Unità 11 - La tutela civile, penale e amministrativa del diritto alla salute e la responsabilità degli operatori sanitari
La tutela civile, penale e amministrativa
1. La tutela civile e amministrativa del diritto alla salute e la responsabilità degli operatori sanitari
I rapporti tra i professionisti sanitari e i pazienti sono al centro di un articolato e attualissimo dibattito sulla tutela apprestata dall'ordinamento giuridico: per le ipotesi in cui in ragione di questo rapporto derivino danni ai pazienti, sulle condizioni per la risarcibilità, sui conseguenti oneri processuali delle parti e più in generale sul danno risarcibile.
Il tema della responsabilità in medicina si affronterà distinguendo il rapporto medico-paziente dal rapporto struttura sanitaria-paziente.
In questa unità si analizzerà in particolare la tutela della salute e la responsabilità degli operatori sanitari, con attenzione ai diversi profili di responsabilità e alla luce delle più recenti novità legislative in materia.
La responsabilità civile dell'operatore sanitario è stata alternativamente ricondotta alla responsabilità da illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) e a quella da inadempimento del contratto (art. 1218 c.c.), con importanti ricadute in relazione agli oneri processuali in capo alle parti nel processo e ai termini di prescrizione.
Dalla definizione della responsabilità come di tipo contrattuale (art. 1218 c.c.), cioè come inadempimento di un'obbligazione preesistente sussistente tra l'operatore e il paziente, e dunque come una violazione del diritto di credito di quest'ultimo al corretto adempimento della prestazione convenuta, invocabile nei confronti dell'operatore, consegue la concentrazione dell'onere della prova in giudizio in capo al sanitario. Questi si libera infatti dall'obbligo di risarcire il danno che deriva dall'inadempimento solo dimostrando di aver adempiuto correttamente la prestazione, mentre in capo al paziente incombe l’onere di allegare l'instaurarsi del rapporto obbligatorio e il correlato inadempimento, di norma identificato con l'insorgere o aggravarsi di una patologia in conseguenza dell'intervento medico.
Nei fatti al paziente è sufficiente allegare il ricovero ospedaliero per dimostrare la sussistenza del rapporto obbligatorio e il conseguente aggravarsi delle condizioni di salute: per liberarsi della responsabilità risarcitoria il sanitario deve dimostrare la non imputabilità dell'inadempimento (ad es. perché l'aggravarsi delle condizioni di salute è derivato da una condizione patologica preesistente non conoscibile ex ante) o l'interruzione del nesso di causalità tra condotta e danno (ad es. perché la prestazione convenuta si è rivelata in concreto inesigibile in ragione del verificarsi di un aggravamento imprevedibile).
Ove la responsabilità sia considerata come di tipo contrattuale, la prescrizione è decennale.
Dall'inquadramento della responsabilità come di tipo extracontrattuale (art. 2043 c.c.) - cioè come obbligo risarcitorio derivante da un fatto illecito, in violazione del generale principio del "neminem laedere" che opera nei rapporti tra tutti i soggetti dell'ordinamento - consegue invece l’inversione del suddetto onere della prova in giudizio. E' il danneggiato (id est il paziente) a dover dimostrare gli elementi costitutivi della responsabilità: la condotta illecita, l'elemento psicologico (dolo o colpa), il nesso causale e il danno. In proposito è particolarmente impegnativa la prova dell'elemento psicologico, cioè del carattere doloso o, più facilmente, colposo del comportamento, che importa la dimostrazione della negligenza, imprudenza o imperizia che l'ha sorretto, o della violazione di "leggi, regolamenti, ordini, o discipline" (art. 43 c.p.). La prescrizione è in questo caso quinquennale.
Pertanto è evidente che la definizione della responsabilità come contrattuale è sicuramente più vantaggiosa per il paziente, viceversa la definizione in termini di responsabilità extracontrattuale è più vantaggiosa per l'operatore sanitario. In quest'ultimo caso, infatti, il c.d. rischio della "causa ignota", che si verifica ove non sia chiaro il nesso di causalità tra comportamento e aggravamento delle condizioni di salute, grava sul danneggiato (il paziente), il quale, se non riesce a provare il rapporto di causalità e l'elemento psicologico che ha sorretto il comportamento (la negligenza, imprudenza, imperizia dell'operatore), non può ottenere il risarcimento del danno.
Fino alla fine degli anni novanta (cfr. Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589), la responsabilità medica per i danni cagionati in sede di attività terapeutica o diagnostica era ricondotta a un illecito di tipo extracontrattuale, poiché non si riteneva sussistere un rapporto contrattuale tra operatore sanitario e paziente.
Si affermava viceversa che il medico effettuasse la prestazione in ragione esclusivamente del rapporto d'impiego che lo lega alla struttura sanitaria e senza assumere obbligazioni direttamente nei confronti del paziente.
Si è evidenziato tuttavia che, pur non assumendo un vincolo contrattuale direttamente nei confronti del paziente, non può tuttavia ritenersi che il medico si ingerisca nella sfera di quest’ultimo senza alcun titolo e senza che possa rilevarsi tra i due un rapporto qualificato e idoneo a fondare un'obbligazione che si differenzi dal generale obbligo di non violare il principio del neminem laedere.
Un inquadramento nei termini della responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.), è inoltre stato ritenuto in contrasto con l'esigenza dell'effettività della tutela del paziente stesso, in ragione dell’onere probatorio in capo al paziente e della prescrizione in cinque anni.
La responsabilità del medico è stata dunque ritenuta di tipo contrattuale: vuoi sulla base norma costituzionale che configura la responsabilità diretta di funzionari e dipendenti pubblici per i danni arrecati a terzi nell'esercizio proprie funzioni (art. 28 Cost.), vuoi individuando nel rapporto un contratto a favore di terzo (art. 1411 c.c.).
La svolta della richiamata sentenza della Cassazione di fine anni novanta ha preso le mosse dalla considerazione che il rapporto tra medico e paziente può qualificarsi come rapporto contrattuale "di fatto" in ragione del c.d. "contatto sociale qualificato" che si instaura tra i due al momento della presa in carico del paziente da parte del sanitario. Ne consegue la ricostruzione della responsabilità del sanitario come di tipo contrattuale, con le correlate implicazioni in termini di onere della prova e prescrizione (art. 1218 c.c.).
La c.d. legge Balduzzi (d.l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in legge 8 novembre 2012, n. 189) ha apportato significative modifiche alla disciplina della responsabilità medica, specie nella ricostruzione della natura giuridica della responsabilità del sanitario, richiamando espressamente la responsabilità extracontrattuale (ex. art. 2043 c. c.) e suscitando così ampio dibattito in dottrina e giurisprudenza.
Sul punto la giurisprudenza si è espressa in maniera differente. Alcune pronunce dei tribunali di merito (ad es. Trib. Milano, 17 luglio 2014; Trib. Torino, 14 febbraio 2013) hanno qualificato la responsabilità medica in termini aquiliani.
In senso contrario la Cassazione, che ha continuato a ricondurre la responsabilità medica a un illecito di tipo contrattuale, in ragione anche della non felice formulazione della norma che non opera una qualificazione diretta della responsabilità, ma piuttosto allude a una natura extracontrattuale che sembra presupposta, dunque facilmente superabile ("resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 del codice civile"; Cass., sez. III, n. 4030 del 2013).
Tuttavia la materia è stata di recente nuovamente oggetto di importanti modifiche legislative.
La l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d legge Gelli Bianco) recante Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, ha abrogato espressamente l'art. 3 del d.l. n. 158 del 2012 e ha direttamente stabilito all'art. 7 la responsabilità ex art. 1218 c. c. della struttura sanitaria ed ex art. 2043 c.c. dell'esercente della professione sanitaria "salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente".
Sicché ad oggi l'operatore risponde senz'altro a titolo extracontrattuale, mentre per la struttura sanitaria la responsabilità rimane di tipo contrattuale, con un effetto che è dissuasivo dell'esercizio dell'azione nei confronti dell'operatore.
Si noti oltretutto che l'operatore risponde tradizionalmente soltanto per dolo e colpa grave, conformemente alla disciplina della responsabilità del professionista per "problemi tecnici di speciale difficoltà" (art. 2236 c.c.), che riceve peculiare conforto dalle norme applicabili ai dipendenti pubblici, ove la medesima limitazione è prevista con portata generale (d.P.R. n. 3 del 1957, art. 22). La struttura, viceversa, risponde comunque anche per colpa lieve.