Unità didattica XIII – La cittadinanza europea
Unità didattica XIII – La cittadinanza europea
XIII.2. I diritti connessi alla cittadinanza europea
Ai sensi dell'art. 20 TFUE il cittadino europeo, già soggetto ai diritti ed agli obblighi previsti dal Trattato, gode di una serie di diritti, oltre alla già analizzata libertà di circolazione sul territorio dell'Unione europea:
il diritto di parità di trattamento con il cittadino nazionale
l'elettorato attivo e passivo al Parlamento europeo ed alle elezioni locali in qualsiasi Stato membro
il diritto alla protezione diplomatica per i cittadini dell'Unione che si trovano in un Paese terzo
il diritto alla petizione al Parlamento europeo e di rivolgersi al Mediatore europeo
il diritto di comunicare con le istituzioni dell'Unione europea nella propria lingua, tenuto conto che tutte le lingue dei Paesi membri sono lingue ufficiali.
Ai fini della presente Unità Didattica si porrà l'attenzione sui primi due diritti elencati, attesa la loro connessione con la circolazione dei cittadini europei all'interno ed all'esterno dei confini dell'Unione europea.
Il principio di parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali trova la sua originaria collocazione nell'ambito della disciplina della libertà di circolazione e soggiorno dei lavoratori, codificato nell'attuale art. 45 TFUE e dal Regolamento (UE) n. 492/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione e prevede che al cittadino europeo debba essere accordato il medesimo trattamento previsto per i cittadini nazionali. A tali disposizioni sono poi state affiancate norme di carattere generale, frutto di un inteso lavoro giurisprudenziale della Corte di Giustizia dell'Unione europea. Attualmente, quindi, pur permanendo una specifica disciplina con riferimento alla posizione dei lavoratori, il principio in esame è disciplinato, in termini generali, dall'art. 18 TFUE, nonchè dal d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 19, ove si fa divieto di ogni forma di discriminazione basata sulla nazionalità nell'ambito di applicazione dei Trattati dell'Unione europea.
Ai fini di comprendere l'attuale concreta portata di tale principio deve porsi l'attenzione sull'ampliamento della sua applicazione sotto un duplice profilo: soggettivo e oggettivo.
Con riferimento all'applicazione ratione personae del divieto di discriminazione si evidenzia che inizialmente esso era riservato ai soli cittadini europei economicamente attivi, che, esercitando il loro diritto alla libera circolazione, si trasferivano in un altro Stato membro per svolgere attività lavorativa subordinata (art. 45 TFUE) o un'attività di impresa o in forma autonoma (art. 49 TFUE). In proposito la Corte di Giustizia delle Comunità Europee, con la sentenza Steen (CGCE, 28 gennaio 1992, C- 332/90, Steen/Deutsche Bundespost) aveva affermato che le disposizioni del Trattato in materia non potevano essere fatte valere da parte del cittadino europeo che non aveva soggiornato in modo stabile in un altro Paese membro, rilevando, quindi, la necessaria presenza di un elemento di transnazionalità nella pretesa del lavoratore ad un trattamento di parità rispetto al cittadino nazionale.
La legittimità di una tale limitazione all'ambito di operatività del divieto di discriminazione su base nazionale trova la sua giustificazione giuridica nello stretto legame che in allora intercorreva tra lo svolgimento di una attività lavorativa e l'esercizio della libera circolazione delle persone nel territorio dell'Unione europea.
Grazie ad una interpretazione estensiva dell'attuale art. 18 TFUE da parte della Corte di Giustizia dell'Unione europea e ad un ampliamento delle categorie di persone che potevano beneficiare della libertà di circolazione e soggiorno, tali limitazioni andarono ad affievolirsi sempre più nel corso del tempo.
Pertanto il principio di parità di trattamento è stato ritenuto applicabile anche nei confronti di quei cittadini europei che si trasferivano per motivi di studio (CGCE, 11 luglio 2002, C- 224/98, Marie-Nathalie D'Hoop/Office national de l'emploi) o nei confronti dei cittadini inattivi.
Inoltre, l'applicazione del divieto di discriminazione viene scissa dall'effettivo esercizio del diritto alla libera circolazione, tanto da ricomprendere nell'ambito di applicazione finanche i cittadini europei che pur prestando i propri servizi in altri Stati membri, non vi avevano spostato la residenza (CGCE, 11 luglio 2002, C-60/0, Mary Carpenter/Secretary of State for the Home Department; CGCE, 21 febbraio 2006, C-152/03, Ritter-Coulais/Finanzamt Germersheim).
Con riferimento all'ambito di applicazione oggettivo del principio di trattamento nazionale, in primo luogo, occorre evidenziare che esso si estende non solo alle discriminazioni dirette, nelle quali è esplicito l'elemento della nazionalità quale criterio discriminatorio, ma altresì a quelle indirette o dissimulate, che conseguono il medesimo risultato delle prime ricorrendo a criteri diversi dalla nazionalità.
Il principio in esame era limitato alle condizioni proprie dei lavoratori, dall'accesso al lavoro alla retribuzione, l'accesso alla formazione professionale, alle indennità di disoccupazione e, in generale, tutta la disciplina legale e convenzionale del rapporto di lavoro. In merito si evidenzia che il Reg. n. 492 del 2011, cit., art. 7, co. 4, relativo alla libera circolazione dei lavoratori, sancisce la nullità di ogni clausola presente nei contratti collettivi o individuali di lavoro che preveda un trattamento discriminatorio nei confronti di cittadini di un altro Paese membro.
Il divieto di discriminazione si estende a tutti i “vantaggi sociali e fiscali” attribuiti ai lavoratori nazionali (Reg. n. 492 del 2011, cit., art. 7, co. 2). L'interpretazione di tale concetto è stata oggetto di numerose pronunce da parte della Corte di Giustizia dell'Unione europea che ha, in tal modo, ampliato l'ambito di applicazione del divieto di discriminazione per motivi di nazionalità. In materia la casistica è estremamente ampia e ricomprende, a titolo esemplificativo: sovvenzioni del fondo assistenza per diversamente abili (CGCE, 11 aprile 1973, C-76/72, Michel S./Fonds national de reclassement social des handicapés); benefici per discendenti a carico del lavoratore (CGCE, 08 giugno 1999, C-337/97, C.P.M. Meeusen/Hoofdirectie van de Informatie Beher Groep) riduzioni sulle tariffe ferroviarie per le famiglie numerose (CGCE, 30 aprile 1975, C-32/75, Anita Cristini/Société des chemins de fer français); meccanismi di tutela in caso di licenziamento per grave inabilità lavorativa (CGCE, 13 dicembre 1972, C-44/72, Pieter Marsman/M. Rosskamp).
Un particolare deroga al divieto di discriminazione sulla base della nazionalità è ammessa, a talune condizioni, nell'ambito del pubblico impiego.
I cittadini comunitari possono partecipare a condizioni di parità dei cittadini italiani, tuttavia alcune posizioni possono essere legittimamente riservate a questi ultimi, solo nel caso in cui ricorrano due condizioni: 1) la partecipazione all'esercizio di prerogative dei pubblici poteri; 2) la responsabilità per la tutela degli interessi generali dello Stato o di altri enti pubblici.
Un ulteriore rilevante diritto di cui gode il cittadino europeo che ha esercitato la libertà di circolazione sul territorio dell'Unione europea è rappresentato dall'elettorato attivo e passivo sia alle elezioni del Parlamento europeo sia alle elezioni locali del Comune in cui hanno stabilito la loro residenza, disciplinato dall'art. 20, co. 2 lett. 2) TFUE.
L'esercizio di tale diritto è disciplinato dalla Direttiva 1993/109/CE relativa alle modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini, recepita nella l. 3 agosto 1993, n. 483, e dalla Direttiva 1994/80/CE che stabilisce le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza, recepita con il d.lgs. 12 aprile 1996, n. 197.
Per quanto attiene alle elezioni comunali il cittadino europeo, previa iscrizione alle liste elettorali, può esprimere la propria preferenza per il Sindaco, il Consiglio comunale e di circoscrizione e può, altresì candidarvisi, con esclusione delle cariche di Sindaco e Vicesindaco.
Appare evidente come il riconoscimento di tale diritto in capo al cittadino europeo rappresenti uno strumento di integrazione nel tessuto politico nel Paese in cui l'interessato ha stabilito la propria residenza.