Unità didattica I - La condizione giuridica dello straniero


Il diritto dell'immigrazione è disciplinato da fonti di più ordinamenti: nazionale, europeo ed internazionale, riconducibili a più settori del diritto (civile, penale, amministrativo) che conducono all'individuazione di un quadro giuridico multiforme.


Più in generale, volendo tentare una definizione unitaria il "diritto dell'immigrazione” può dirsi comprendere il complesso di norme atte a disciplinare un insieme di persone accomunate da una unica qualificazione: quella di straniero.

I.5. La disciplina costituzionale dello straniero

Con l'entrata in vigore della Carta costituzione la condizione giuridica dello straniero ha trovato una sua specifica disciplina costituzionale, definita nell'art. 10 Cost..
La norma in esame pone al centro della tutela giuridica la figura dello straniero come individuo, sottolineando l'importanza, ai fini della determinazione del quadro normativo in materia, della centralità della tutela dei diritti fondamentali.
La ratio di tale impostazione deve ricercarsi nelle contingenze storiche presenti al momento in cui veniva redatta la nostra carta costituzionale, quando l'Italia era principalmente un paese di emigrazione e l'interesse verso una organica disciplina costituzionale del diritto dell'immigrazione appariva priva di alcun significato pratico. Tuttavia, la disciplina voluta dai costituenti, seppur scarna, è caratterizzata da una forte tutela della persona.
Il secondo comma dell'articolo in esame prevede una duplice garanzia per lo straniero presente in Italia: da un lato, infatti, la sua condizione giuridica può essere disciplinata solo dalla legge, o da norme di pari rango (riserva di legge), dall'altro, la stessa legge deve essere conforme alle norme ed ai trattati internazionali.
Attraverso tale disposizione il legislatore costituente ha voluto individuare uno standard minimo di garanzia a tutela della posizione dello straniero, senza, tuttavia, implicitamente vietare al legislatore di prevedere una normativa interna più favorevole rispetto a quella prevista in ambito internazionale e, finanche, più favorevole rispetto a quella prevista per il cittadino italiano, nel caso in cui tali previsioni siano finalizzate ad una piena attuazione del diritto di uguaglianza sostanziale.
Allo stesso modo, il secondo comma dell'art. 10 Cost. non prevede una generale parità di trattamento tra lo straniero ed il cittadino italiano, inducendo, quindi, a ritenere legittimi interventi normativi che dispongano un trattamento di favore nei confronti di chi è in possesso dello status civitatis (v. UD 13). Ciò chiaramente non significa che in tale ambito non trovi applicazione il generale principio di uguaglianza in relazione al godimento dei diritti fondamentali. Sebbene, infatti, ad un primo esame del mero dato letterale possa sembrare che i soli destinatari della norma in questione siano i cittadini, l'applicazione soggettiva della norma è stata nel tempo ampliata, soprattutto grazie al lavoro interpretativo della Corte Costituzionale.
La questione è stata affrontata per la prima volta nella sentenza del 15 novembre 1967, n. 120con la quale la Corte Costituzionale ha posto quelle che sarebbero poi state le basi per la successiva interpretazione del principio di uguaglianza, affermando che il disposto di cui all'art. 3 Cost. deve essere letto in congiunzione con gli artt. 2 e 10, co. 2 Cost., i quali, rispettivamente, statuiscono il riconoscimento a tutti gli individui della tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e il rispetto della legge e delle norme internazionali nella determinazione della condizione giuridica dello straniero. Partendo da tali premesse, quindi, la Corte è giunta ad affermare che, seppur la lettera dell'art. 3 Cost. si riferisca espressamente solo a coloro i quali detengono lo status civitatis, il principio di uguaglianza vale anche per gli stranieri quando si opera nell'ambito dei diritti inviolabili dell'uomo. In altre parole, l'art. 3 Cost. si applica anche agli stranieri qualora la questione verta in tema di diritti fondamentali, che, in virtù del disposto dell'art. 2 Cost., devono essere garantiti a tutti gli individui, anche in conformità ai trattati internazionali. Tale impostazione, peraltro, non impedisce che a parità di posizioni soggettive, in concreto possano presentarsi situazioni differenti che il legislatore può disciplinare in modo diverso e discrezionale, nei limiti del generale principio di ragionevolezza e della applicazione del principio di uguaglianza sostanziale.
(Sul punto la Corte Costituzionale ha mantenuto costante giurisprudenza: sentenza 19 giugno 1969, n. 104sentenza 04 gennaio 1977, n. 46sentenza 15 giugno 1979, n. 54).
Per quanto attiene, invero, alla riserva di legge imposta al legislatore in tema di disciplina della condizione giuridica dello straniero, nonostante oggi appaia quale norma meramente procedurale, al momento della redazione della Carta costituzionale, tale scelta aveva un significato ben preciso. In passato, infatti, la determinazione della posizione dello straniero sul territorio nazionale e la tutela allo stesso accordata avevano un ruolo assai rilevante nella definizione delle relazioni tra gli Stati. Appare, quindi, giustificata la scelta costituzionale di sottrarre alla sfera sub legislativa la disciplina del trattamento dello straniero. Pacificamente la riserva di legge in esame è da intendersi relativa e non assoluta: alla legge, ovvero ad atti ad essa parificati, spetta la disciplina di principio, mentre la regolamentazione di dettaglio è demandata a norme di secondo grado.