendente dal Trattato da parte di uno Stato membro ex art. 260 e s., TFUE, assumono un'efficacia «normativa», analoga a quella propria del formante giurisprudenziale nei sistemi di common law. Si è affermato che la giurisprudenza europea presenta «i caratteri tipici della fonte normativa immediatamente applicabile», divenendo «parametro di condotta di tutti i soggetti» dell'ordinamento comunitario (G. Greco, Diritto europeo e diritto amministrativo nazionale, in Diritto amministrativo, a cura di L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Monaco, F.G. Scoca, Bologna, 2005, 268 e s.).

Non hanno carattere generale e astratto le decisioni dirette ad uno o più destinatari determinati (Stati membri, persone fisiche e giuridiche) e obbligatorie in tutti i loro elementi, le raccomandazioni e i pareri, atti di indirizzo politico non vincolanti e non attributivi o modificativi di situazioni giuridiche soggettive in capo ai destinatari.