Unità Didattica XVI - L'espulsione e la sua esecuzione
XVI.1. L'espulsione amministrativa
L’espulsione amministrativa può essere di due tipi: ministeriale o prefettizia.
L’espulsione ministeriale, così denominata perché disposta dal Ministro dell’Interno è prevista per “motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato” (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 1, cit.) o per “motivi di prevenzione del terrorismo” ( d.l. 27.07.2005, n. 144, art. 3 co. 1, come convertito in l. n. 155 del 31 luglio 2005).
Nella prima ipotesi, l’espulsione può avere come destinatario uno straniero, anche non residente in Italia o titolare di un permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Va comunicata al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri.
Nella seconda ipotesi la decisione può essere assunta non solo dal Ministro dell’Interno, ma anche dal Prefetto su sua delega.
In entrambi i casi si tratta di provvedimenti altamente discrezionali, a tutela di interessi fondamentali dello Stato, difficilmente sindacabili in sede giurisdizionale, seppur sia possibile esperire ricorso al TAR. Presentano presupposti ampi e generici (soprattutto la prima previsione), determinano l’espulsione immediata senza possibilità di sospensiva e prevedono un divieto di reingresso di almeno 5 anni e del tutto indeterminato nel massimo.
Le espulsioni prefettizie sono state oggetto di un importante intervento di riforma a seguito della approvazione d.l. n. 89 del 23 giugno 2011, come convertito nella l. n. 129 del 2 agosto 2011 in attuazione della direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri. Come sottolineato da tutti i commentatori, l’attuazione italiana della direttiva rimpatri è stata largamente insufficiente e non ha modificato i pilastri del sistema espulsivo come invece avrebbe dovuto accadere.
L’espulsione viene disposta sempre “caso per caso”. L’indicazione “caso per caso” implica che il Prefetto debba valutare le circostanze della situazione specifica e motivare di conseguenza l’adozione del provvedimento (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2, cit.).
Le tipologie di espulsione sono le seguenti:
1) Espulsione per ingresso irregolare
È prevista l’espulsione per lo straniero entrato nel territorio nazionale sottraendosi ai controlli di frontiera, senza essere stato respinto (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett.a), cit.). Vi sono quindi due presupposti, uno positivo (l’ingresso nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera) e uno negativo (la mancata adozione di un decreto di respingimento). Le regole che disciplinano l’ingresso regolare sono state già esaminate nella UD II, a cui si rinvia. Lo straniero che entra illegalmente nel territorio dello Stato, salvo che sia richiedente asilo o si trovi in altra situazione consentita dalla legge, oltre a trovarsi in condizione di soggiorno irregolare che comporta il provvedimento amministrativo di espulsione, commette anche il reato di cui al d.lgs. 286 del 1998, art. 10 bis, cit..
2) Espulsione per irregolarità di soggiorno
Sono diverse le ipotesi in cui lo straniero che permane sul territorio irregolarmente (anche se vi è entrato regolarmente) è passibile di espulsione.
Si tratta dei casi in cui lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett.b), cit.):
- senza avere chiesto il permesso di soggiorno entro gli 8 giorni lavorativi prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da cause di forza maggiore;
- in caso di inottemperanza alla intimazione di recarsi immediatamente, o comunque entro sette giorni, nello Stato dell’Unione che gli ha rilasciato il titolo di soggiorno - in corso di validità - che gli conferiva il diritto di soggiornare in Italia. Questa situazione riguarda gli stranieri titolari di un permesso di soggiorno in altro Stato UE che non hanno reso alla Questura entro 8 giorni dall’ingresso la dichiarazione di presenza e sono rimasti in Italia per oltre 3 mesi allo scadere dei quali non hanno ottemperato all'intimazione a lasciare il territorio (combinato disposto del d.lgs. 286 del 1998, art. 5, co. 7, 7 bis e 7 ter, cit.). In precedenza l'espulsione seguiva alla mancata dichiarazione di presenza. Oggi alla mancata dichiarazione consegue una sanzione amministrativa da 109 a 309 euro.
- quando il permesso di soggiorno è stato revocato dal Questore. Si tratta della situazione in cui un permesso valido viene revocato perché sono venuti meno i presupposti di legge che ne avevano permesso il rilascio o sono emersi nuovi elementi che ne richiedono la revoca (ad esempio una condanna penale cd. ostativa o la perdita di tutti i crediti previsti nell'accordo di integrazione);
- quando il permesso di soggiorno è stato annullato. Ciò accade quando il permesso di soggiorno è stato emesso ma illegittimamente, ad esempio perché lo straniero ha indicato l’esistenza di alcune situazioni che si sono rivelate non veritiere. A differenza della revoca, l’annullamento presuppone un permesso di soggiorno emesso illegittimamente;
- quando il permesso di soggiorno è stato rifiutato, sia nel caso di primo ingresso che nel caso di rinnovo. In questo caso lo straniero ha 15 giorni di tempo per lasciare il territorio dello Stato, decorsi i quali si emette il decreto di espulsione. Quindi se lo straniero si allontana non viene segnalato nel Sistema Informativo Schengen e non diventa destinato di un divieto di reingresso (su cui vedi subito oltre).
- quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo. Va però tenuto presente che lo straniero in base al d.lgs. 286 del 1998, art. 30, cit. qualora abbia i requisiti per mantenere l’unità familiare e il permesso di soggiorno sia scaduto da meno di 1 anno non potrà essere espulso e il titolo di soggiorno originale potrà essere convertito in un permesso per motivi familiari.
- quando lo straniero si è trattenuto in Italia oltre il termine di novanta giorni (ovvero in quello più breve indicato nel visto) nei casi di ingresso per motivi di turismo, studio, visite o affari;
- in assenza della comunicazione prevista in caso di distacco di lavoratore straniero, dipendente da datore di lavoro avente sede all’estero, autorizzato ad entrare in Italia per il compimento di determinate prestazioni oggetto di contratto d’appalto (si tratta di una comunicazione prevista dal d.lgs. 286 del 1998, art. 27, co. 1 bis, cit. per alcuni casi particolari di ingresso per lavoro ex d.lgs. 286 del 1998, art. 27, cit.).
3) Espulsione per motivi di pericolosità sociale
Lo straniero può essere espulso (d.lgs. 286 del 1998, art. 13, co. 2 lett. c), cit.) se appartiene ad una delle categorie indicate nel d.l. n. 159 del 06 settembre 2011 cd Codice Antimafia).
Si tratta dei soggetti ritenuti pericolosi ai quali possono essere applicate le misure di prevenzione personale da parte del Questore o dell'autorità giudiziaria e le misure di prevenzione di carattere patrimoniale.
In questi casi, quindi, invece di adottare le misure di prevenzione, nei confronti dello straniero si dispone l’espulsione da parte dell’autorità amministrativa, senza alcun intervento, se non eventuale in caso di ricorso, dell’autorità giudiziaria.
L’espulsione prefettizia viene disposta con decreto motivato, immediatamente esecutivo. Come si è già detto, la motivazione dovrebbe essere particolarmente puntuale, dovendo l’autorità amministrativa giustificare l’adozione del provvedimento nel caso specifico.
Il decreto deve essere tradotto in un lingua conosciuta dall’espellendo e ove ciò non sia possibile in una delle tre lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo). Il decreto va notificato allo straniero che può proporre ricorso entro 60 giorni dalla notifica al Giudice di Pace del luogo in cui si trova l’autorità che ha disposto l’espulsione.
Il provvedimento di espulsione comporta un divieto di reingresso. Prima della riforma operata con il d.l. n. 89 del 23 giugno 2011, come convertito nella l. n. 129 del 2 agosto 2011 in attuazione della direttiva 2008/115/CE - cd Direttiva rimpatri, il divieto di reingresso era di 10 anni ma era data facoltà al Prefetto di ridurre il divieto a 5 anni.
Oggi la durata dei divieti di reingresso è tra 3 e 5 anni, su decisione del Prefetto in considerazione delle circostanze del caso. Il divieto vale anche nel caso di partenza volontaria (su cui vedi dopo nella parte relativa alle modalità di esecuzione), ma può essere revocato dalla stessa Prefettura qualora lo straniero ne faccia richiesta e dimostri l’avvenuta partenza entro il termine.
Il divieto di reingresso viene inserito con una segnalazione nel Sistema Informativo Schengen, attraverso la cui consultazione è possibile, quindi, per le forze di polizia sapere se la persona non può fare ingresso in forza del divieto di reingresso.