Unità Didattica IX - La procedura di riconoscimento della protezione internazionale
IX.2. Il procedimento Dublino
La volontà di cooperazione e gestione comune a livello europeo dell'asilo, trova la sua massima espressione nel procedimento cd “Dublino” circa l'individuazione dello Stato membro competente per l'esame della domanda di protezione internazionale. Con l'adozione della Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo si sono voluti perseguire due obiettivi principali:
1) garantire al richiedente asilo l'effettivo esame della sua domanda di protezione internazionale da parte delle autorità di uno dei Paesi membri, evitando così il fenomeno dei cd “richiedenti in orbita”, cittadini stranieri respinti ad ogni frontiera e di fatto impossibilitati a presentare l'istanza di protezione internazionale;
2) impedire la presentazione da parte della stessa persona in più Stati membri alla ricerca di una risposta positiva.
La convenzione è stata siglata il 15 giugno 1990 e ratificata dall'Italia con la l. 23 dicembre 1992 n. 523.
Il criterio sotteso a tale disciplina è quello della unicità della domanda, secondo cui il cittadino di un Paese terzo o l'apolide può presentare una sola domanda di protezione internazionale in uno degli Stati membri dell'Unione europea. Sulla base dei criteri che verranno esposti in seguito, lo Stato sarà competente all'esame della richiesta, senza che il richiedente possa in seguito ad una decisione negativa o nelle more del procedimento avanzare una nuova richiesta in un altro Stato membro.
Il sistema normativo si è evoluto nel corso degli anni attraverso l'adozione del Regolamento (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003 (c.d. Dublino II), oggi abrogato dal recentissimo Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 giugno 2013, entrato in vigore il 01 gennaio 2014 (cd. Dublino III).
La procedura in esame trova applicazione ogni qualvolta, in capo alle autorità nazionali competenti, sulla base delle informazioni fornite dal richiedente e dalle sue dichiarazioni, nonché dai rilievi fotodattiloscopici (le impronte digitali), sorga il dubbio circa la competenza dello Stato membro all'esame della domanda di protezione internazionale.
In merito alla condivisione dei dati a livello europeo si veda Approfondimento 3 - Eurodac.
I criteri utili ai fini della determinazione dello Stato membro competente devono essere applicati secondo un ordine gerarchico e sulla base della situazione del richiedente al momento della presentazione della prima domanda di protezione in un Paese membro (reg. n. 604 del 2013, art. 7).
Ai fini della determinazione della loro applicazione devono preliminarmente essere prese in considerazione eventuali situazioni meritevoli di particolare protezione, per poi passare alla individuazione di elementi oggettivi, come il Paese di primo ingresso.
Qualora la domanda sia presentata da un minore non accompagnato è competente lo Stato membro ove risiede legalmente il genitore ovvero un altro parente o persona incaricata della tutela del minore (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 8). Qualora ciò non sia possibile diventa competente lo Stato in cui il minore ha presentato la domanda di protezione e, nel caso in cui siano più di una, lo Stato in cui si trovi al momento della decisione, al fine di evitare trasferimenti che possano incidere negativamente sulla sua integrazione sociale, culturale e scolastica. Tale principio è stato codificato nella nuova normativa Dublino III, ma trae le sue origini dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE, 6 giugno 2013, C-648/11, The Queen, su istanza di MA e altri / Secretary of State for the Home Department). Sul punto deve aggiungersi che tutte le decisioni di trasferimento di un richiedente asilo, qualora coinvolgano dei minori, ancorché non richiedenti in prima persona, devono essere adottate in ossequio alla tutela del loro interesse preminente (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 6).
Per quanto attiene al diritto all'unità familiare, qualora un parente del richiedente sia già beneficiario della protezione internazionale ovvero abbia presentato domanda a tal fine in un altro Stato membro, questo diviene il Paese competente all'esame dell'istanza (reg. n. 604 del 2013, cit., artt. 9 – 10). A fronte, invece, di più domande presentate, simultaneamente o in tempi ravvicinati, da membri dello stesso nucleo familiare, le stesse vengono esaminate congiuntamente dalla stessa autorità nazionale, anche in deroga ai criteri del Regolamento stesso, qualora, in virtù della loro applicazione, le domande verrebbero trattate da Stati membri diversi, con conseguente compromissione del diritto all'unità familiare dei richiedenti (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 11).
Se non devono essere applicati i criteri precedenti, è competente all'esame delle domanda di protezione internazionale lo Stato membro che ha rilasciato, anche in passato, un visto di ingresso o un permesso di soggiorno al richiedente (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 12).
In estremo subordine, nonostante la sua applicazione pratica sia estremamente frequente, è ritenuto competente lo Stato membro di primo ingresso (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 13). Tale circostanza è di agevole accertamento soprattutto grazie all'esame incrociato dei fotosegnalamenti avvenuti nei diversi Stati membri ed inseriti nel sistema informatizzato comune EURODAC “per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione della Convenzione di Dublino”, istituito con il regolamento (CE) 407/2002 del 28 febbraio 2002 e successivamente modificato nel 2013.
All'elencazione di tali criteri deve aggiungersi la c.d. clausola umanitaria, secondo cui ogni Stato membro deve procedere al ricongiungimento ovvero a mantenere l'unità familiare delle persone che per motivi di salute, gravidanza, età o gravi disabilità dipendano dal richiedente asilo ovvero egli rappresenti il supporto per un familiare in difficoltà (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 16). Giova evidenziare che l'applicazione di tale clausola non è una mera facoltà per gli Stati membri coinvolti, ma rappresenta un obbligo.
Fermo quanto sin qui illustrato, ogni Stato membro può discrezionalmente e senza alcuna condizione, nemmeno il consenso del richiedente, in deroga al disposto di cui al reg. n. 604 del 2013, cit., art. 3, co. 1, decidere di esaminare la domanda di protezione internazionale avanzata, pur non essendone competente (cd. clausola di sovranità) (reg. n. 604 del 2013, cit., art. 17).
Qualsiasi decisione di trasferimento ai sensi della procedura Dublino deve essere adottata in ossequio al principio generale stabilito al reg. n. 604 del 2013, cit., art. 3, secondo cui il richiedente non potrà essere trasferito in un altro Paese membro, nonostante questo risulti competente per l'esame della domanda di protezione internazionale, se vi sono fondati motivi di ritenere che l'interessato sarebbe esposto al rischio di subire trattamenti inumani e degradanti a causa delle gravi carenze sistemiche nella procedura di asilo e di accoglienza. Tale principio, introdotto con la novella di cui al Regolamento Dublino III, recepisce in pieno il percorso giurisprudenziale in materia, internazionale, europeo e nazionale, soprattutto con riferimento alla situazione greca.
La Corte di Giustizia dell'Unione europea è stata chiamata a pronunciarsi su una questione interpretativa circa l'applicazione dei criteri di individuazione dello Stato membro competente all'esame della domanda di protezione internazionale di cui al Regolamento Dublino II, in allora vigente, e la tutela dei diritti fondamentali, con riferimento al trasferimento di due richiedenti asilo in Grecia. In merito l'autorità giudiziaria europea ha rilevato che il sistema europeo comune di asilo si fonda sul presupposto che i Paesi che vi partecipano rispettino i diritti fondamentali, ivi compreso quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra e dalla CEDU ed è proprio sulla base di tale circostanza di reciproca fiducia che trova fondamento il sistema di determinazione dello Stato membro compete all'esame della domanda di protezione internazionale. Tuttavia, la stessa Corte riconosce che tale presunzione possa non trovare riscontro nella realtà.
Secondo la Corte, non ogni forma di carenza nel sistema di accoglimento e nella procedura di riconoscimento della domanda di protezione internazionale permette la possibilità di derogare alle norme della procedura Dublino, ma solo i casi in cui tali carenze siano strutturali, così come riconosciuto nel caso della Grecia (CGUE, 21 dicembre 2011, C-411/10 e C-493/10, N. S./Secretary of State for the Home Department e M. E. e altri/Refugee Applications Commissioner e Minister for Justice, Equality and Law Reform).
Sul punto deve ricordarsi la pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo circa il sistema di accoglienza italiano (Corte Edu, Grand Chambre, 04 novembre 2014, ric. 29217/12, Tarakhel c. Svizzera), con la quale viene definito che, allo stato attuale, il rinvio in Italia di richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità, come nel caso di un nucleo familiare con minori, potrebbe, in assenza di adeguate garanzia circa le modalità di accoglienza, comportare una violazione del divieto di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti si cui all'art. 3 CEDU.
E' attualmente in discussione la revisione del "Sistema Dublino" che prevede l'adozione di un nuovo Regolamento che modificherebbe profondamente l'attuale disciplina in materia di ripartizione delle competenza tra gli Stati membri.