Unità didattica XVIII - I reati propri dello straniero. Il favoreggiamento dell'immigrazione illegale.
L'obiettivo di questa unita' didattica è illustrare i reati contenuti nella normativa in materia di immigrazione e strettamente legati alla condizione giuridica degli stranieri.
XVIII.3. L'inottemperanza all'ordine del questore
Come già detto, nei casi in cui non sia stato possibile disporre il trattenimento in un CPR o le misure alternative ad esso o siano decorsi i termini di trattenimento senza che abbia avuto luogo l’esecuzione dell’espulsione, il Questore ordina allo straniero di lasciare il territorio nazionale entro il termine di sette giorni (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 bis).
La violazione di questo ordine (la sua inottemperanza), non sostenuta da un giustificato motivo, costituisce reato (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter).
La previsione di un reato rappresenta un’ulteriore spia dell’obiettivo perseguito dal legislatore di ottenere l’allontanamento degli stranieri. In questo caso infatti non essendo lo Stato riuscito ad espellere lo straniero chiede la sua collaborazione e utilizza la minaccia della sanzione penale per aumentare le possibilità di cooperazione dello straniero.
Il reato come oggi previsto è il risultato di numerosi cambiamenti dovuti a pronunce giurisprudenziali e modifiche legislative.
Oggi, in base a quanto previsto nel d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter , lo straniero è punito con la multa da 10.000 a 20.000 euro, qualora l’ordine del questore discenda da una espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera o dal decreto di respingimento o dalla sottrazione a programmi di rimpatrio assistito. La multa prevista è, invece, da 6.000 a 15.000 euro, qualora l’ordine del questore sia conseguente alla concessione del termine per la partenza volontaria. In questo secondo caso va precisato che l’integrazione del reato richiede una successione di eventi. In primo luogo è necessario che sia comminata l’espulsione con concessione del termine per la partenza volontaria, a seguire occorre che lo straniero non adempia all’obbligo di partenza. A questo punto l’espulsione si trasforma in espulsione con accompagnamento coattivo e solo a seguito del mancato accompagnamento coattivo viene emesso l’ ordine del questore di allontanamento entro 7 giorni.
Sarà quindi l’inottemperanza a questo ordine a costituire reato e non la mera non partenza dopo la concessione del termine per la partenza volontaria.
Il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter, seconda parte, prevede che se lo straniero non è detenuto in carcere, il
Prefetto può, valutato il caso concreto, disporre una nuova espulsione che ha
il suo fondamento nella violazione dell’ordine del questore. Non occorre il
nulla osta dell’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato.
Questa nuova espulsione va eseguita con accompagnamento coattivo alla frontiera
e qualora ciò non sia possibile si dispone il trattenimento in un CPR o si
reitera l’ordine del questore di allontanamento.
Se lo straniero viola anche questo ordine del questore, commette violazione all’ordine (reiterato) del questore ed è punito con la multa a 15.000 a 30.000 euro (d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 quater).
A questo punto la legge prevede che si applichino le disposizione di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter, cioè si ricomincia dall’inizio con l’accompagnamento alla frontiera e in caso di impossibilità con il trattenimento o un nuovo ordine del questore. Sul piano teorico praticamente all’infinito.
Appare evidente che il fine del legislatore non sia la punizione dello straniero per l'inottemperanza all'ordine del questore ma il suo allontanamento.
L’attuale previsione normativa è il risultato di una evoluzione normativa molto articolata e accidentata. La l. n. 189 del 2002, cit., cd Bossi - Fini introdusse nell'ordinamento l'ordine di allontanamento del questore e i reati ad esso connessi.
L’ordine conseguiva o all’impossibilità di collocare lo straniero in un centro di permanenza temporanea ed assistenza (poi CIE, oggi CPR) o alla scadenza dei termini massimi di trattenimento in questa struttura senza che l’espulsione e il respingimento fossero eseguiti.
Il mancato rispetto dell’ordine di allontanamento nel termine prescritto (originariamente di cinque giorni), con la consequenziale permanenza sul suolo nazionale senza un giustificato motivo, comportava l’integrazione di una contravvenzione per cui però era previsto l’arresto obbligatorio.
La norma venne dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale con la sentenza dell'08.07.2004, n. 223 del proprio per la previsione di una misura cautelare personale applicata ad una contravvenzione.
Il legislatore per rispondere ai rilievi della Consulta mantenne il reato ma lo trasformò in delitto, che consente l’adozione di misure cautelari personali.
Il reato divenne cosi un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni o da sei mesi a un anno a seconda delle tipologie di espulsione. In ogni caso, salva l’ipotesi della detenzione in carcere, era emesso un nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento coattivo alla frontiera.
Qualora non fosse stato possibile procedere all’accompagnamento coattivo, lo straniero sarebbe stato collocato in un CIE e se non espulso avrebbe ricevuto un nuovo ordine di allontanamento dal questore. Se lo straniero avesse persistito nella sua condotta e non avesse lasciato il territorio dello Stato, avrebbe commesso un altro delitto punito con la reclusione da uno a cinque anni e avrebbe ricevuto un altro provvedimento di espulsione e così via.
Questo meccanismo di progressione sanzionatoria ha portato a sollevare dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della compatibilità di queste previsioni con la direttiva rimpatri. L’Italia nel momento in cui la questione veniva sollevata alla corte di Giustizia non aveva ancora recepito la Direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri, nonostante che il termine fosse scaduto a dicembre 2010.
La Corte di Giustizia ha risposto con la sentenza El Dridi del 28 aprile 2011.
La Corte di Giustizia ha rilevato che la direttiva rimpatri subordina espressamente l’uso di misure coercitive al rispetto dei principi di proporzionalità e di efficacia per quanto concerne i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti. Ne deriva che gli Stati membri, per rimediare all’insuccesso delle misure coercitive finalizzate all’allontanamento non possono introdurre una pena detentiva, ma, piuttosto, devono continuare ad adoperarsi per attuare il rimpatrio dello straniero.
Ne consegue che il giudice del rinvio deve disapplicare la normativa nazionale (nella specie, il d.lgs. 286 del 1998, cit, art. 14, co. 5 ter) e applicare la normativa europea.
A seguito di questa pronuncia alcune sentenze di condanna emesse per il reato di inottemperanza all’ordine del questore di lasciare il territorio sono state revocate o in caso di procedimento penale ancora in corso lo straniero è stato prosciolto.
Per correre ai ripari e cercare di salvare il meccanismo dell’inottemperanza all’ordine del questore, il legislatore ha introdotto le modifiche che abbiamo visto prima che prevedendo soltanto sanzioni pecuniarie rispettano formalmente la pronuncia della Corte di Giustizia che si limitava a indicare l’impossibilità di introdurre pene detentive.