Unità 3 - Il diritto alla salute dell'ordinamento dell'UE come carattere identitario della cittadinanza europea. L'assistenza sanitaria transfrontaliera
Oggetto di questa unità è la tutela della salute nell'Unione Europea. Si analizzano in particolare le competenze dell'Unione in tema di tutela della salute, ricostruendo il diritto alla salute come carattere identitario della cittadinanza europea, oltre alla disciplina in materia di assistenza sanitaria trasfrontaliera.
1. Il diritto alla salute come carattere identitario della cittadinanza europea.
1.1. L'assistenza sanitaria trasfrontaliera
Il diritto di accesso alle prestazioni di cura in un altro Stato membro si declina, come detto, in senso non discriminatorio (divieto di discriminazioni in ragione della nazionalità: art. 18 TFUE) e porta a definire il diritto alla cura della salute come elemento essenziale della cittadinanza europea, da garantire attraverso la rete delle istituzioni sanitarie degli Stati membri, rispetto a cui l'Unione assume il compiti di un accreditamento in ragione di standard di qualità minimi.
Tale tutela si afferma, tuttavia, in modo inderogabile e incondizionato per il solo lavoratore che abbia esercitato il diritto di circolazione ai sensi dell'art. 45 TFUE, mentre per il cittadino non economicamente attivo, seppur residente all'estero, l'ordinamento UE ammette la possibilità di negare l'accesso alle prestazioni sociali, atteso che la stessa possibilità di soggiorno è condizionata al requisito di non costituire un onere eccessivo per il paese di destinazione.
La stessa possibilità di soggiornare in un altro paese UE per un periodo superiore a tre mesi è infatti condizionata al fatto di esercitarvi un'attività di lavoro subordinato o autonomo o di "disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti (...) e "di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante" (dir. 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, art. 7, §1, lett. b).
Le norme che stabiliscono la competenza esclusiva degli Stati membri in materia di salute, possono sembrare "superate" se si considera che con la libera circolazione dei lavoratori prima (art. 45 TFUE) e dei servizi poi (art. 56 TFUE) si è fondato il diritto dei pazienti a fruire di un'assistenza sanitaria transfrontaliera, da intendersi come mobilità sia dei pazienti sia dei professionisti sanitari, con esiti che sembrano ispirati a un principio di universalismo nell'accessibilità all'assistenza sanitaria.
La libera circolazione delle persone, dei servizi, il diritto di stabilimento, la libera circolazione delle merci e dei capitali hanno richiesto e presupposto sempre più la tutela della salute del cittadino europeo che circola all'interno dell'Unione e si trova a dimorare o risiedere in uno Stato membro diverso da quello di provenienza.
L'ordinamento dell'Unione ha col tempo infatti riconosciuto la possibilità che un individuo, iscritto al sistema di uno dei paesi membri, richieda nello Stato di iscrizione il rimborso di spese mediche sostenute in uno Stato membro diverso.
La c.d. mobilità dei pazienti è inizialmente intesa come diritto derivante dalla libertà di circolazione dei lavoratori (Regolamento CEE n. 1408/71 poi abrogato dal Regolamento CE n. 833/2004), con una disciplina che intendeva rafforzare la portabilità dei diritti da un sistema nazionale di sicurezza sociale all'altro e con ciò garantire l'effettività della libertà di circolazione. Un lavoratore che si sposti da uno Stato membro ad un altro deve infatti vedersi garantita "l'esportazione" dei propri diritti previdenziali. Il sistema prevede che le cure mediche di cui un soggetto abbia beneficiato in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza possano essere messe - direttamente - a carico del sistema nazionale di appartenenza previa autorizzazione da parte di quest'ultimo (cfr. C. giust. UE, 9 ottobre 2014, C-268/13, Elena Petru c. Casa Jude eana de Asigurari de Sanatate Sibiu).
Dagli anni novanta la disciplina ha trovato completamento per il tramite dell'applicazione delle norme del Trattato in materia di libera circolazione dei servizi (art. 56 ss. TFUE), ove s'intendono tali tutte le prestazioni rese dietro retribuzione che non siano già disciplinate dalle norme sulla libera circolazione delle merci, dei lavoratori o dei capitali (nozione residuale), dunque anche le prestazioni rese con l'erogazione di cure mediche.
I Trattati assicurano la libera prestazione dei servizi senza discriminazioni in ragione della nazionalità, a prescindere da come si realizzi concretamente la circolazione: che a circolare all'interno del mercato unico sia il professionista, il destinatario della prestazione ("paziente"), o sinanco la prestazione (es. telemedicina), con una conseguente estensione della tutela del paziente, a prescindere dalla condizione di lavoratore.
A fronte di un ampio riconoscimento giurisprudenziale del diritto di accesso alle prestazioni sanitarie in uno Stato membro diverso da quello di affiliazione ma alle spese di quest'ultimo, si è profilata la necessità di un chiaro quadro normativo che ha portato all'adozione della Direttiva 2011/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera.
La direttiva si pone l'obiettivo di definire norme che agevolino l'accesso ad un'assistenza sanitaria transfrontaliera sicura e di qualità garantendo la mobilità dei pazienti nel rispetto delle competenze degli Stati membri.
Si impone così allo Stato membro di affiliazione di rimborsare i propri assicurati del costo delle spese mediche sostenute con l'assistenza medica transfrontaliera, purché le prestazioni fruite siano ricomprese tra quelle cui gli stessi hanno diritto nello Stato membro di affiliazione (art. 7, par. 1).
La prestazione può essere alternativamente rimborsata all'utente o direttamente pagata dallo Stato membro di affiliazione allo Stato membro che ha erogato le cure (art. 7, par. 4). Il rimborso può non coprire l'intero costo della prestazione se lo stesso supera il livello dei costi che si sarebbero sostenuti prestandola sul proprio territorio (art. 7, par. 4) ed è subordinato ad autorizzazione preventiva (art. 7, par. 8) nei casi espressamente previsti dalla Direttiva (di fatto sempre richiesta), ad es. ove occorra garantire le esigenze di pianificazione nazionale delle cure sanitarie, al fine di garantire nel singolo Stato membro l'accesso sufficiente e permanente a cure di elevata qualità (art. 8).
Esigenze di pianificazione delle cure si pongono sempre, comportando dunque che l'autorizzazione - pur prevista formalmente solo nelle ipotesi indicate dalla direttiva e dunque configurata astrattamente come "eccezionale" - sia richiesta di fatto sempre.
In ogni caso l'autorizzazione non può essere negata quando ricorrano le condizioni viste sopra (prestazione rimborsata nello Stato di affiliazione) e l'assistenza sanitaria non possa essere prestata sul suo territorio "entro un termine giustificabile dal punto di vista clinico, sulla base di una valutazione medica oggettiva dello stato di salute del paziente, dell'anamnesi e del probabile decorso della sua malattia, dell'intensità del dolore e/o della natura della disabilità al momento in cui la richiesta di autorizzazione è stata fatta o rinnovata" (Dir. 2011/24/UE, art. 7, § 5).
Occorre evidenziare che il riconoscimento del diritto di accesso alle cure trasfrontaliere determina una tensione tra diritti individuali e programmazione nazionale (interesse collettivo), rischiando - ove generalizzato - di scardinare la seconda a beneficio del primo, di cui oltretutto fruiscono normalmente solo gli assistiti che si trovino in particolari condizioni di vantaggio (che consentono loro di accedere alle cure all'esterno, salvo poi formulare richiesta di rimborso).
La volontà di garantire il controllo dei costi consente d'altra parte - al pari dell'obiettivo di assicurare un accesso "sufficiente e permanente ad una gamma equilibrata di cure" - di limitare l'applicazione delle norme sul diritto al rimborso (Dir. 2011/24/UE, art. 7, § 9).
In Italia il recepimento della Direttiva 2011/24/UE è avvenuto ad opera del D. Lgs.4 marzo 2014, n. 38.
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