Unità didattica I - La condizione giuridica dello straniero
Il diritto dell'immigrazione è disciplinato da fonti di più ordinamenti: nazionale, europeo ed internazionale, riconducibili a più settori del diritto (civile, penale, amministrativo) che conducono all'individuazione di un quadro giuridico multiforme.
Più in generale, volendo tentare una definizione unitaria il "diritto dell'immigrazione” può dirsi comprendere il complesso di norme atte a disciplinare un insieme di persone accomunate da una unica qualificazione: quella di straniero.
I.3. La disciplina dello straniero nell'epoca post unitaria
Negli Stati preunitari, la condizione giuridica dello straniero era disciplinata comunemente attraverso il ricorso alla c.d. clausola di reciprocità: lo straniero era ammesso al godimento dei diritti civili solo se il suo Paese di origine ne accordava il pari godimento al cittadino italiano.
Al momento dell'adozione del codice civile post unitario del 1865, il pensiero liberale giunto alla sua massima espansione, sia a livello politico che a livello economico - commerciale, si tradusse per quanto d'interesse nel tentativo di realizzare in modo concreto i principi di uguaglianza e solidarietà tra i popoli e le nazioni.
E' alla luce di tale quadro politico che si colloca la redazione dell'art. 3 del codice civile del 1865, che prevedeva la piena parificazione nel godimento dei diritti civili gli stranieri con i cittadini del neonato Stato italiano, scelta tesa ad amplificare il ruolo dell'Italia all'estero, non solo da un punto di vista politico, ma anche economico e commerciale, e dunque a favorire il godimento dei diritti civili da parte del cittadino italiano presente in uno stato terzo.
Un più agevole riconoscimento dei diritti civili in capo agli stranieri avrebbe, infatti, incentivato gli scambi commerciali e i trasferimenti di capitali sul territorio nazionale.
Per convesso, ove uno Stato straniero avesse applicato nei confronti del cittadino italiano presente sul proprio territorio la condizione di reciprocità, quest'ultimo non avrebbe avuto alcun problema a dimostrare la pari fruizione del medesimo diritto da parte dello straniero in Italia.
Tali assunti non trovarono, tuttavia, riscontro sul piano pratico. In particolare, fu rilevato come la scelta di tale regime interno avesse posto in una situazione di grave inferiorità i cittadini italiani all'estero. Nonostante, infatti, l'Italia avesse optato per la parità di trattamento nel godimento dei diritti civili tra i cittadini italiani e gli stranieri, gli altri Stati non solo avevano continuato a disciplinare la condizione giuridica degli stranieri attraverso il principio della reciprocità, ma avevano adottato, nella legislazione economica e civile, forme di protezionismo in favore dei propri cittadini sempre maggiori, a fronte delle quali l'Italia non aveva alcuno strumento di difesa. Tali considerazioni ben si comprendono se lette alla luce dei significativi mutamenti storici, politici ed economici verificatisi negli ottant'anni di vigenza dell'art. 3 del codice civile 1865, come il rafforzamento della politica di colonialismo e la nascita di nuovi nazionalismi, la nota crisi economica e finanziaria dei primi del Novecento e la crescente rivalità tra gli Stati europei, poi sfociata nei due conflitti mondiali. Alla luce di tali considerazioni, i redattori del nuovo codice civile del 1942, con l'adozione dell'art. 16 delle Disposizioni preliminari al Codice Civile (cd Preleggi) decisero di tornare a disciplinare la condizione giuridica dello straniero attraverso il principio di reciprocità, perseguendo, quale fine ultimo, la tutela degli interessi e dei diritti dei propri cittadini.
Per saperne di più C. STORTI STORCHI, Il ritorno alla reciprocità di trattamento. Profili storici dell'art. 16 Disp. Prel. Al Codice Civile del 1945, in I cinquant'anni del Codice Civile. Atti del Convegno di Milano 4-6 giugno 1992, Giuffrè, pp. 500-557