Unità 2 - La tutela della salute come interesse della collettività


1. La tutela della salute come interesse collettivo

1.2. Le vaccinazioni obbligatorie

Le vaccinazioni si inseriscono nell'ambito dei trattamenti che il legislatore prevede sia nell'interesse individuale sia in quello della collettività, dunque come deroga al principio di volontaria adesione ai trattamenti sanitari fondata sull'art. 32, comma 2°, Cost. 

L'imposizione di un obbligo in merito è considerata non in contrasto con la Costituzione nella misura in cui siano contemporaneamente tutelati l'interesse individuale (immunizzazione) e quello collettivo (copertura vaccinale), salva l'ammissibilità di conseguenze negative per il primo che sono ammissibili perché "temporanee e di scarsa entità".

Da ultimo il legislatore ha previsto per i minori di età compresa tra 0 e 16 anni n. 10 vaccinazioni obbligatorie e gratuite (anti-poliomelitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, ecc.) e n. 4 vaccinazioni oggetto di un'offerta attiva e gratuita, con possibilità di esonero nei soli casi di immunizzazione naturale o di accertato pericolo per la salute attestato dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta (d.l. 7 giugno 2017, n. 73, conv. in l. 31 luglio 2017, n. 119).

L'adempimento dell'obbligo vaccinale va dichiarato al momento dell'iscrizione a scuola: nel caso di violazione è prevista la somministrazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (da euro 100 a euro 500), ma non l'esecuzione coattiva. L'adempimento è requisito d'accesso solo per i servizi educativi per l'infanzia e le scuole dell'infanzia: a ben vedere dunque la disciplina non reca alcuna violazione del diritto all'istruzione, restando consentito l'accesso dei bambini non vaccinati alla scuola dell'obbligo (cfr. Cons. Stat., ordinanza 21 aprile 2017, n. 1662, ove si definisce "coerente con il sistema normativo generale" la prescrizione di vaccinazioni obbligatorie), ciò benché la frequenza della scuola materna e dei servizi per l'infanzia costituisca comunque "un'occasione cruciale di sviluppo della personalità e di avviare l'acquisizione di importanti attitudini relazionali e facoltà di apprendimento in un ambiente formatore e pedagogico" (Corte Edu, grande ch., 8 avril 2021, Vavricka et a. c. République Tchèque). 

Per quanto riguarda l'accesso alla scuola dell'obbligo, l'inadempimento dell'obbligo vaccinale sarà al più tenuto in considerazione ai fini della composizione delle classi, onde evitare di inserire nelle stesse aule bambini non vaccinati e altri immunodepressi o in particolari condizioni di fragilità sanitaria.

Si ripristina in tal modo la situazione di obbligatorietà vaccinale prevista sin dagli anni '30 (cfr. l. 6 giugno 1939, n. 891, che stabiliva l'obbligatorietà della vaccinazione antidifterica)*, venuta meno di recente in alcune regioni per espressa autorizzazione alla deroga. La decisione di tornare al regime previgente deriva dalla constatazione di un abbassamento della copertura epidemica che si è ritenuto suscettibile di costituire un rischio per la collettività.

L'obbligo così imposto è stato considerato ragionevole alla luce dell'obiettivo di rafforzamento della profilassi vaccinale, anche in ragione della scarsa efficacia degli strumenti "persuasivi" precedentemente sperimentati (Corte cost., 18 gennaio 2018, n. 5), e ciò nonostante il fatto che possano darsi rari casi in cui il vaccinato riporta danni non, come si è detto in precedenza, di scarsa entità e temporanei, ma al contrario irreversibili e gravi.

L'ordinamento compie in tal modo una c.d. "scelta tragica", ponendo a carico del singolo il rischio di un danno (l'infezione, seppur rarissima) che risponde anzitutto a un interesse collettivo (l'eliminazione di una patologia), ove il c.d. "elemento tragico" sta nel fatto che "sofferenza e benessere non sono equamente ripartiti tra tutti, ma stanno integralmente a danno degli uni o a vantaggio degli altri" (Corte cost. n. 118 del 1996): così nel caso di danno grave e irreversibile alla salute del bambino vaccinato, questi sopporta un danno sproporzionato rispetto al vantaggio arrecato alla collettività dalla somministrazione del vaccino singolo, ove tuttavia la scelta del legislatore permane ragionevole alla luce della scarsa incidenza di tali tragici evenienze in termini statistici.

In tali casi, i danni riportati in seguito alla vaccinazione non si configurano come derivanti da atto illecito in grado di generare una responsabilità contrattuale o extracontrattuale, ma determinano l'obbligo di corrispondere un indennizzo (Corte cost., n. 118 del 1996; Corte Cost. n. 107 del 2012). 

Resta salva ovviamente l'ipotesi opposta, in cui i danni riportati dal soggetto vaccinato siano determinati da un comportamento caratterizzato da dolo o colpa dell'operatore sanitario, ove al contrario se ne configura la normale responsabilità civile, con obbligo di pieno risarcimento del danno subito.
Qualora al contrario i danni non conseguano a un fatto illecito, perché la vaccinazione è stata eseguita nel rispetto dei protocolli e delle normali regole di prudenza, l'ordinamento pone comunque a carico della collettività l'onere di indennizzare l'interessato, assolvendo in tal modo al dovere di solidarietà (art. 2 Cost.). Come l'interessato ha accettato di sottoporsi alla vaccinazione (anche) nell'interesse della collettività, la collettività stessa si fa carico dei costi correlati alla disabilità derivante dalla vaccinazione, benché si tratti di danni provocati da un fatto lecito, che normalmente dovrebbero rimanere a carico dell'interessato.

La previsione di un obbligo di indennizzo in caso di danni da vaccinazioni risponde dunque alla previsione degli artt. 2 e 32 Cost. (dovere di solidarietà e tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo).

La Corte costituzionale nel tempo ha esteso l'obbligo di indennizzo includendo nel novero delle ipotesi considerate anche quelle in cui i danni derivino da vaccinazioni non obbligatorie ma meramente "raccomandate": anche in tal caso il singolo si sottopone al trattamento nell'interesse della collettività, riponendo un affidamento nella sicurezza di esso in ragione delle campagne di promozione poste in essere dall'amministrazione, ove pare irrilevante il fatto che non sia previsto un obbligo in senso proprio di vaccinarsi (da ultimo per l'estensione dell'obbligo nel caso di vaccino anti-influenzale: Corte cost., n. 268 del 2017).

Per un approfondimento: Ministero della Salute, Vaccinazioni, stato dell’arte, falsi miti e prospettive, 2 aprile 2017

Diversa è l'ipotesi di obblighi vaccinali imposti a peculiare categorie di lavoratori in occasione dell'attuale pandemia da Corona virus (per gli gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario: d.l. 1° aprile 2021, n. 44, conv. in l. 28 maggio 2021, n. 76, art. 4): in tale caso l'obbligo si configura come condizione per l'esecuzione della prestazione dedotta nel rapporto di lavoro e il suo inadempimento comporta, ove non sia possibile la destinazione a diverse mansioni non a contatto con il pubblico, la sospensione del rapporto di lavoro (con perdita del diritto a retribuzione). Tale misura dunque non assolve in alcun modo ad una funzione sanzionatoria.


* L'obbligo vaccinale - con riguardo alla vaccinazione antivaiolosa - è introdotto per la prima volta nel Regno d'Italia con la l. 22 dicembre 1888, n. 5849, Sulla tutela dell'igiene e sanità pubblica, che si rifà al Vaccination Act adottato nel Regno Unito nel 1853