Unità Didattica IX - La procedura di riconoscimento della protezione internazionale
IX.3. I centri per stranieri
Il sistema di accoglienza dei cittadini stranieri è articolato in fasi differenti ed è stato oggetto di diverse modifiche nel corso degli anni. Tali forme di accoglienza sono rivolte, nella loro prima fase, agli stranieri appena giunti in Italia, in particolare con mezzi di fortuna ed in modo non regolare, mentre le forme di accoglienza di secondo livello sono riservate ai richiedenti asilo, ai titolari di protezione internazionale o di altre forme di protezione ed ai minori stranieri non accompagnati.
Prima della adozione del d.lgs. n. 142 del 2015, cit. tali strutture erano le seguenti: i CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza); i CDA (Centri di Accoglienza) e i CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo). A questo si aggiungevano la rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e le strutture di accoglienza temporanea per richiedenti asilo (Centri di Accoglienza Straordinari - CAS), previste a partire dal 2011.
Alcune di queste strutture rimangono tutt'ora, altre sono state sostituite da nuovi centri.
I CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) sono strutture istituite nel 2006 al fine di garantire immediato soccorso e prima accoglienza agli stranieri appena giunti in Italia e prima di un loro trasferimento presso gli altri centri. In questi centri dovrebbe avvenire, nel più breve tempo possibile, l’identificazione di tutti gli stranieri, e la separazione tra i richiedenti asilo ed i migranti economici: i primi da indirizzare in un Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo (CARA), i secondi sottoposti all'immediato rimpatrio. Qualora ciò non fosse possibile questi ultimi venivano trattenuti in un Centro di Identificazione ed Espulsione (CIE - ora Centri di Rimpatrio CPR) in attesa del rimpatrio, oppure, qualora non fossero disponibili posti in tali centri, venivano muniti di un ordine del Questore di lasciare il territorio dello Stato entro sette giorni - v. UD XVI.
Nei CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) gli stranieri dovrebbero essere trattenuti per un periodo non superiore a 48 ore, il tempo necessario per assolvere alle attività di soccorso. Nei fatti, tuttavia, non sempre questa tempistica veniva rispettata e ciò che rende tale situazione particolarmente allarmante è che tali centri non hanno una disciplina legislativa.
I CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza) e i CDA (Centri di Accoglienza) sono spesso ricondotti alle strutture istituite nel 1995 con il d.l. n. 452 del 30 ottobre 1994, come convertito in l. n. 563 del 29 dicembre 1995, la cosiddetta “legge Puglia”. Tale normativa disciplinava i i primi CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) destinati a offrire immediato soccorso agli stranieri giunti irregolarmente in Italia, nonché a procedere alla loro identificazione in modo da legittimarne la presenza sul territorio o disporne l’espulsione. Tali strutture, inizialmente allestite solo nelle città di Brindisi, Lecce e Otranto - per i primi afflussi di massa dai Balcani - servivano a tentare di evitare interventi d’accoglienza improvvisati e a diminuire il consueto ricorso a provvedimenti emergenziali di protezione civile per affrontare il numero sempre più cospicuo di arrivi di cittadini stranieri. Questi ultimi rimanevano nei CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) per il periodo di tempo strettamente necessario all'attuazione delle funzioni stesse dei Centri. È bene ricordare che la legge istitutiva dei CTA (Centri Temporanei di Accoglienza) si riferiva unicamente a strutture adibite per la prima accoglienza in Puglia in una situazione specifica.
I CDA (Centri di Accoglienza) sono funzionali ad accogliere i migranti il cui status giuridico non è ancora definito e che sono in attesa di regolarizzare la propria presenza sul territorio nazionale. La normativa italiana, come per i CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), non definisce con precisione il limite temporale oltre il quale gli stranieri non possono più permanervi, né circoscrive le modalità di trattenimento e i diritti delle persone ivi presenti. Gli stranieri, secondo la norma italiana, devono rimanere in tali Centri esclusivamente per il tempo necessario all'adozione dei provvedimenti questorili (DPR n. 349 del 1999, cit, art. 23). Le carenze legislative indicate spesso si traducono in situazioni di limitazione della libertà personale senza che essa venga convalidata con un atto motivato dall'autorità giudiziaria.
I CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) sono stati creati con il d.lgs. n. 25 del 2008, cit. al fine di accogliere lo straniero richiedente asilo sprovvisto di documenti o che si è sottratto ai controlli alla frontiera in modo da renderne possibile l’identificazione e l’applicazione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. I richiedenti asilo rimanevano in tali strutture fino a che non veniva comunicato loro il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria oppure, in caso di parere negativo della Commissione, nei quindici giorni successivi il diniego. In ogni caso lo straniero non poteva rimanere nei CARA per più di sei mesi dalla presentazione della domanda d’asilo. Occorre evidenziare che gli stranieri accolti in questi Centri potevano lasciare le strutture durante il giorno, ma dovevano farvi ritorno per la notte. Nei fatti, però, i richiedenti asilo venivano sovente trattenuti nelle strutture o si trovavano in situazioni che rendevano difficile o poco sensato uscire dal complesso (diversi CARA erano infatti situati in aperta campagna o comunque lontani dai centri abitati in luoghi on raggiunti dal sistema di trasporto pubblico locale).
Il Progetto SPRAR (Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati) era gestito dal Ministero dell'Interno e dall'Associazione dei Comuni d'Italia, istituito con l. n. 39 del 1990, cit., artt. 1 sexies e 1 septies. Lo SPRAR costituiva una rete di enti locali coordinata e monitorata da una struttura di coordinamento centrale statale (Servizio Centrale dello SPRAR presso il Ministero dell'Interno) affidata all'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) in forza di una convenzione stipulata con il Ministero dell'Interno. Gli enti locali parte dello SPRAR realizzavano in forma singola o associata progetti di accoglienza integrata in strutture (appartamenti o centri collettivi) accedendo, attraverso un bando triennale di finanziamento, alle risorse di taluni fondi ministeriali ed europei (ad es. FAMI - Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione; FNPSA - Fondo nazionale per le politiche e i servizi per l'asilo; FEI - Fondi europei di integrazione). Vi trovavano accoglienza i richiedenti asilo e i titolari di protezione internazionale e umanitaria.
Come vedremo in seguito, negli ultimi anni la rete SPRAR ha cambiato nome in ragione delle diverse tipologie di ospiti a cui era riservata l'accoglienza, tuttavia la sua struttura non si è modificata nel tempo.
Infine nel 2011 per rispondere ai
significativi arrivi dalla Tunisia e dalla Libia in particolare, il Piano
Straordinario della Protezione Civile ha istituito dei Centri di Accoglienza
Straordinari (CAS), gestiti dalle Prefetture per il tramite di cooperative o società terze scelte o con bando di appalto o con chiamata diretta, strutture temporanee che dovevano rispondere alla situazione
contingente. Non stante la loro previsione emergenziale, tali strutture permangono tuttora come forma di accoglienza di secondo livello per i richiedenti asilo.
Con l'entrata in vigore del d.lgs. n. 142 del 2015, cit. questo complesso sistema ha subito una operazione di riordino, strutturandosi in modo più chiaro in 3 fasi:
1) una primissima fase di soccorso, prima accoglienza e identificazione, che si svolge nei CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza)/CDA (Centri di Accoglienza) (art. 8);
Segue la fase di accoglienza struttura su due livelli
2) una fase di prima accoglienza in appositi centri governativi (Centri governativi di prima accoglienza, CPA, nuova definizione dei CARA analizzati sopra), in cui il richiedente formalizza la domanda di protezione internazionale (art. 9);
3) una seconda fase di accoglienza riguardante il richiedente che ha formalizzato la domanda e che sia privo di mezzi di sussistenza. L'accoglienza dei richiedenti asilo avveniva in via prioritaria in un centro di accoglienza afferente alla rete SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e solo in caso di mancanza di posto in tali strutture verso un CAS (Centro di Accoglienza Straordinari)- A seguito della novella legislativa del 2018 - d.l. 113 del 2108, cit., come convertito in l.n. 132 de 2018, cit. - i richiedenti asilo sono accolti solo nelle strutture CAS, mentre i posti nella rete SPRAR - divenuta SIPROIMI (Sistema di Protezione per i Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri non accompagnati) - era riservata ai soli titolari di protezione internazionale, protezione sociale di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., artt. 18, 18 bis e 22, co. 12 quater -, permesso di soggiorno per cure mediche, atti di particolare valore civile, calamità e per i minori stranieri non accompagnati.
A seguito della entrata in vigore, del d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit. il SIPROIMI è sostituito dalla rete SAI - Sistema di Accoglienza e Integrazione ove sono ammessi nuovamente al suo interno i richiedenti asilo, nei limiti delle disponibilità dei posti e con priorità per coloro che rientrano nelle categorie vulnerabili – ad esempio donne, nuclei familiari, vittime di tratta o di tortura. Inoltre, in aggiunta a chi già è ammesso a tale forma di accoglienza in vigenza del SIPROIMI, vi rientrano, adesso, i minori stranieri non accompagnati dopo il raggiungimento della maggiore età se in prosieguo amministrativo – si veda UD X – i titolari di protezione speciale e di permesso di soggiorno per “casi speciali”, quale riconoscimento della protezione umanitaria dopo l'entrata in vigore del d.l. 133 del 2018, cit.
Per quanto riguarda il CPSA (Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 8 co. 2 prevede che “le funzioni di soccorso e prima accoglienza, nonché di identificazione continuano ad essere svolte nelle strutture allestite ai sensi del decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563" : null’altro dispone il decreto in commento riguardo alla primissima fase di accoglienza. Anche in questa occasione, dunque, il legislatore ha deciso di non regolamentare, almeno a livello di fonti primarie, questa fase decisiva dell’accoglienza (che riguarda tanto i richiedenti asilo, che i migranti economici), limitandosi ad un rimando alla cd. legge Puglia, che a sua volta non fa che prevedere la possibilità di istituire tali Centri, senza nulla dire riguardo al loro funzionamento.
Successivamente, il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 9 co. 1 prevede che “per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto negli appositi centri governativi (CPA, Centri di Prima Accoglienza: n.d.r.) istituiti con decreto del Ministero dell’interno”. La loro gestione è affidata ad enti locali, enti pubblici o privati che operano nel settore dell’assistenza ad immigrati e richiedenti asilo, secondo le procedure di affidamento dei contratti pubblici. Previo decreto del Ministro dell’Interno, anche le strutture di cui alla c.d. “Legge Puglia” possono essere destinate alle medesime finalità.
Nei CPA (Centri di Prima Accoglienza) il richiedente protezione internazionale è avviato dal Prefetto ed è accolto per il tempo necessario al completamento delle procedure di identificazione (già iniziate nei CPSA - Centri di Primo Soccorso e Accoglienza), alla verbalizzazione della domanda di protezione ed all'avvio della procedura di esame della domanda stessa. Contestualmente, si procede all'accertamento delle condizioni di salute del richiedente, anche al fine di verificare la sussistenza di situazioni di vulnerabilità. Espletate tali formalità, il richiedente che sia privo di mezzi di sussistenza e ne faccia richiesta, è avviato nelle strutture di seconda accoglienza-.
Il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 10 disciplina le modalità di accoglienza nei CPA (Centri di Prima Accoglienza), ove sono “assicurati il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, delle esigenze connesse all’età, la tutela della salute fisica e mentali dei richiedenti, l’unità dei nuclei familiari composti da coniugi e da parenti entro il primo grado, l’apprestamento delle misure necessarie per le persone portatrici di particolari esigenze” . Si prevede poi che sia consentita l’uscita dal centro nelle ore diurne, con obbligo di rientro in quelle notturne, e che lo straniero possa chiedere al prefetto “un permesso temporaneo di allontanamento” per periodi maggiori, con obbligo di motivazione dell’eventuale diniego. Infine, è assicurata la facoltà di comunicare con i rappresentanti dell’UNHCR, degli enti di tutela, dei ministri di culto, con avvocati e familiari .
Quanto alle condizioni materiali di
accoglienza, il d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 12 prevede che il Ministro dell’interno adotti con decreto
lo schema di capitolato di gara d’appalto per la fornitura dei bene e dei
servizi in tutte le diverse categorie di Centri, “in modo da assicurare livelli
di accoglienza uniformi nel territorio nazionale, in relazione alle peculiarità
di ciascuna tipologia di centro”. E' poi prevista l’individuazione di
“forme di partecipazione e di coinvolgimento dei richiedenti nello svolgimento
della vita nelle strutture” .
L’allontanamento ingiustificato dal centro comporta la revoca delle condizioni di accoglienza.
Anche i CPA (Centri di Prima Accoglienza), dunque, come i CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo) che vanno a sostituire, sono centri aperti, nei quali lo straniero richiedente protezione non è privato della libertà personale, ma è solo limitato nella libertà di circolazione.
Il quadro normativo della prima accoglienza, così sommariamente delineato, subisce una ulteriore modifica a seguito dell’attuazione di alcune delle disposizioni previste nella Agenda Europea sulla migrazione, una Comunicazione presentata a maggio 2015 in cui la Commissione europea ha delineato le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto.
L'attuazione delle misure della Agenda Europea sono inserite in un documento irrituale denominato “Roadmap italiana” che il Ministero dell’interno ha comunicato il 28 settembre 2015, con cui si davaconto della situazione attuale e delle prospettive in materia di accoglienza e di gestione dei richiedenti asilo.
La prima parte del documento chiariva la capacità del sistema di accoglienza e l’approccio hotspot.
In linea con l’Agenda europea sulle migrazioni, l’Italia adottava un nuovo approccio “hotspot”: si tratta di un “piano volto a canalizzare gli arrivi via mare in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri” (p 6 Road Map). A settembre 2015, quattro porti erano individuati come “hotspots”: Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani e Lampedusa, strutture di prima accoglienza con una capacità di 1.500 posti, a cui avrebbe dovuto seguire l’apertura di altre due aree, Augusta e Taranto, tuttavia, alcuni centri sono stati chiusi anche a seguito delle proteste delle persone lì presenti e alcuni (come Augusta) non sono mai stati aperti.
Il documento ministeriale indica chiaramente cosa sono le strutture “hotspots” e a cosa servono. Innanzitutto,
si tratta di centri “chiusi”, senza alcuna ulteriore specificazione.
Secondo poi la circolare 6.10.2015 del Dipartimento per le libertà civili e
l’immigrazione del Ministero dell’interno, “il meccanismo - a regime – prevede
che tutti i migranti sbarchino in uno dei siti hotspot individuati affinché possano
essere garantite, nell’arco di 24/48 ore, le operazioni di screening sanitario,
pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità),
registrazione e foto-segnalamento per ingresso illegale (categoria Eurodac 2)”.
Le procedure poi che devono venire attuate in questi “hotspots” sono le seguenti: 1) sottoposizione a screening medico, al fine di accertare problemi sanitari di immediata evidenza; 2) sottoposizione alla procedura di pre-identificazione, consistente in interviste ad opera di funzionari degli uffici immigrazione, per la compilazione del c.d. “foglio notizie” contenente le generalità della persona, la sua fotografia, le informazioni di base, nonché l’indicazione della volontà o meno di richiedere la protezione internazionale; individuazione delle persone che potrebbero rientrare nella procedura di ricollocazione. Nella Roadmap si precisa testualmente che “avrà luogo una prima differenziazione tra le persone richiedenti asilo/potenzialmente ricollocabili e quelle in posizione irregolare”; 3) sottoposizione ad interviste di carattere investigativo o di intelligence ad opera di funzionari di polizia investigativa, di Frontex ed Europol nei confronti di coloro che, sulla base delle prime risultanze, si presume possano fornire indicazioni utili; 4) separazione, dopo la pre-identificazione, delle persone che vengono segnalate come Categoria Eurodac 1 (richiedenti asilo, anche ricollocabili, che saranno inviati per la formalizzazione della domanda negli “hubs regionali”, i CPA), o Categoria Eurodac 2 (le persone in posizione irregolare che non richiedono protezione, destinate ad essere trasferite nei CPR in vista del più celere rimpatrio).