Unità didattica XIII – La cittadinanza europea

Unità didattica XIII – La cittadinanza europea


XIII.1. La libera circolazione dei cittadini europei: l'ingresso e il soggiorno

La libera circolazione delle persone tra gli Stati membri è sempre stato uno dei principali obiettivi dell'integrazione europea. Nel testo del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, siglato a Roma il 25 marzo 1957, tale diritto veniva riconosciuto come una delle quattro libertà fondamentali della Comunità europea – affiancandosi al diritto alla libera circolazione dei capitali, dei servizi e delle merci.
Inizialmente l'esercizio di tale libertà era strettamente legato allo svolgimento di una attività lavorativa, quale movimento di fattori produttivi piuttosto che di persone, in linea con la logica prettamente economica e commerciale sottesa al percorso di integrazione europea. Solo in seguito, grazie ad un importante lavoro interpretativo delle norme dei Trattati da parte della Corte di Giustizia, tale libertà veniva estesa ad altre categorie di soggetti, ammettendo al godimento di tale diritto tutti i cittadini degli Stati membri, indipendentemente dallo svolgimento di una attività lavorativa. Tale orientamento è stato codificato in diversi atti di diritto derivato, regolamenti e direttive, poi confluite nella Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, recepita con il d.lgs. 06 febbraio 2007, n. 30.
Con l'entrata in vigore del Trattato sull'Unione Europea, firmato a Maastricht il 07 febbraio 1992, viene, per la prima volta, istituita la cittadinanza dell'Unione Europea, che, ad oggi, trova il suo fondamento giuridico nell'art. 9 TUE e nell'art. 20 TFUE, ove si definisce cittadino europeo chiunque possieda la cittadinanza di uno degli Stati membri, i quali continuano a detenere il potere sovrano circa la determinazione delle condizioni di attribuzione e revoca della cittadinanza nazionale, ma tali legislazioni non possono porsi in contrasto con il diritto europeo né possono frustrarne l'applicazione.
L'art. 21 TFUE individua espressamente il diritto di circolare e soggiornare nei Paesi membri in capo ad ogni cittadino europeo, secondo le condizioni ed i limiti previsti dalle disposizioni dei Trattati e del diritto derivato. Appare, quindi, come la libertà in esame non possa qualificarsi quale diritto soggettivo perfetto, il cui unico presupposto è il possesso della cittadinanza europea, ma il suo godimento è subordinato alla sussistenza di ulteriori requisiti in capo all'interessato.
Giova precisare che le disposizioni in materia di libera circolazione dei cittadini europei trovano applicazione anche nei confronti dei cittadini di Islanda, Liechestein e Norvegia, in forza dell'Accordo sullo Spazio Economico Europeo, firmato a Oporto il 2 maggio 1992, reso esecutivo con la l. 28 luglio 1993, n. 300, dei cittadini della Confederazione elvetica, ai sensi dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone del 21 giugno 1999, ratificato con la l. 15 novembre 2000, n. 364, e dei cittadini di San Marino, in virtù della Convenzione di amicizia e buon vicinato tra l'Italia e la Repubblica di San Marino del 31 marzo 1939, ratificata con la l. 06 giugno 1939, n. 1320.
Per quanto attiene all'ingresso del cittadino europeo nel territorio nazionale, ai sensi del d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 5, l'unico requisito richiesto è il possesso di un documento di identità in corso di validità, senza che debba essere preventivamente ottenuto un visto di ingresso. Tale documento può essere, alternativamente, la carta di identità o il passaporto e deve permettere di poterne accertare la cittadinanza di uno degli Stati membri.
Le uniche limitazioni consentite all'ingresso dei cittadini europei sono: la mancanza di un documento di identità valido, sanabile con la sua esibizione entro le 24 ore dalla richiesta e la sussistenza di gravi e fondate ragioni di ordine pubblico, sicurezza pubblica e sanità pubblica.
Le condizioni sottese al soggiorno del cittadino europeo, nonché la sua condizione giuridica, mutano a seconda della durata del soggiorno stesso, che può essere così riassunta: 

  • meno di tre mesi 
  • più di tre mesi 
  • permanente
Il cittadino comunitario può soggiornare in uno Stato membro per un periodo non superiore ai tre mesi senza alcuna formalità particolare, oltre al mero possesso di un valido documento di identità, diritto che si estende anche ai familiari aventi una cittadinanza extraeuropea (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 6).
Ai fini della decorrenza di tale termine, l'interessato ha l'onere di segnalare la propria presenza presso un ufficio di polizia, ai sensi del d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 5, co. 5 bis, tuttavia la determinazione delle modalità di adempimento a tale onere è stata demandata ad un decreto del Ministero dell'Interno, ad oggi non ancora adottato. Appaiono così poco chiare le procedure che devono seguirsi in tale caso e, soprattutto, quale sia il termine entro cui espletare tale compito.
La prassi italiana che si è venuta ad instaurare si fonda su un presunzione, secondo cui, in caso di mancata dichiarazione e di prove contrarie, il soggiorno è considerato come superiore ai tre mesi. Da ciò dovrebbe conseguire che, accertata la mancanza dei requisiti richiesti a tali fini, il cittadino comunitario possa essere allontanato dal territorio nazionale. Giova evidenziare che la Direttiva 2004/38/CE, cit., art. 5 ammette la facoltà per gli Stati di prevedere un termine per la dichiarazione di presenza, che deve essere ragionevole e non discriminatorio, la cui mancata osservanza può essere sanzionata con misure proporzionate. Appare, quindi, dubbia la compatibilità della prassi italiana con il disposto comunitario, attesa non solo l'aleatorietà di tale prescrizione, ma altresì il ricorso ad una presunzione assoluta a cui consegue, in caso di assenza di una prova contraria, il cui onere di presentazione grava sull'interessato, la possibilità di un allontanamento.
Durante il soggiorno di durata inferiore ai tre mesi, il cittadino europeo può intraprendere una attività lavorativa, sia subordinata sia in forma autonoma, ovvero cercare attivamente una occupazione, anche attraverso la frequentazione di corsi di formazione. In merito giova evidenziare che, nel caso in cui l'interessato sia iscritto al Centro per l'impiego e dimostri di avere risorse necessarie al fine di impedire che la sua presenza sul territorio nazionale diventi un onore eccessivo per il sistema di assistenza sociale italiano, la sua presenza può protrarsi sino a sei mesi, periodo che può ulteriormente essere prolungato qualora sia in grado di dimostrate di avere una fondata aspettativa di ottenere un impiego in Italia (CGCE, 26 febbraio 1991, C-292/89, The Queen/Immigration Appeal Tribunal, ex parte Antonissen; CGCE, 26 maggio 2003, C-171/91, Tsiotras/Landeshauptstadt Stuttgart. Sempre in tema di trattamento dei cittadini europei in cerca di lavoro si veda CGCE, 04 giugno 2009, cause riunite C-22/04 e C-23/04, Athanasios Vatsouras e Josif Koupatantze/Arbeitsgemeinschaft (ARGE) Nürnberg 900).
Nel caso in cui un cittadino europeo intenda soggiornare sul territorio nazionale per un periodo superiore ai tre mesi, egli è tenuto a dimostrare la sussistenza di determinati requisiti, che variano seconda della categoria in cui rientra l'interessato: 1) lavoratore; 2) studente; 3) inattivo; 4) familiare che raggiunge o accompagna il cittadino dell'Unione europea titolare del diritto al soggiorno (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 7).
In tutti i casi, il cittadino europeo che intende soggiornare sul territorio nazionale deve procedere all'iscrizione anagrafica presso il Comune di dimora, al quale spetta la verifica della sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa. L'iscrizione ha carattere dichiarativo del diritto al soggiorno dell'interessato e non costitutivo, atteso che la titolarità di tale diritto discende direttamente dal Trattato dell'Unione europea e dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Giova precisare che il mancato adempimento di tale prescrizione non comporta l'allontanamento del cittadino europeo, ma solo la comminazione di un sanzione amministrativa.
I cittadini europei che svolgono un'attività lavorativa in Italia, sia essa in forma subordinata o autonoma, ai fini dell'adempimento di cui sopra sono semplicemente tenuti a presentare documentazione attestante tale situazione, che dà loro diritto, altresì, all'iscrizione al servizio sanitario nazionale ed al godimento delle prestazioni di sicurezza sociale (v. UD XI) (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 7, co. 1 lett. a)).
Il diritto al soggiorno viene conservato anche nel caso in cui il cittadino europeo, dopo aver svolto attività lavorativa in Italia si trovi privo di una occupazione per inabilità al lavoro dovuta a malattia o infortunio, disoccupazione involontaria e frequentazione di un corso di formazione professionale, legato alla attività svolta in precedenza (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 7, co. 3).
Diversa è, invero, la situazione del cittadino dell'Unione europea che frequenta in Italia un corso di studi o di formazione presso un istituto pubblico o privato riconosciuto ovvero che non svolge alcuna attività lavorativa ed è, quindi, inattivo. In entrambi i casi, il godimento del diritto al soggiorno è subordinato alla dimostrazione di risorse economiche sufficienti al sostentamento di sé stesso e dei propri familiari, nonché la disponibilità di una assicurazione sanitaria (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 7, co. 2 ).
La ratio sottesa a tale limitazione del diritto alla libera circolazione è da ricercarsi nella volontà di evitare che il godimento di tale diritto si trasformi in un onere eccessivo per il sistema sociale dei singoli Paesi membri. Tuttavia, tale previsione è indice del superamento di una visione strettamente legata alla circolazione dei fattori produttivi e della attribuzione ad ogni cittadino europeo del pieno godimento del diritto alla libera circolazione sul territorio europeo.
La determinazione della sufficienza delle risorse economiche non è una operazione agevole , tenuto conto che la direttiva 2004/38/CE, cit., art. 8 non permette agli Stati membri di individuare un limite di reddito fisso e prestabilito, ma indica quale parametro interpretativo della nozione in esame l'agevolazione del pieno godimento del diritto alla libera circolazione da parte dei cittadini europei. Le risorse che da prendere in considerazione a tali fini sono le più diverse: entrate con cadenza regolare ovvero somme capitalizzate, disponibilità economiche assicurate da soggetti terzi anche non conviventi e residenti in altro Stato membro. 
In Italia il parametro di riferimento ai fini della determinazione della sufficienza delle risorse economiche è stato individuato nell'importo annuo per l'assegno sociale.
Per saperne di più COMUNICAZIONE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO COM (2009) 313, Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all'interno del territorio degli altri Stati membri
A seguito del regolare e continuativo soggiorno sul territorio nazionale per un periodo superiore ai cinque anni il cittadino europeo ha diritto al soggiorno permanente (d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 14).
La continuità del soggiorno è riconosciuta nel caso in cui l'interessato non si sia allontanato dal territorio nazionale per un periodo superiore ai sei mesi per ogni anno, che possono aumentare nel caso in cui l'assenza sia giustificata dall'espletamento del servizio militare nel Paese di origine ovvero da motivi di salute o lavorativi.
Ai fini del computo della durata del soggiorno la Corte di Giustizia dell'Unione europea, nella sentenza Ziolkowski e Szeja, ha statuito due importanti principi. In primo luogo, ai fini della regolarità del soggiorno non è sufficiente la mera iscrizione anagrafica per un periodo di cinque anni, ma deve valutarsi se durante tale soggiorno siano perdurati in capo al richiedente i requisiti richiesti a tali fini ovvero siano venuti meno anche solo per un periodo. In secondo luogo, nel caso in cui la richiesta provenga da cittadini di Stati membri di recente ingresso nell'Unione europea, ai fini del riconoscimento del diritto al soggiorno permanente, devo conteggiarsi anche i pregressi periodi di soggiorno legale nel territorio del Paese membro, secondo le regole nazionali circa il soggiorno dei cittadini di Stati terzi (CGCE, 22 dicembre 2011, C-424/10 e C/425/10, Tomasz Ziolkowski e Barbara Szeja e altri/Land Berlin).
Dal diritto al soggiorno permanente discende la possibilità per il cittadino europeo e per i suoi familiari di poter rimanere sul territorio nazionale anche qualora vengano meno i requisiti per il soggiorno di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, cit., art. 7. Inoltre, il loro allontanamento può essere disposto solo per motivi di sicurezza dello Stato o di imperativi motivi di pubblica sicurezza.
A completamento di quanto esposto giova evidenziarsi che è stata prevista la possibilità per i Paesi già membri dell'Unione europea di limitare la libertà di circolazione nel proprio territorio nei confronti dei cittadini di Paesi neo europei, a fronte della rilevazione dell'esistenza di un rischio di gravi perturbazioni sul loro mercato del lavoro. In particolare, tali restrizioni potevano essere adottate nei confronti dei cittadini degli otto Paesi Europa dell'est, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovenia, che hanno aderito all'Unione europea dal 01 gennaio 2004, e di Romani e Bulgaria, entrate a far parte dell'Unione dal 01 gennaio 2007. Tali restrizioni non sono state previste in occasione della adesione di Cipro e Malta.
Atteso che tale facoltà poteva essere esercitata per un periodo massimo di sette anni, ad oggi tutti i cittadini dei citati Paesi membri dell'Unione europea godono di un pieno diritto alla libera circolazione sul territorio europeo, mentre tali limitazioni, ove applicate, sono in vigore per i cittadini croati, la cui adesione all'Unione europea è avvenuta il 01 luglio 2013.
APPROFONDIMENTO 1 - La Brexit e gli effetti sulla libera circolazione dei cittadini europei