Unità didattica VII - La protezione internazionale
APPROFONDIMENTO 2 – Omosessualità e protezione internazionale
In molti Paesi del mondo i rapporti omosessuali sono considerati alla stregua di un grave tabù sociale e religioso, repressi con atti di violenza, atteggiamenti discriminatori, ostracizzazione dalla comunità ed in alcuni casi perseguiti anche penalmente. In tali condizioni, l'orientamento sessuale di una persona diviene di rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.
Sul punto appaiono esaustive due importanti arresti giurisprudenziali.
In data 20 settembre 2012 la Corte di Cassazione, seguendo un orientamento già consolidato tra le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e i tribunali di merito, ha riconosciuto lo status di rifugiato in capo ad un cittadino senegalese, il quale aveva affermato di non poter far ritorno nel proprio Paese di origine senza correre il rischio di subire gravi forme di persecuzioni in ragione del suo orientamento sessuale sia per le forti limitazioni a livello familiare, tradizionale e sociale sia per la criminalizzazione degli atti omosessuali prevista dal codice penale senegalese puniti con la reclusione sino a cinque anni (Cass. Civ., Sez. VI, 20 settembre 2012, n. 15981/12). La Suprema Corte ha affermato che tale sanzione penale comporta di sé la privazione del diritto fondamentale di vivere liberamente la propria vita sessuale ed affettiva, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, compromettendone in modo significativo la libertà personale. In tale ingerenza la Corte di Cassazione individua una violazione dei diritti fondamentali dell'uomo così come tutelati dalla Costituzione italiana e dalla CEDU.
Ancora più recente è la pronuncia della Corte di Giustizia dell'Unione europea, che con una sentenza del 07.11.2013 ha risposto ad importanti quesiti pregiudiziali circa l'interpretazione degli artt. 9 e 10 della direttiva 2004/83/CE (CGUE, 07 novembre 2013, C-199/12, C-200/12 e C-201/12, Minister voor Immigratie en Asie/X. e Y.) .
In primo luogo, la CGUE ha riconosciuto che, ai fini della valutazione della motivazione della persecuzione, le persone di orientamento omosessuale possono essere qualificate quale “particolare gruppo sociale” (art. 10, co. 1 lett. d)): l'omosessualità, infatti, si configura quale caratteristica fondamentale dell'identità di un individuo, alla quale non può rinunciare, e l'insieme di tali persone è percepito dalla società esterna, proprio in virtù di tale caratteristica, come diverso.
In secondo luogo, la Corte ha evidenziato che la previsione di una pena detentiva a sanzione di tali atti, se effettivamente applicata nella prassi, debba valutarsi alla stregua di una sanzione sproporzionata e discriminatoria, tanto da costituire un atto di persecuzione ai sensi dell'art. 9, co. 2 lett. c) della Direttiva 2004/83/CE.
Le due pronunce esaminate pur evidenziando entrambe come la criminalizzazione dell'omosessualità configuri una grave limitazione del godimento dei diritti fondamentali dell'uomo e nonostante giungano a rilevare in tale situazione la sussistenza di atti di persecuzione e degli elementi utili ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, pongono in essere due diversi ragionamenti giuridici.
Mentre la Corte di Giustizia dell'Unione Europea individua gli atti di persecuzione nella applicazione concreta di una sanzione penale discriminatoria e sproporzionata, quale la previsione di una pena detentiva per la commissione di atti omosessuali, che deve essere applicata in concreto, la Corte di Cassazione apre essere sul punto più aperta e flessibile. Secondo la giurisprudenza italiana, infatti, la sola presenza di tale fattispecie penale può di per sé stessa integrare un atto di persecuzione nei confronti del cittadino di un Paese terzo omosessuale, atteso che in caso di rimpatrio egli sarebbe tenuto a nascondere o, comunque a vivere in modo segreto, il proprio orientamento sessuale e, conseguentemente, la propria vita affettiva.
Sebbene sia agevole, alla luce delle pronunce sopra evidenziate, individuare un profilo persecutorio negli atti di repressione della omosessualità, estremamente difficile appare determinare la credibilità del richiedente asilo in merito all'asserito orientamento sessuale.
L'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite, nel tentativo di orientare le autorità amministrative e giudiziarie coinvolte nella valutazione delle richieste di protezione internazionale in tema di persecuzione per motivi di orientamento e/o identità sessuale ha stilato delle Linee Guida in materia di protezione internazionale n. 9, aggiornate nel 2012.
In primo luogo, viene posta l'attenzione sulla terminologia da utilizzarsi con riferimento alla distinzione tra l'orientamento sessuale – quale la capacità di una persona di provare attrazione emotiva, affettiva e sessuale nei confronti di persone dello stesso genere, di genere diverso o di entrambi i generi - ed identità sessuale, ove si intende l'esperienza intima e personale del proprio genere, rispetto al quale può esservi o meno corrispondenza. La percezione del proprio orientamento sessuale così come della propria identità di genere rimane legata alla sfera personale e si manifesta in modo differente e unico in ogni singola persona; ciò che invece appare definibile in modo chiaro è che il proprio orientamento sessuale non è, quasi mai, una scelta predeterminata.
Inoltre, le Linee guida forniscono utili indicazioni circa il comportamento che l'esaminatore deve tenere nel corso della audizione di un richiedente asilo LGBTI, ove si raccomanda di creare un clima di fiducia tra il richiedente e l'esaminatore in un ambiente aperto e rassicurante. Tale raccomandazione si fonda sulla consapevolezza che i richiedenti asilo LGBTI che provengono da Paesi in cui l'omofobia è particolarmente diffusa e sfocia in gravissimi atti di discriminazione e di violenza possano avere, in ragione delle condizioni di vita nel proprio Paese di origine o di provenienza, la tendenza a nascondere la loro omosessualità, tanto da renderli soggetti estremamente vulnerabili.
In un tale contesto è importante che l'esaminatore non esprima alcun giudizio sull'orientamento sessuale, il comportamento sessuale, l'identità di genere o i modelli relazionali del richiedente ed utilizzi un linguaggio appropriato e non offensivo, al fine di evitare, da un lato, che venga meno il clima sereno che deve rassicurare il richiedente nel momento in cui rende la propria audizione personale, dall'altro, che il richiedente, percependo un giudizio negativo, sia restio a raccontare in piena libertà la propria storia
Per quanto attiene all'accertamento dell'orientamento sessuale palesato dal richiedente asilo, le Linee Guida in esame evidenziano come tale operazione verta essenzialmente in merito alla questione della credibilità ed a tali fini vengono individuati degli ambiti che possono essere oggetto di approfondimento:
- L'autoidentificazione come LBGTI. La specifica collocazione di sé stesso in una o più delle predette categorie da parte dello stesso richiedente è certamente da considerarsi quale indice dell'orientamento sessuale, ma la sua definizione deve essere valutata alla luce del contesto sociale e culturale di provenienza: ad esempio, lo stesso richiedente può provare profonda vergogna o aver interiorizzato forme di omofobia, tanto da negare il proprio orientamento o leggerlo attraverso un registro proprio degli eterosessuali.
- L'infanzia è altresì un periodo di vita di particolare rilevanza, considerato soprattutto che “l'attrazione fisica su cui si fonda l'orientamento sessuale che si avrà da adulti può emergere in periodo compreso tra l'infanzia avanzata e la prima adolescenza”, pur non potendosi a priori certamente escludere la manifestazione di sentimenti di attrazione anche in età matura. In merito si rileva come in alcune occasioni, in particolare nel caso in cui il richiedente provenga da un Paese in cui la società sia fortemente e apertamente omofoba, il contesto culturale di provenienza può influire in modo significativo sul modo in cui costui si autoidentifica. Non è infrequente che egli abbia interiorizzato espressioni o comportamenti omofobi, tanto da utilizzarli anche ai fini della propria identificazione. In altri casi, il richiedente può aver addirittura contratto matrimonio con una donna al fine di assecondare le pressioni sociali, culturali e religiose del Paese di provenienza.
- L'accettazione di sé e la consapevolezza del proprio orientamento, sono altresì, degli elementi di significativa rilevanza, ma variano inevitabilmente nei modi e nei tempi diversi in ogni persona.
- Le relazioni familiari sono certamente rilevanti nella narrazione della determinazione dell'orientamento sessuale di un richiedente asilo, e possono, talvolta essere molto conflittuali nel caso in cui tale orientamento venga apertamente rivelato o scoperto.
- Anche i rapporti con la comunità LGBTI del Paese di origine possono essere indice di credibilità, tuttavia, le stesse Linee Guida, evidenziano che molto spesso l'impossibilità di vivere apertamente e liberamente il proprio orientamento sessuale può indurre il richiedente a non frequentare gruppi LGBTI ovvero può comportare il fatto che egli non sia a conoscenza della loro esistenza nel Paese di origine, così come non sappia indicare locali o luoghi di ritrovo in tema.
Dalla disamina di tali indicazioni appare evidente come non sia possibile definire in modo netto e preciso degli elementi che possano dirsi indicatori della sussistenza di uno specifico orientamento sessuale piuttosto che di un altro ovvero che possano assurgere quali segnali utili ai fini della determinazione della credibilità del richiedente asilo.
La testimonianza del richiedente costituisce molto spesso l'unica fonte di prova circa il proprio orientamento sessuale, alla quale, raramente possono affiancarsi prove testimoniali, provenienti dal partner, ovvero prove documentali, quali la partecipazione attiva in associazioni a tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.
E' vietata ogni qualsivoglia pretesa di prova “fisica e tangibile” della affermata omosessualità del richiedente. Sul punto di è espressa a chiare lettere la Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che, con sentenza del 02.12.2014, ha affermato che l'interpretazione dell'art. 4, par. 3 lett. c) direttiva 2004/83/CE (recepito nell'art. 3 del d.lgs 251/07) recante nome minime in materia di attribuzione della protezione internazionale osta alla sottoposizione del richiedente asilo, nel corso dell'esame da parte delle autorità nazionali competenti in merito al riconoscimento della protezione internazionale, queste accettino quali elementi di prova il compimento di atti omosessuali, la produzione di immagini o video di tali atti ovvero la sua sottoposizione a test per provare la propria omosessualità, poiché ritenuti lesivi della dignità umana (CGUE, A., B., C./Staatsecretaris van Veiligheid en Justitie, C-148/13, C-149/13 e C-150/13, del 2.12.2014).
Allo stesso modo, l'effettuazione di test medici sull'orientamento sessuale altro non sono che gravi forme di lesione della dignità umana e dei diritti fondamentali.