Unita didattica II - Ingresso


II. 4 Il visto

Come già accennato per fare ingresso in Italia occorre essere in possesso di visto. Il visto è un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero che permette al cittadino di un Paese non appartenente all'Unione Europea di fare ingresso in Italia.

L’aver ottenuto un visto non significa avere un diritto di ingresso nel paese per cui il visto è stato rilasciato o per l’area Schengen. Il rilascio del visto non impedisce che alla frontiera a seguito dei controlli lì effettuati, la persona possa essere respinta. Al fine di evitare arbitri da parte degli Stati, il respingimento dovrebbe avvenire per ragioni ulteriori rispetto a quanto già accertato dallo Stato medesimo quando ha rilasciato il visto. Non possono ciò essere messi in discussione gli elementi già verificati dallo Stato, a meno che siano emersi elementi ulteriori successivi al rilascio del visto (ad esempio la scoperta della non veridicità dei documenti presentati o delle dichiarazioni rilasciate al momento della richiesta di visto) oppure il mancato possesso di requisiti ulteriori oltre a quello del visto.

La materia dei visti è disciplinata da tre fondamentali regolamenti comunitari:

  • il regolamento 1683/1995 che introduce un modello uniforme di visto tra tutti gli Stati membri della Unione Europea.
  • il regolamento 1806/2018 che definisce i cittadini di quali Stati devono dotarsi di visto per fare ingresso nell’Unione Europea e quali sono invece esenti da questo obbligo;
  •  il regolamento 810/2009 (cd. Codice Visti) che disciplina i visti di breve durata (per un soggiorno inferiore a 90 giorni), riconosciuti da tutti gli Stati membri.

Questi tre regolamenti vincolano tutti gli Stati Membri che, tuttavia mantengono ancora un potere autonomo su alcuni aspetti.

Il regolamento 1806/2018 stabilisce regole comuni per i visti di breve durata (cfr. d.lgs. 286 del 1998, art. 4, co. 5, cit.).

Il rischio di immigrazione illegale, i motivi di ordine pubblico e sicurezza, la coerenza regionale e la reciprocità sono i criteri - molto ampi - indicati per stabilire la necessità o meno di visto per i soggiorni di breve durata. In concreto la lista degli Stati i cui cittadini debbono munirsi di visto comprende tutti i paesi in via di sviluppo, quelli instabili politicamente a causa di conflitti oppure governati da regimi ritenuti autoritari.

Per i visti di lunga durata è il singolo Stato membro a stabilire a quali Stati chiedere il visto. L’Italia richiede a tutti i cittadini di Paesi Terzi di munirsi di visti di lunga durata (o Visto Nazionale, vedi oltre), indipendentemente dall'esenzione per il visto di breve durata.

I cittadini di alcuni paesi possono fare ingresso nell'Unione europea soltanto se in possesso di passaporto biometrico. Si veda sul sito del Ministero degli Affari Esteri la lista dei Paesi esenti dall'obbligo di visto.

Per un più efficace controllo dei visti è stata istituita una piattaforma comune di scambio di informazioni, denominata VIS (Visa Information System), che nell’ottobre del 2011 ha cominciato ad essere consultabile da tutti i consolati dei Paesi Schengen in Nord Africa e progressivamente sarà estesa in tutti i paesi.  Nel primo semestre del 2015 tutti i consolati sono stati muniti dell'accesso a questa piattaforma.

Il regolamento 810/2009 (cd. Codice Visti) disciplina le diverse tipologie di visto e il procedimento relativo al rilascio. Le principali tipologie di visto indicate nel regolamento sono:

  • il visto Schengen uniforme (VSU, tipo C) per l’ingresso e il soggiorno nell’area Schengen per un massimo di 90 giorni;
  • il visto Schengen uniforme (VSU, tipo A) ai soli fini del transito verso uno Stato terzo, valido il periodo necessario al transito;
  • il visto a validità territoriale (VTL), valido soltanto per uno o più Stati membri dell’Unione Europea, senza possibilità di fare ingresso in altri Stati, nemmeno per il transito;
  • il visto per soggiorno di Lunga Durata o “Nazionali” (VN, tipo D), valido per soggiorni di oltre 90 giorni, con uno o più ingressi, nel territorio dello Stato Schengen che ha rilasciato il visto. I titolari di Visto D possono circolare liberamente nei Paesi Schengen diversi da quello che ha rilasciato il visto, per un periodo non superiore a 90 giorni per semestre e solo se in possesso di visto in corso di validità.

Il decreto interministeriale n. 850 dell’11 maggio 2011 denominato “definizione delle tipologie dei visti d’ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento” precisa all'allegato A le diverse tipologie di visto, sia di breve durata che di lunga durata.

La domanda di visto deve essere presentata dall'interessato, presentandosi al consolato competente. Il richiedente il visto deve presentare il passaporto o documento di viaggio equivalente e una fotografia; consentire alla rilevazione digitale delle impronte delle 10 dita. I requisiti di ricevibilità della domanda includono il pagamento di una tassa , la presentazione di documenti che indichino la finalità del viaggio; la disponibilità di un alloggio o di mezzi sufficienti per procurarselo, la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per il soggiorno e il viaggio di ritorno, la sincerità dell’intenzione di lasciare il territorio dell’Unione Europea, prima della scadenza del visto richiesto ed infine il possesso di una adeguata assicurazione di viaggio (art. 13 – 15 del codice visti).

Il d.lg. 286 del 1998, art. 4, co. 2, cit. precisa che in mancanza dei requisiti per il rilascio del visto, il diniego deve essere comunicato al richiedente tramite la rappresentanza diplomatica o consolare italiana in lingua a lui comprensibile o, in difetto, in inglese, francese, spagnolo o arabo.

Il diniego di visto deve essere motivato e redatto su un apposito modulo. Cosi prevede l’art. 32 del Codice Visti - nonostante l’ostilità da parte di alcuni Stati membri che si opposero all'introduzione dell’obbligo di motivazione, obbligo che venne poi introdotto per insistenza del Parlamento Europeo. Per quanto riguarda l’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione è comunque previsto dalla l. 241 del 07 agosto 1990. Tuttavia, in presenza di motivi di sicurezza o di ordine pubblico, tale onere, fondamentale ai fini sia della trasparenza dell’azione amministrativa che dell’esercizio del diritto di difesa, può essere derogato. Non è pero possibile alcuna deroga per i visti per motivi di lavoro subordinato, stagionale e autonomo; ingresso e soggiorno per lavoro in casi particolari (d.lgs. 286 del 1998, art. 27, cit.); ricongiungimento familiare; cure mediche e per l’accesso all'istruzione universitaria.

Il diniego di visto per motivi di ordine pubblico è in molti casi legato al c.d. “rischio migratorio”, cioè il rischio che lo straniero, una volta giunto in un paese Schengen non ritorni in patria alla scadenza del visto ma permanga illegalmente nel paese di destinazione.  Alcune pronunce della giurisprudenza di merito italiana hanno precisato che il diniego deve indicare i profili di pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, altrimenti il rifiuto di visto è illegittimo (TAR Lombardia, Milano, sez. III, 5 luglio 2010, n. 2707). Inoltre, il giudice in caso di impugnazione del diniego di visto, può sindacare le ragioni poste a sostegno del diniego di visto (TAR Lazio, Roma, 2 aprile 2009, n. 3565). Se ne deduce che secondo la giurisprudenza, la PA sia tenuta a motivare, seppur sinteticamente, il diniego di visto e non può limitarsi ad addurre la sussistenza di motivi di sicurezza o ordine pubblico senza precisare di quali motivi si tratti. 

Il Codice Visti prevede che il diritto di ricorso avverso il diniego di visto sia oggetto di disciplina autonoma da parte di ogni Stato membro.

In Italia si può proporre ricorso avverso il diniego del visto d’ingresso al T.A.R. Lazio, sede di Roma, entro 60 giorni dalla comunicazione del provvedimento di rigetto.

Come è ovvio non sempre è cosi semplice ricorrere in concreto avverso tale provvedimento: i costi, le difficoltà di prendere contatto con un avvocato italiano rendono spesso più semplice ripresentare la domanda.

Sono invece frequenti i ricorsi contro il diniego di visto per ricongiungimento familiare perché anche il familiare che dall'Italia ha effettuato la richiesta di ricongiungimento è legittimato a proporre impugnazione, superando così le difficoltà pratiche dovute al non essere nel Paese a cui si è fatta domanda di visto.

In caso di ricongiungimento famigliare la competenza a decidere sui ricorsi contro il diniego di visto spetta – in base al d.lgs. 286 del 1998, art. 30, co. 6, cit., al Tribunale ordinario senza limiti di tempo. 

Va precisato che il visto è titolo di ingresso e anche di soggiorno fino a tre mesi. Non occorre infatti in questi casi chiedere un permesso di soggiorno. Lo straniero ha diritto di permanere nel paese Schengen per il periodo indicato nel visto e comunque non oltre i 90 giorni. Al momento dell’ingresso in Italia, lo straniero deve effettuare una dichiarazione di presenza alla Polizia di frontiera che appone un timbro sul suo passaporto. Tale timbro attesta la data di ingresso. Se lo straniero proviene da un altro paese Schengen deve effettuare una dichiarazione di presenza presso la questura della provincia in cui si trova, entro 8 giorni lavorativi dall'ingresso. L’inosservanza di tali procedure determina, come la permanenza oltre il termine previsto dal visto, l’espulsione.

A fine 2017 è stato approvato un nuovo regolamento europeo (Regolamento UE 2017/2226) che istituisce l'Exit Entry System, un database che registra l'ingresso e l'uscita di gran parte dei cittadini di Paesi Terzi non soggetti all'obbligo di visto.


APPROFONDIMENTO IV - EXIT ENTRY SYSTEM