Unità didattica IV - Ingresso e soggiorno per lavoro
2. IV.2. L'ingresso per motivi di lavoro subordinato
Come abbiamo visto l’autorizzazione all’assunzione di un lavoratore straniero che non sia già regolarmente soggiornante sul territorio nazionale e, quindi, il rilascio in suo favore di un visto per motivi di lavoro è consentita solo all’interno delle quote numeriche previste dal decreto flussi annuale adottato. Solamente, quindi, una volta che tale decreto sia stato emesso e che le relative quote lo consentano, si avvierà la complessa procedura che potrà condurre alla stipulazione di un contratto di lavoro tra un datore di lavoro presente sul territorio nazionale ed un lavoratore straniero residente all’estero.
Ai sensi del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 22, co. 1 è istituito, in ogni provincia, presso la Prefettura-Ufficio territoriale del Governo, lo Sportello Unico per l’Immigrazione, che è responsabile dell’intero procedimento relativo all’assunzione dei lavoratori extracomunitari residenti all’estero e dell’instaurazione del rapporto di lavoro nell’ambito del decreto flussi. Questa previsione consente di ridimensionare, concentrando la procedura in un unico ufficio, l’eccessivo frazionamento di competenze tra i vari enti coinvolti nel procedimento in questione: questure, prefetture e direzioni provinciali del lavoro.
La l. del 30 luglio 2002, 189 ha profondamente inciso sulla procedura di ingresso per motivi di lavoro, sul presupposto - tanto politicamente orientato, quanto concretamente inattuabile - che nessuno straniero debba entrare in Italia se prima non ha un lavoro, nella prospettiva di realizzare l'incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro, come vedremo nel prosieguo.
Coerente con tale impostazione di fondo è l’abrogazione del d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 23 (nella versione originaria del 1998), che consentiva l’ingresso sul territorio per “inserimento nel mercato del lavoro”, previa verifica della garanzia fornita in favore dello straniero da parte di un garante legalmente residente in Italia (il c.d. sponsor).
Questa previsione consentiva l’ingresso di stranieri per ricerca lavoro per la durata massima di sei mesi, decorsi i quali, in assenza dell’instaurazione di un rapporto di lavoro lo straniero doveva rientrare nel Paese di origine o provenienza, viceversa il permesso di soggiorno si convertiva in permesso per lavoro.In tal modo si poteva verificare in Italia l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. A questo proposito va sottolineato che i comparti che attraggono manodopera straniera in Italia sono principalmente quello delle imprese artigiane, della piccola impresa, del lavoro domestico e di cura e assistenza delle persone anziane e dei minori. Costituisce un dato di comune esperienza che in questi settori, a differenza di quanto accade per i lavoratori ad altissima qualificazione, difficilmente un datore di lavoro assume una persona che non conosce direttamente, stante il rapporto fiduciario tipico di questi lavori.
Attualmente il sistema di ingressi per lavoro prevede due forme di assunzione: la richiesta nominativa di un lavoratore residente all’estero e la richiesta numerica di uno o più lavoratori stranieri che siano preventivamente iscritti nelle liste degli “stranieri che aspirano a lavorare in Italia” presso l’autorità consolare italiana nel Paese di origine. Tali liste sono create in forza di intese bilaterali con i paesi di origine degli stranieri e sono compilate sulla base del mero ordine di precedenza delle domande, con indicazione per ciascun lavoratore della qualifica, delle capacità professionali nonché del grado di conoscenza della lingua italiana. Da queste liste, congruamente trasmesse al Ministero del lavoro e inserite nel sistema informativo delle Direzioni Provinciali del Lavoro, il datore di lavoro in Italia potrà attingere sia con chiamata numerica (indicando solo il numero di lavoratori richiesti, i quali saranno avviati secondo l’ordine di iscrizione alla lista) sia per chiamata nominativa (in tal caso, però, la richiesta di assunzione prescinde dal previo inserimento del lavoratore nelle liste, nel senso che il datore di lavoro può chiamare qualsiasi straniero residente all’estero, non necessariamente inserito nelle liste).
In entrambi i casi presupposto fondamentale dell’assunzione del lavoratore extracomunitario è la mancata conoscenza diretta tra questo ed il datore di lavoro, il quale - in teoria- non ha alcuna informazione, se non quelle fornite dall’elenco depositato presso l’ambasciata (per la chiamata numerica) e quelle che possa essersi procurato per conto proprio (per la chiamata nominativa).
Tale sistema risulta di difficile funzionamento. L'idea che un datore di lavoro sia interessato all’assunzione di un lavoratore che non ha mai visto e di cui ha una conoscenza meramente cartolare, peraltro estremamente limitata, e, per di più, ne chieda l’assunzione con ampio anticipo (mesi ovvero anni) rispetto alle concrete esigenze del mercato produttivo risulta poco realistico.
Non stupisce che nella pratica le domande fossero formulate quasi integralmente, con richiesta nominativa, indicando il nome di un lavoratore che nella maggior parte dei casi il datore di lavoro già conosceva per averlo avuto alle proprie dipendenze, spesso come lavoratore irregolare. In tale situazione, il lavoratore doveva tornare nel proprio paese di origine al fine di ritirare il visto d’ingresso per poi rientrare regolarmente sul territorio nazionale.
Prima di inoltrare la domanda di assunzione
il datore di lavoro, secondo quanto previsto dalla nuova formulazione del d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 22 co. 2, dovrà tuttavia verificare, presso il centro per
l’impiego competente, l’indisponibilità di un lavoratore già presente sul
territorio nazionale ad occupare tale posto di lavoro. Fatta tale verifica il
datore di lavoro può presentare, tramite procedura telematica, la domanda di
assunzione, contenente: a) i dati identificativi del datore di lavoro, compresi
quelli relativi alla posizione fiscale e previdenziale; b) i dati
identificativi del lavoratore (in caso di richiesta nominativa); c) il
trattamento retributivo e assicurativo previsto per il lavoratore (che non può
mai essere inferiore a quello previsto dal C.c.n.l. di categoria per quel
determinato livello e mansione); d) l’indicazione dell’alloggio previsto per il
lavoratore; e) l’impegno a sostenere le spese di viaggio in caso di rimpatrio;
f) l’impegno a comunicare tempestivamente ogni variazione del rapporto di
lavoro.
Alla domanda di assunzione devono poi allegarsi: a) autocertificazione dell’iscrizione dell’impresa alla Camera di commercio, industria ed artigianato, per le attività per le quali tale iscrizione è richiesta; b) autocertificazione della posizione previdenziale e fiscale atta a comprovare, secondo la tipologia di azienda, la capacità occupazionale e reddituale del datore di lavoro; c) la proposta di stipula di un contratto di soggiorno a tempo indeterminato, determinato o stagionale, con orario a tempo pieno o a tempo parziale e non inferiore a 20 ore settimanali e, nel caso di lavoro domestico, una retribuzione mensile non inferiore al minimo previsto per l’assegno sociale.
Entro il termine di sessanta, lo Sportello Unico Immigrazione, dopo aver sentito il questore e verificato l’applicazione dei contratti collettivi, dovrà provvedere al rilascio del nulla osta, il quale ha una validità non superiore a sei mesi. Al datore di lavoro, infine, viene riconosciuta la facoltà di chiedere allo Sportello Unico Immigrazione la trasmissione telematica della documentazione agli uffici consolari per il rilascio del visto di ingresso.
Il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 22 co. 5 prevede che il nulla osta sia rifiutato se il datore di lavoro è stato condannato (anche con sentenza non definitiva o a seguito del cd. patteggiamento) per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione o emigrazione clandestina, di reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite, di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro o per il reato di occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno.
Una volta rilasciato il nulla osta, il lavoratore nel paese di origine può recarsi all’ufficio consolare del suo paese (a cui nel frattempo lo Sportello Unico per l’Immigrazione ha trasmesso il nulla osta) per inoltrare al richiesta di visto.
La fase successiva della procedura di ingresso è rappresentata dal rilascio del visto di ingresso con indicazione del codice fiscale da parte degli uffici consolari del Paese di origine o di residenza dello straniero.
Quest’ultimo, come già precisato, è tenuto a soggiornare nel paese di origine sino alla definizione della procedura di ingresso, dovendosi, per contro, ritenere inammissibile la domanda avanzata nei confronti di un soggetto già presente sul territorio nazionale.
Entro otto giorni dal suo ingresso, pertanto, il lavoratore straniero è tenuto a presentarsi per la firma del contratto di soggiorno al competente Sportello Unico Immigrazione, che provvederà alla trasmissione dello stesso all’autorità consolare e al centro per l’impiego. L’effettiva insaturazione del rapporto di lavoro decorrerà dal giorno della sottoscrizione del contratto da parte del lavoratore.
La procedura esposta attiene all’assunzione del lavoratore extracomunitario in occasione del primo ingresso.
In un più ambito lavoro del Governo di semplificazione della pubblica amministrazione il d.l. del 21 giugno 2022 n. 73, come convertito in l. del 04 agosto 2022 n. 122, si è assistito ad un primo mitigamento del rigido meccanismo di assunzione del cittadino straniero. Sebbene limitato ai flussi di ingresso emanati per il 2021 - una piccolo quota specifica per lavoratori edili - si è ammessa per la prima volta l'assunzione anche di stranieri già presenti in Italia al maggio 2022, ancorchè in condizione irregolare. Inoltre, si prevede l'emissione del nulla osta all'ingresso nel termine di soli 30 giorni dalla richiesta e del visto di ingresso in 20 giorni.
Diverse sono invece le modalità di assunzione dello straniero già regolarmente soggiornante. L’art. 17 del D.L. del 9 febbraio 2012 n. 5 (cd. Decreto semplificazioni, convertito con L. 4 aprile 2012 n. 35) riduce il “contratto di soggiorno” ad una mera comunicazione da effettuare al Centro per l’impiego (e non più allo Sportello Unico Immigrazione o alla Questura). Resta tuttavia fermo l’onere in carico al datore di lavoro di garantire l’alloggio e le spese di rimpatrio (come previsto dal D.P.R. 394 del 1999, cit. art. 36). Non si nascondono le perplessità che tale ultima previsione suscita poiché come è noto, una volta acquisito il titolo di soggiorno, il lavoratore beneficia del diritto alla parità di trattamento con il lavoratore italiano (come peraltro ribadito dal d.lgs. 286 del 1998, cit. art. 2 co. 3), e di conseguenza deve poter stipulare i contratti senza essere gravato da formalità e requisiti aggiuntivi. Tali perplessità hanno trovato in parte soluzione come si vedrà nel prossimo paragrafo.