Unità didattica VIII - Le altre forme di protezione dello straniero

Unità didattica VIII - Le altre forme di protezione dello straniero

VIII.2 La protezione umanitaria

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari era disciplinato dal d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 6, che si configurava quale clausola di chiusura del sistema, ponendo un limite al potere del Questore di rifiutare il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nel caso in cui nel caso concreto ricorressero seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano.

Il testo della norma è stato oggetto di diverse modifiche nel corso degli ultimi anni che hanno trasformato in modo significativo la disciplina delle forme di protezione nazionali in favore del cittadino straniero. In particolare, l'inciso sopra riportato è stato abrogato del d.l. 113 del 2018, cit., come convertito in l. 132 del 2018, cit., per poi essere reinserito dal d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit., tuttavia appare necessario analizzarne la portata al fine di meglio comprendere l'attuale sistema vigente.

L'inquadramento giuridico di tale titolo di soggiorno, così come la delimitazione del suo ambito di applicazione, non erano di agevole determinazione.

Il rilascio del permesso di soggiorno di cui al d.lgs. 286 del 1998 cit., art. 5, co. 6 poteva avvenire:

- direttamente dal Questore, in base ad una valutazione totalmente discrezionale dell'autorità amministrativa, ad esempio all'esito di una procedura di rilascio di un permesso di soggiorno ad altro titolo decisa in modo negativo ovvero su istanza di parte;

- quale esito della procedura di riconoscimento della protezione internazionale.

Era poi previsto il rilascio di tale tipo di permesso di soggiorno in specifiche disposizioni del Testo Unico Immigrazione. Tali casi sono tutt'ora disciplinati dal d.lgs. 286 del 1998, cit., ma non hanno più la denominazione di permesso per motivi umanitari (Permesso per grave sfruttamento lavorativo, per violenza domestica e per protezione sociale) ma riportano la dicitura “casi speciali” – v. UD. VIII.4.

La protezione umanitaria si coordinava con il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale di cui si è trattato nei paragrafi precedenti, ma non ne era un elemento costitutivo. Ai sensi dell'allora vigente d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 32, era, infatti, previsto che ove la protezione internazionale fosse negata, poiché in capo al richiedente non fossero riscontrabili gli elementi utili né per il riconoscimento dello status di rifugiato né per l'ammissione alla protezione sussidiaria, la Commissione territoriale, qualora ritenesse sussistenti gravi motivi di carattere umanitario, trasmetteva gli atti al Questore territorialmente competente per valutare l'eventuale rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ex d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 6. Ne conseguiva che il rilascio del permesso di soggiorno poteva avvenire all'esito della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, quale conseguenza di una decisione di diniego della protezione stessa.

In merito si è chiarito che il conseguimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari era un diritto soggettivo e, come tale, azionabile avanti al Giudice ordinario, nei modi e nei termini di cui al d.lgs. n. 25 del 2008, cit., art. 35, v. UD IX (Cass. Civ., S.U. 19 maggio 2009, n. 11535; Cass. Civ., S.U. 09 settembre 2009, n. 19393).


Ove la la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale avesse deciso di trasmettere gli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, indicava le circostanza di carattere umanitario che riteneva meritevoli di una forma di protezione temporanea: secondo la citata giurisprudenza in capo al Questore non residuava alcun potere discrezionale di verifica circa la sussistenza di tali condizioni, esaurendosi il medesimo in un mero potere esecutivo. In tali termini, il carattere “eventuale” del rilascio di tale titolo di soggiorno era da ricercarsi nella sussistenza di indici di pericolosità, legati al comportamento tenuto dall'interessato dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale o, anche, dopo la decisione della Commissione.

La norma in esame, non tipizzava le fattispecie concrete che potevano beneficiare del rilascio del titolo di soggiorno in esame, ma forniva solo le indicazioni degli ambiti in cui potevano essere individuati motivi della sua concessione:


  • obblighi previsti dalle Convenzioni internazionali che impongono allo Stato italiano di adottare misure di protezione a garanzia di diritti umani fondamentali

  • obblighi di protezione imposti allo Stato italiano da norme costituzionali

  • altre esigenze di carattere umanitario.


Nei primi due casi la copertura normativa alla concessione della protezione umanitaria era da ricercarsi nelle numerose convenzioni internazionali a tutela dei diritti dell'uomo ratificate dall'Italia – tra tutte la CEDU – nonché negli articoli della Costituzione italiana che disciplinano la tutela dei diritti fondamentali. In tale ambito rientrava, ad esempio, la tutela del diritto alla salute, ai sensi dell'art. 32 Cost.

L'utilizzo della disgiuntiva nella norma - “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali” - evidenziava come i “motivi umanitari” non dovessero necessariamente trovare un preciso riscontro solo in disposizioni costituzionali o internazionali, ma ben potevano rispondere all'esigenza di tutela di diritti fondamentali come imposto in termini generali nell'art. 2 Cost.


Tale argomentazione trovava riscontro nelle pronunce della Suprema Corte di Cassazione ove affermava che la fattispecie di cui al d.lgs. 286 del 1998 cit. , art 5, co. 6 permetteva il “riconoscimento da parte delle Commissioni territoriali o del giudice del merito dell'esistenza di situazioni "vulnerabili" non rientranti nelle misure tipiche o perché aventi il carattere della temporaneità o perché vi sia un impedimento al riconoscimento della protezione sussidiaria, o, infine, perché intrinsecamente diverse nel contenuto rispetto alla protezione internazionale ma caratterizzate da un'esigenza qualificabile come umanitaria (problemi sanitari, madri di minori etc.)." (Sul punto si veda Cass. Civ. Sez. VI, n. 15466 del 07.07.2014; Cass. Civ. Sez. VI, n. 26566 del 27.11.2013).

Da ciò conseguiva che le misure di carattere umanitario ben potevano avere un carattere atipico e residuale da accertarsi caso per caso, al fine di individuare le situazioni c.d. vulnerabili, che potevano avere la natura più varia. Sotto questo profilo è stata riconosciuta la protezione umanitaria, ad esempio, in caso di patologie psichiche, a seguito di gravi violenze subite nel corso del viaggio migratorio in condizione di minore straniero non accompagnato ed anche in caso di situazioni di particolare instabilità e insicurezza riscontrate nel Paese di origine dello straniero.

In tale contesto appare rilevante richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n. 4455 del 23 febbraio 2018. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha affermato che l'autorità amministrativa e quella giudiziaria potevano riconoscere i gravi motivi umanitari di cui al d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 5, co. 6 anche nel rilevante e significativo percorso di integrazione sociale nel nostro Paese posto in essere dal richiedente asilo. Tuttavia, tale riconoscimento doveva necessariamente essere parametrato all'esame specifico ed attuale della situazione oggettiva e soggettiva del richiedente, anche con riferimento al suo Paese d'origine, dovendosi fondare su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell'esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale. Tale orientamento è stato confermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24413 del 25 maggio 2021.

Il quadro giuridico in cui trovava fondamento tale orientamento è quello già richiamato dell'art. 2 Cost. nel quale trova dimora nel nostro ordinamento la tutela della vita priva e familiare accordata dall'art. 8 CEDU, la cui portata è molto ampia e giunge a ricomprendere non solo la tutela dei legami familiari più stretti, ma altresì il diritto di realizzazione ed estrinsecazione della vita del singolo nella comunità.

Il permesso di soggiorno per motivi umanitari aveva una durata di 2 anni, permetteva lo svolgimento di attività lavorativa e poteva essere rinnovato, previo parere della Commissione territoriale, ovvero convertito in un permesso di soggiorno per motivi familiari o per motivi di lavoro autonomo o subordinato.

Per completezza è opportuno soffermarsi sui meccanismi di rinnovo dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in corso di validità all'entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, cit., come convertito dalla l.n. 132 del 2018, cit., a seguito della loro abrogazione.

Alla scadenza, tali titolo di soggiorno possono essere convertiti in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo o per motivi di famiglia oppure potrà esserne chiesto il rinnovo. In tal caso la valutazione della richiesta è demandata alla Commissione territoriale che dovrà valutare la sussistenza in capo allo straniero dei requisiti di cui ai casi di "protezione speciale" in relazione al dettato del d.lgs. n. 286 del 1998, cit., art. 19 co. 1 e 1.1, di cui si parlerà del prossimo paragrafo UD VIII.3.

Diverso era, infine, il caso in cui, all'entrata in vigore del d.l. n. 113 del 2018, cit. la protezione umanitaria fosse già stata riconosciuta, ma il relativo permesso di soggiorno non ancora emesso dalla Questura: in tal caso era rilasciato un permesso di soggiorno per "casi speciali" della durata di due anni che permetteva lo svolgimento di attività lavorativa. Alla scadenza può essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato o autonomo o per motivi di famiglia oppure può esserne chiesto il rinnovo nei termini di cui sopra.

Per quanto attiene ai procedimenti di riconoscimento della protezione internazionale pendenti - sia in via amministrativa sia in via giudiziale - al 04 ottobre 2018, data di entrata in vigore del del d.l. n. 113 del 2018, cit., l’interpretazione che è sembrata sin da subito prevalente nella dottrina e nella giurisprudenza di merito – confermata dalle Sezione Unite della Corte di Cassazione n. 29460 del 24 settembre 2019 - era quella che, per effetto del divieto di retroattività previsto in generale dall’art. 11 delle Preleggi, le nuove norme sui permessi di soggiorno non potevano applicarsi retroattivamente e dunque che i procedimenti (amministrativi e giudiziali) in corso dovevano essere definiti secondo la normativa che era in vigore prima del d.l. 113 del 2018, cit., come convertito in l. n. 132 del 2018, cit.

A ciò consegue che ai giudizi pendenti ed a quelli introdotti con rifermento a domande di protezione internazionale presentate prima del 05.10.2018 – ancora molto numerosi in fase giudiziale - si applicano i criteri che erano previsti dal d.lg. 286 del 1998, art. 5, co. 6, cit. come vigente prima della sua abrogazione nel 2018. 

Con l'entrata in vigore del d.l. n. 130 del 2020, cit. convertito in l. 173 del 2020, cit. il legislatore interviene nuovamente sul d.lg. 286 del 1998, art. 5, co. 6, cit. prevedendo che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possano essere adottati sulla base di accordi internazionali, qualora lo straniero non soddisfi più i requisiti previsti “fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”. Tale modifica appare certamente rilevante, poiché, impone nuovamente alla Amministrazione, al momento della adozione di un provvedimento ablativo del titolo abilitante al soggiorno, la verifica della necessità, nel singolo caso concreto, di tutelare i diritti fondamentali dello straniero derivanti da obblighi costituzionali o internazionali che verrebbero irrimediabilmente compromessi con l'adozione del predetto provvedimento.

Inoltre, tali obblighi rilevano anche ai fini della valutazione della applicazione del principio di non refoulement, come disciplinato nel nostro ordinamento nel d.lgs. 286 del 1998, art. 19, co. 1.1. cit. (UD VIII.1) e che può portare al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.