Unità 1 - La tutela della salute come diritto fondamentale


1. La tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo

1.2. Il diritto alla salute come "libertà di curarsi" e "di non curarsi"

Il disposto costituzionale stabilisce allo stesso tempo il principio di volontarietà nell'accesso alle cure, là ove, al comma 2° dell'art. 32, si stabilisce che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge", secondo un disposto che consente di limitare il diritto all'autodeterminazione individuale esclusivamente per ragioni d’interesse collettivo, purché vi sia un’espressa previsione di legge (riserva di legge) e non siano comunque superati i limiti imposti dal rispetto della persona umana, cioè nel rispetto della dignità dell'individuo (cfr. Corte Cost., 26 giugno 2002, n. 282). La riserva di legge in tema di trattamenti sanitari obbligatori è di tipo relativo e determina l’illegittimità di qualsiasi intervento pubblico in materia privo di fondamento legislativo (sulla riserva di legge e i trattamenti sanitari obbligatori cfr. unità 2).

A tale previsione si correla sia la disciplina sui c.d. trattamenti sanitari obbligatori, sia l’obbligo di acquisire il consenso informato del singolo per qualsiasi intervento terapeutico (cfr. unità 13 seg.), secondo un principio che dà attuazione anche alla libertà personale (art. 13 Cost.) e al principio personalistico (art. 2 Cost.).

Si esclude pertanto in capo al singolo un “dovere di curarsi” (cfr. Cass. civ., 15 settembre 2008, n. 23676),  salvo appunto il caso dei trattamenti sanitari obbligatori imposti per legge, mentre gli si riconosce il "diritto di non curarsi".

In tal senso dunque può dirsi riconosciuto il diritto dell'individuo alla “libertà di cura”, che assume un doppio significato: come libertà di scelta della modalità della cura (libertà positiva) e come libertà di non curarsi (libertà negativa) . 

Ciò alla luce della nozione di salute fatta propria dall'Organizzazione Mondiale della Sanità sin dalla sua carta istitutiva (1948), ove la stessa è intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia, secondo un'accezione che correla la salute al diritto all'autodeterminazione individuale che della prima diviene elemento costitutivo. La salute intesa come benessere psichico comprende pertanto anche la possibilità di scegliere le cure cui sottoporsi, eventualmente rifiutando quelle in contrasto con la propria visione religiosa o filosofica, e ciò anche ove il rifiuto comporti la morte, purché tuttavia esso sia "espresso, inequivoco ed attuale" (si pensi ad es. al rifiuto delle emotrasfusioni opposto dai Testimoni di Geova, su cui si veda Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4211, di rigetto della domanda risarcitoria presentata da un testimone di Geova sottoposto a trasfusione contro la sua volontà in ragione della non attualità di un dissenso manifestato in assenza di pericolo di vita del paziente).

Ogni persona ha dunque il diritto di rifiutare o interrompere qualunque trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, ivi compresi i trattamenti di ventilazione, idratazione e nutrizione artificiale, e ciò anche ove tale interruzione comporti una condotta attiva da parte di terzi (quale il distacco o la spegnimento di un macchinario, accompagnato dalla somministrazione di una sedazione profonda o di una terapia del dolore, cfr. l. 22 dicembre 2017, n. 219, art. 1). A fronte della somministrazione di tali terapie (o della non somministrazione di esse, ove ciò corrisponda alla scelta del paziente), anche ove ne derivi la morte del paziente, il medico va esente da responsabilità civile e penale, fermo restando che il paziente non può esigere trattamenti contrari alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali: in tale caso il medico non ha obblighi professionali nei confronti del paziente (ad es. nel caso di consenso prestato a un intervento chirurgico che comporti rischi emorragici con l'inequivoca manifestazione di dissenso alla trasfusione: Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 2020, n. 29469).

La libertà di cura comprende altresì il diritto ad essere assistiti nella somministrazione di terapie finalizzate a essere liberati dalla sofferenza, che vadano oltre le cure palliative e pongano fine alla vita, specie ove non vi si possa provvedere autonomamente in ragione delle condizioni in cui ci si trova, a pena di violazione della dignità umana. Diritto pienamente invocabile nei confronti delle istituzioni della Repubblica, che non possono sottrarsi al relativo adempimento né adducendo la non riconducibilità di tali prestazioni - finalizzate in definiva all'accompagnamento verso la morte - alla tutela della salute, né invocare un preteso diritto all'obiezione di coscienza per ragioni religiose o filosofiche. L'obiezione di coscienza infatti è una manifestazione della libertà di manifestazione del pensiero che è invocabile dal singolo e mai dalle istituzioni in quanto tali, che dunque non possono liberarsi dagli obblighi di servizio pubblico adducendo di disporre esclusivamente di soli medici obiettori, ma dovranno al contrario utilizzare ogni accorgimento possibile - ivi comprese assunzioni riservate a non obiettori - per adempiere gli obblighi loro imposti dall'ordinamento.

Consegue inoltre dal riconoscimento della libertà di cura, così come affermato dalla Corte costituzionale, la non punibilità dell'assistenza al suicidio (art. 580 c.p.), purché il relativo proposito si sia formato autonomamente e liberamente e riguardi una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e sempre che tali condizioni siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente (Corte cost., 25 settembre 2019, n. 242).


Tali approdi sono l'esito di peculiari vicende di cronaca, che hanno dato origine ad una serie di pronunce giurisprudenziali particolarmente significative.
Sulla depenalizzazione dell'assistenza al suicidio il rinvio è al c.d. "caso Cappato": per una sintesi si veda la scheda dell'Associazione Luca Coscioni.
Per il riconoscimento del diritto alla salute come libertà di non curarsi, con condanna dell'amministrazione all'interruzione del trattamento di nutrizione artificiale, si veda la sentenza della Cassazione relativa al "caso Englaro": cfr. Cass. civ., sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748  


Diverse dunque sono le situazioni giuridiche soggettive ricondotte alla disciplina costituzionale sulla tutela della salute: il diritto individuale alla tutela della salute nei confronti della Repubblica - Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato ex art. 114 Cost. - (che si configura come diritto di credito), la libertà individuale di rifiutare trattamenti sanitari, l’interesse della Repubblica alla tutela collettiva della salute, il dovere di sottoporsi a trattamenti sanitari in base ad un obbligo di legge nel rispetto della persona umana, il diritto all'integrità psico-fisica invocabile nei confronti di chiunque.