Unità didattica XIV - La cittadinanza italiana

Unità didattica XIV - La cittadinanza italiana

APPROFONDIMENTO 1 - Il principio di uguaglianza tra uomo e donna nella disciplina della cittadinanza

La l. n. 555 del 1912, cit., in tema di cittadinanza rispecchiava i principi fondanti della società dell'epoca e poneva in una posizione di preminenza la figura del marito e del padre che era l'unico a trasmettere ius sanguinis la cittadinanza italiana al coniuge a seguito del matrimonio ed ai figli al momento della nascita.

Tale distinzione rimase in vigore per diversi anni dopo l'adozione della Costituzione, nonostante la previsione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

Solo con la piena revisione del diritto di famiglia, a cui si è accompagnato un cambiamento della posizione della donna nella società, interviene in merito la Corte Costituzionale.

Tra le varie pronunce demolitrici della normativa allora in vigore in tema di cittadinanza, si richiamano:

  • sentenza del 09 aprile 1975, n. 87: dichiarata l'illegittimità della norma che prevedeva l'automatica perdita della cittadinanza della donna che acquisiva la cittadinanza del marito straniero dopo il matrimonio;

  • sentenza del 29 gennaio 1983 n. 30: dichiarata incostituzionale la l. n. 555 del 1912, cit., nella parte in cui si prevedeva che la trasmissione della cittadinanza in linea materna avvenisse solo nel caso in condizioni residuale, quando non fosse possibile la trasmissione della cittadinanza del padre – perchè ignoto o apolide.

La portata pratica di tale sentenza, atteso l'effetto ex tunc delle pronunce dichiarative della illegittimità costituzionale di una norma, non è stato di agevole portata. Occorreva, infatti, definire lo status civitatis di tutti i figli di madre italiana già nati al momento della pubblicazione della sentenza, tenuto conto che la norma in questione era entrata in vigore ben prima della Costituzione e del principio di uguaglianza e non discriminazione in base al sesso, ivi previsto,

In merito prevalse l'opinione che l'effetto retroattivo della sentenza n. 30 del 1983 non potesse spingersi oltre la data di entrata in vigore della Costituzione, avvallando un orientamento costituzionale della Corte di Cassazione consolidato anche in altri ambiti del diritto (Tra tutte si veda Cass. Civ., S.U., 27 novembre 1998, n. 12061). 

Sul punto deve, tuttavia, darsi atto di un recente mutamento della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione secondo cui anche il figlio di cittadina italiana nato antecedentemente al 01 gennaio 1948, data di entrata in vigore della Costituzione, deve considerarsi cittadino italiano (Cass. Civ. S.U., 03 febbraio 2009, n. 4466).

Appare evidente la rilevanza delle conseguenze di tali posizioni giurisprudenziali, soprattutto se si considera che la trasmissione della cittadinanza per nascita avviene automaticamente tra le generazioni e può essere fatta rivivere facilmente, attraverso una mera procedura amministrativa, anche a distanza di anni dalla morte del primo capostipite italiano.

Solo con la l. 21 aprile 1983, n. 123 il legislatore è intervenuto per eliminare definitivamente ogni forma di discriminazione tra uomo e donna nella trasmissione della cittadinanza ai figli o per coniugio.