Unità didattica XIII – La cittadinanza europea

Unità didattica XIII – La cittadinanza europea


XIII.3. Il ricongiungimento famigliare

I familiari del cittadino europeo hanno il diritto di accompagnarlo o raggiungerlo nel Paese membro in cui si trasferisce. Tale diritto trova il suo fondamento nella volontà di facilitare l'esercizio da parte del cittadino europeo della libertà di circolazione a lui attribuita e di garantire il suo diritto fondamentale all'unità familiare. Ciò rileva, in particolare, con riferimento al familiare avente la cittadinanza di un Paese terzo, il quale, in difetto di una normativa specifica, dovrebbe sottostare alle regole ordinarie previste per l'ingresso ed il soggiorno degli stranieri, spesso particolarmente restrittive.

Da ciò consegue un rapporto di dipendenza del diritto al soggiorno del familiare da quello “primario” in capo al cittadino dell'Unione.

In primo luogo occorre rilevare a quali familiari si estenda il diritto in esame, definiti dal d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 2, co. 1 lett. b):

  1. il coniuge;
  2. il partner in una unione registrata sulla base della normativa di uno dei paesi membri dell'Unione europea;
  3. figli a carico di età inferiore ai 21 anni del cittadino europeo o del coniuge;
  4. ascendenti a carico del cittadino europeo o del coniuge.


Particolare attenzione deve prestarsi al punto 2) della citata norma che indica tra i familiari il partner che abbia contratto con il cittadino europeo un'unione registrata secondo la legislazione di un altro Stato membro, nel caso in cui il Paese membro ospitante equipari tale unione al vincolo matrimoniale. Tale disposizione altro non è che la codificazione di un principio già riconosciuto dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, che nella sentenza Reed (CGCE, 17 aprile 1986, c-59/85, Stato olandese/Ann Florence Reed) aveva escluso il diritto al ricongiungimento del compagno non coniugato da parte della lavoratrice residente in un altro Stato membro, ritenendo di non poter interpretare estensivamente tale diritto, in mancanza di una evoluzione comune in tal senso, statuendo, tuttavia, che, qualora lo Stato membro ospitante riconosca il medesimo diritto ai propri cittadini, questo non può essere rifiutato al cittadino europeo senza configurare una discriminazione basata sulla nazionalità.

Tale soluzione permette, da un lato, di dare piena applicazione al principio di parità di trattamento di cui all'art. 18 TFUE, e dall'altro, di non interferire con le scelte legislative nazionali.

Con l'entrata in vigore della l. n. 76 del 26 maggio 2016 che ha introdotto nel nostro ordinamento le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze registrate ogni questione sul punto appare superata.

Appare, tuttavia, interessante rilevare che prima dell'adozione del citato testo di legge, vi erano state importanti aperture della giurisprudenza nel riconoscere il diritto al soggiorno, ai sensi del d.lgs. 30 del 2007, cit., art. 10, quale coniuge di cittadino europeo anche nel caso di due persone dello stesso sesso che avevano contratto matrimonio in un altro Paese.

In tal caso, infatti, si è ritenuto non rilevante il fatto che la legislazione del Paese membro ospitante non permettesse il matrimonio omosessuale, come nel caso dell'Italia, dovendosi interpretare tale termine non alla luce delle singole legislazioni nazionali, bensì tenendo conto dell'interpretazione che ne viene data nella normativa e nella giurisprudenza europea, con particolare riferimento all'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dell'art. 12 della CEDU. In tali termini si era espresso il Tribunale di Reggio Emilia, 13 febbraio 2012, proc. n. 1401/2011, che accoglieva il ricorso avverso il diniego di rilascio della carta di soggiorno per familiari extraeuropei di cittadini europei emesso dalla Questura di Reggio Emilia nei confronti di un cittadino uruguayano che aveva contratto matrimonio con un cittadino italiano in Spagna.

Inoltre, non è infrequente che si verifichino situazioni particolari che coinvolgano familiari del cittadino dell'Unione che non siano previste dalla normativa in esame.

E' tale il caso di un genitore extraeuropeo che abbia a carico un figlio minore cittadino europeo, situazione inversa di quella disciplinata dal d.lgs. n. 30 del 2007, cit, art. 2, co. 1, n. 3), che prevede la qualifica di familiare del solo ascendenti “a carico”.

In merito si devono richiamare le sentenze Chen e Zambrano (CGCE, 19 ottobre 2004, C-200/02, Kunqian Catherine Zhu e Man Lavette Chen/Secretary of State for the Home Department e  CGCE, 08 marzo 2011, C-34/09, Gerardo Ruiz Zambrano/Office national de l’emploi (ONEm)), in occasione delle quali la Corte di Giustizia ha affermato che al genitore extraeuropeo di cittadino europeo deve essere garantito il diritto al soggiorno nel caso in cui il minore disponga dei requisiti utili al soggiorno, quali una assicurazione sanitaria e risorse sufficienti al proprio mantenimento e a quello dei familiari (dimostrabili anche attraverso i redditi dell'altro genitore), e il genitore non sia decaduto dalla potestà genitoriale. In caso contrario il diniego al soggiorno del familiare che ha la custodia del figlio priverebbe automaticamente di qualsiasi effetto utile la cittadinanza europea di quest'ultimo e del nucleo essenziale dei suoi diritti, poiché dovrebbe, attesa la minore età, seguire il genitore nel Paese di origine.

Recentemente la Corte di giustizia è stata chiamata a pronunciarsi su casi analoghi a quelli evidenziati in cui il genitore extraeuropeo affidatario dei figli minori cittadini europei era gravato da precedenti penali ostativi al suo soggiorno nel Paese europeo ospite. Sulla base dei principi evidenziati nei precedenti arresti giurisprudenziali la Corte di giustizia ha affermato che la tutela del diritto alla libera circolazione dei cittadini europei osta ad una previsione normativa nazionale che preveda l'automatico diniego del titolo di soggiorno nei confronti del padre di minori cittadini europei solo in ragione della sussistenza a suo carico di pregiudizi penali, nel caso in cui tale diniego costringerebbe l'allontanamento dal Paese europeo ospite di tutto il nucleo familiare (CGUE, 13 settembre 2016, C-165/14, Alfredo Réndon Marin/Administacion del Estado)

Con riferimento alle due sentenze sopra richiamate, si evidenzia che in entrambi i casi i minori cittadini europei non avevano esercitato il loro diritto alla libera circolazione, risiedendo entrambi nel Paese di nascita e di cui avevano acquisito la cittadinanza. La Corte di Giustizia, quindi, ha analizzato la questione prescindendo dall'elemento di transnazionalità, esaminando l'istituto della cittadinanza europea come un diritto dotato di una propria autonoma sfera di applicazione. In tal caso, infatti, il riconoscimento del diritto al soggiorno del familiare extraeuropeo del cittadino europeo non discende dalla applicazione della Direttiva 2004/38/CE, ma piuttosto da una interpretazione estensiva dell'art. 20 TFUE, che disciplina la cittadinanza europea. In tali termini, quindi, l'espulsione del familiare extraeuropeo rappresenterebbe una eccessiva e sproporzionata compressione dei diritti del cittadino europeo.

Ai fini dell'ingresso del familiare extraeuropeo del cittadino europeo sul territorio nazionale, a seconda della nazionalità del familiare, potrebbe essere richiesto il possesso di un visto di ingresso da richiedersi alle autorità diplomatiche e consolari italiane, le quali sono tenute a rilasciarlo in via prioritaria e gratuitamente (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 5, co. 3) e devono attenersi alla sola verifica della sussistenza del vincolo familiare. Tali agevolazioni trovano ancora giustificazione nella volontà di non ostacolare in modo eccessivo l'esercizio della libera circolazione dei cittadini europei. Qualora, invece, il familiare extraeuropeo del cittadino europeo sia già titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da un altro Stato membro ai sensi della Direttiva 2004/38/CE, nei suoi confronti sarà richiesto il solo possesso di un passaporto in corso di validità. In tal caso, infatti, la qualità di familiare di cittadino europeo, titolo da cui discende l'applicazione di una disciplina agevolata per la circolazione nel territorio europeo, è già stata oggetto di verifica. 

Al familiare extraeuropeo del cittadino dell'Unione, che risiede da più di tre mesi sul territorio nazionale, ai sensi del d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 10, è rilasciata una carta di soggiorno quinquennale, a fronte della presentazione della documentazione attestante l'identità del richiedente, la qualità di familiare e la regolarità del soggiorno del cittadino europeo (l'attestazione anagrafica).

Sul punto giova evidenziare che non rileva in alcun modo la pregressa regolarità del soggiorno o dell'ingresso del familiare per il quale si chiede il ricongiungimento. In merito si richiama la sentenza Metock, nella quale la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha affermato che la disciplina della Direttiva 2004/38/CE, osta ad una normativa nazionale che imponga che il familiare extraeuropeo di un cittadino dell'Unione abbia preventivamente soggiornato legalmente in un altro Stato membro ovvero che abbia fatto ingresso regolare nel Paese membro in cui ha stabilito la sua residenza il cittadino europeo (CGCE, 25 luglio 2008, C-127/08, Blaise Baheten Metock e altri/Minister for Justice, Equality and Law Reform). Tale disposizione rileva in particolare per i rapporti di coniugio sorti dopo l'esercizio da parte del cittadino europeo del diritto alla libertà di circolazione, ai quali pacificamente si applicano le disposizioni di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, cit.

Ai fini del ricongiungimento familiare non è necessaria che vi sia convivenza tra il familiare ricongiunto ed il cittadino dell'Unione. Sul punto la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha affermato che attesa la natura delle norme che regolano tale istituto, il cui fondamento è l'agevolazione della libera circolazione del cittadino europeo, le stesse non possono essere interpretate in modo restrittivo (CGCE, 13 febbraio 1985, C-267/83, Aissatou Diatta/Land Berlino).

Il familiare extraeuropeo del cittadino europeo acquista il diritto al soggiorno permanente a seguito di un soggiorno legale e continuativo di cinque anni (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 14, co. 2).

Il familiare extraeuropeo, al ricorrere di determinate condizioni, può ottenere un diritto al soggiorno autonomo anche in caso di morte del cittadino europeo o di sua partenza dall'Italia, divorzio o annullamento del matrimonio (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., artt. 11 e 12).

Infine, giova evidenziarsi che le norme di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, cit. si applicano anche ai familiari extraeuropei di cittadini italiani, in quanto più favorevoli delle disposizioni di cui al Testo Unico Immigrazione (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 23).