Unità Didattica XVII - La detenzione amministrativa
XVII.2 Il trattenimento a fini di identificazione e i centri hotspot
Del tutto diverso è il trattenimento de facto che si determina principalmente nelle zone di frontiera successivamente ai soccorsi in mare o comunque all'arrivo sul territorio italiano.
Questo momento è molto delicato in quanto è necessario non solo procedere alla identificazione dello straniero ma anche individuare lo stesso come richiedente asilo o come persona che ha attraversato la frontiera in violazione della normativa che disciplina l’ingresso e quindi destinata all'espulsione.
Si tratta inoltre di una fase che solo di recente, nel 2015 e nel 2017, è stato oggetto di disciplina giuridica, peraltro molto scarna. Precedentemente il DPR n. 394 del 1998, cit., art. 23 si limitava a stabilire che le attività di prima accoglienza, assistenza e di carattere igienico-sanitario connesse al soccorso dello straniero possono essere effettuate anche al di fuori dei CPTA (ora CPR) “per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. Per le modalità di gestione di tali Centri si rinviava al d.l. n. 451 del 1995 cit. come convertito in l. n. 563 del 1995, cit., la cosiddetta “legge Puglia” (si veda UD IX). Tale legge era stata emanata a seguito dell’afflusso di cittadini albanesi sulle coste pugliesi e prevedeva l’istituzione di tre centri lungo la costa pugliese per le esigenze di prima assistenza, con relativa copertura finanziaria, nonché la possibilità di impiegare personale militare. Non veniva in alcun modo definita la natura giuridica di tali centri. Tali strutture erano denominate Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA).
La scarna disciplina normativa non aveva mai rappresentato un problema, in quanto successivamente agli arrivi dall’Albania non si erano registrati arrivi numericamente rilevanti.
A partire dal 2011, invece, il significativo afflusso di persone provenienti prima dalla Tunisia e poi dalla Libia ha reso urgente definire giuridicamente le strutture in cui si effettuano le operazioni di primo soccorso e assistenza. Infatti è nel centro di Lampedusa e successivamente negli altri centri dislocati principalmente sul territorio siciliano che le persone arrivate in Italia si fermano per periodi più o meno lunghi in attesa che la loro situazione sia chiarita. La complessità del momento discende dal fatto che se le persone presentano domanda di asilo sono richiedenti asilo, diversamente, salvo regioni eccezionali che ne giustifichino la presenza, sono sul territorio italiano in modo non legittimo e sono passibili di espulsione.
In pratica nel 2011 le persone sono rimaste nel centro di Lampedusa anche molto a lungo, ben oltre il tempo strettamente necessario per prestare assistenza, senza possibilità di lasciare la struttura e quindi in una situazione di detenzione di fatto. Tale situazione, come già accennato, è stata posta all’attenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU, Sezione II, 1 settembre 2015 e successivamente Grande Camera, Khlaifia and others v Italy, ricorso n. 16483/12, 15 dicembre 2016) che ha affermato come ogni forma di privazione della libertà richiede una base normativa e un controllo giurisdizionale a prescindere dalla qualificazione della struttura come centro di accoglienza o dalla supposta presenza di una situazione di emergenza.
Stante il permanere di un afflusso consistente di stranieri è sembrato necessario al legislatore disciplinare le strutture dove le persone vengono accolte nella fase di primo arrivo. A oggi una normativa nazionale esaustiva non è presente. Infatti il d.lgs. n. 142 del 2015, cit. si è limitato a stabilire che “le funzioni di soccorso e prima accoglienza, nonché di identificazione continuano ad essere svolte nelle strutture allestite ai sensi del decreto legge n. 451/95, convertito dalla legge 563/95” (art. 8, c.2) e che “per le esigenze di prima accoglienza e per l'espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri governativi di prima accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell'interno (…) per il tempo necessario, all'espletamento delle operazioni di identificazione, ove non completate precedentemente, alla verbalizzazione della domanda ed all'avvio della procedura di esame della medesima domanda, nonché all'accertamento delle condizioni di salute diretto anche a verificare, fin dal momento dell'ingresso nelle strutture di accoglienza, la sussistenza di situazioni di vulnerabilità” (art. 9).
Su questa disciplina si sono inserite, sempre nel 2015, delle disposizioni europee e la loro attuazione italiana.
Nello specifico a maggio 2015 la Commissione Europea aveva emanato una comunicazione denominata “Agenda Europea sulla migrazione” in cui aveva dato avvio a un nuovo approccio denominato hotspot, volto a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo”.
L’Italia aveva dato attuazione a questa comunicazione attraverso un documento, privo di valore giuridico, denominato RoadMap in cui aveva precisato che l’approccio hotspot si concretizza in un “piano volto a canalizzare gli arrivi via mare in una serie di porti di sbarco selezionati dove vengono effettuate tutte le procedure previste come lo screening sanitario, la pre-identificazione, la registrazione, il foto-segnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri” (p 6). Tali luoghi venivano definiti in questo documento come centri chiusi. Successivamente, mediante la circolare 6.10.2015 del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno.(si veda UD IX).
Una volta effettuato il rilevamento delle impronte digitali e l’inserimento nel sistema informativo Eurodac, avviene la differenziazione tra richiedenti asilo e migranti irregolari. I primi saranno collocati nelle strutture di accoglienza sul territorio mentre i secondi saranno destinati al respingimento o all'espulsione, come indicato nei paragrafi precedenti.
Successivamente nel 2017, il legislatore ha introdotto il d.lgs. 286 del 1998, cit., art. 10 ter che prevede disposizioni relative alla “identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare”.
Tale normativa prevede che la persona rintracciata nel corso dell’attraversamento irregolare della frontiera o condotta in Italia a seguito di salvataggio deve essere collocata negli hotspot istituiti nelle strutture di cui alla legge Puglia o nelle strutture di cui al d.lgs. n. 142 del 2015, cit., art. 9. In queste strutture devono essere effettuate le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e le conseguenti segnalazioni ai sensi del regolamento Eurodac e deve essere assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale e sul programma di ricollocazione in altri Stati membri. Si prevede inoltre che il rilevamento delle impronte digitali possa essere effettuato nei confronti di qualunque straniero rintracciato in posizione di irregolarità sul territorio nazionale. L’eventuale rifiuto reiterato di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici configura rischio di fuga ai fini del trattenimento in un CPR che viene disposto dal questore per 30 giorni, salvo che la persona acconsenta al rilevamento delle impronte.
In concreto quindi le persone venivano prima trattenute nei luoghi di sbarco e successivamente collocate nelle altre strutture sul territorio nazionale. Non erano previsti dalla legge termini entro cui le persone devono essere collocate nelle strutture di accoglienza sul territorio. Ciò determinava che in situazioni di particolare affluenza o di deficit organizzativo le persone sbarcate sul territorio nazionale potevano essere di fatto trattenute e private della libertà personale anche per diversi giorni, senza alcuna verifica delle loro condizioni da parte di un giudice. Di conseguenza il trattenimento nei luoghi di sbarco sfuggiva alle regole previste per il trattenimento a fini espulsivi.