Unità didattica VII - La protezione internazionale

Unità didattica VII - La protezione internazionale

VIII.4 La condizione giuridica del richiedente asilo, del rifugiato e del titolare di protezione sussidiaria

Assumono la qualifica di richiedente asilo, lo straniero o l’apolide che hanno manifestato la volontà di richiedere la protezione internazionale, anche prima, quindi, della materiale verbalizzazione della domanda, e nei confronti dei quali non è ancora stata adottata un decisione definitiva in merito (d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 1).

Le condizioni di accoglienza del richiedente asilo sono attualmente disciplinate dal d.lgs. n. 142 del 2015, cit., con il quale, come esposto in precedenza, è stata recepita la direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale – rifusione (v. infra UD IX.3).

La condizione del richiedente asilo ha un carattere di temporaneità poiché destinata a mutare nel breve termine: o attraverso il riconoscimento della protezione internazionale ovvero, in caso di diniego, nell'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale o nel passaggio a una condizione di clandestinità. Per tale ragione è prevista, da un lato, una limitazione all'accesso ad alcune prestazioni, dall'altro, la possibilità di accedere a percorsi di accoglienza temporanea, ove lo straniero sia privo di mezzi di sussistenza.

Il richiedente asilo ha il diritto di permanere sul territorio nazionale in forza di un permesso di soggiorno per “richiesta asilo”, della durata di sei mesi, rinnovabile sino alla decisione della Commissione territoriale e, in caso di diniego, sino alla decisione giudiziale di primo grado (d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 4D.P.R. n. 394 del 1999, cit., art. 11, co. 1 lett a)). Decorsi due mesi dalla presentazione della domanda di protezione internazionale il richiedente asilo può svolgere attività lavorativa in modo regolare (d.lgs. 142 del 2015, cit., art. 22).

A seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 113 del 2018, cit., così come convertito in l. 132 del 2018, cit., il permesso di soggiorno per attesa asilo è considerato un documento di identità, ma non era ritenuto titolo idoneo all'iscrizione anagrafica. Ne conseguiva che al richiedente asilo non poteva più richiedere la carta di identità.

Sul punto erano intervenute alcune decisioni dei tribunali di merito che, applicando una lettera costituzionalmente orientata della norma, avevano ritenuto che tale divieto fosse solamente apparente e che, stante la regolarità del soggiorno del richiedente asilo, egli ha diritto all'iscrizione anagrafica al pari degli altri stranieri regolarmente presenti in Italia (tra le prime pronunce Tribunale di Firenze, ordinanza del 18.05.2019Tribunale di Bologna, ordinanza del 02.05.2019).

Con la sentenza n. 186 del 09 luglio 2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato tale disposizione per violazione del principio di uguaglianza ritenendo tale divieto, altresì, irragionevole rispetto alle finalità che si proponeva il d.l. 113 del 2018, cit., come convertito in legge, individuato nel "dichiarato obiettivo dell’intervento normativo di aumentare il livello di sicurezza pubblica". Secondo la Corte, stanti tali premesse "la norma in esame, impedendo l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, finisce con il limitare le capacità di controllo e monitoraggio dell’autorità pubblica sulla popolazione effettivamente residente sul suo territorio, escludendo da essa una categoria di persone, gli stranieri richiedenti asilo, regolarmente soggiornanti nel territorio italiano. E ciò senza che questa esclusione possa ragionevolmente giustificarsi alla luce degli obblighi di registrazione della popolazione residente."

Per quanto attiene alla violazione dell'art. 3 Cost, la Corte Costituzionale ha ritenuto che il divieto di iscrizione anagrafica per i soli richiedenti asilo creasse una irragionevole disparità di trattamento tra questi ed altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti nel territorio statale, oltre che con i cittadini italiani.

Il recente d.l. 130 del 21 ottobre 2020, n. 130, come convertito in l. 173 del 18 dicembre 2020, ha recepito il dettato costituzionale, eliminando ogni pregresso divieto in tal senso. 

A seguito del riconoscimento della protezione internazionale, con conseguente riconoscimento del correlato status (rifugiato o protetto in via sussidiaria), all'interessato è rilasciato un permesso di soggiorno della durata di cinque anni, al termine dei quali, solo con riferimento alla posizione dei soggetti ammessi alla protezione sussidiaria, il rinnovo avverrà previa nuova verifica della permanenza delle condizioni che hanno consentito il riconoscimento della protezione (d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 23). Tale circostanza trova giustificazione se si tiene a mente il fatto che nel caso del rifugiato il venir meno delle predette condizioni non comporta la revoca del permesso di soggiorno ma la cessazione dello status (UD VII.3).

Con riferimento alle modalità di accesso alla procedura di ricongiungimento familiare (UD. V), sono previste condizioni speciali per i beneficiari della protezione internazionale, in deroga alle regole ordinarie che si applicano nei confronti di tutti gli cittadini extraeuropei regolarmente soggiornanti sul territorio nazionale (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 29 bis, co. 1). Tali previsioni erano inizialmente ad esclusivo godimento dei rifugiati, in seguito sono state estese ai titolari di protezione sussidiaria. Inoltre, viene attenuato l’onere probatorio in capo al beneficiario della protezione internazionale ai fini della dimostrazione del legame familiare tra lo straniero richiedente e il familiare ricongiunto, che può avvenire anche per il tramite di mezzi diversi, non documentali (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 29 bis, co. 2).

Per quanto attiene ai documenti di identità e di viaggio - dunque alla libera circolazione fuori dai confini nazionali dello Stato ospite - l'unica distinzione che permane tra i soggetti ammessi al godimento delle due forme di protezione internazionale attiene al rilascio del titolo di viaggio, documento equipollente al passaporto, in ossequio ai modelli stabiliti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 (d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 24, co. 1). Infatti, ai soli rifugiati è rilasciato dal Governo italiano un titolo di viaggio della durata di 5 anni. La permanenza di tale differenziazione anche a seguito dell'evidenziata equiparazione delle due forme di protezione in esame è giustificata dalla diversità dei presupposti sottesi al loro riconoscimento: il rifugiato è tale perché teme di esser perseguitato dalle autorità del proprio Paese di origine per motivi di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche e appartenenza ad un gruppo sociale, pertanto non può prendere contatti con le autorità consolari e diplomatiche che possono rappresentare i suoi persecutori.

Il medesimo titolo di viaggio è rilasciato ai soggetti ammessi alla protezione sussidiaria, solo nel caso in cui sussistano fondate ragioni che non permettano la richiesta del rilascio del passaporto alle rappresentanze consolari del suo Paese di origine (d.lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 24, co. 2).

Infine, si evidenzia che a seguito della recente recepimento della Direttiva europea 2011/51/UE con il d.lgs. del 13 febbraio 2014 n. 12, anche i titolari della protezione internazionale possono ottenere il rilascio del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 9)